18/08/2025
𝗟𝗲 𝗮𝘂𝘁𝗼𝗿𝗮𝗱𝗶𝗼 𝘀𝘁𝗮𝗻𝗻𝗼 𝘀𝗰𝗼𝗺𝗽𝗮𝗿𝗲𝗻𝗱𝗼, 𝗽𝗿𝗲𝘀𝘁𝗼 𝟮𝟲 𝗺𝗶𝗹𝗶𝗼𝗻𝗶 𝗱𝗶 𝗶𝘁𝗮𝗹𝗶𝗮𝗻𝗶 𝗻𝗼𝗻 𝗮𝘃𝗿𝗮𝗻𝗻𝗼 𝗽𝗶𝘂̀ 𝘂𝗻 𝗶𝗺𝗽𝗶𝗮𝗻𝘁𝗼 𝗺𝗮 𝗿𝗮𝗱𝗶𝗼 𝗱𝗶𝗴𝗶𝘁𝗮𝗹𝗶 𝗮 𝗽𝗮𝗴𝗮𝗺𝗲𝗻𝘁𝗼.
𝘘𝘶𝘢𝘯𝘥𝘰 𝘭𝘢 𝘳𝘢𝘥𝘪𝘰 𝘵𝘳𝘢𝘥𝘪𝘻𝘪𝘰𝘯𝘢𝘭𝘦 𝘭𝘢𝘴𝘤𝘪𝘢 𝘴𝘱𝘢𝘻𝘪𝘰 𝘢𝘭𝘭𝘦 𝘱𝘪𝘢𝘵𝘵𝘢𝘧𝘰𝘳𝘮𝘦 𝘥𝘪𝘨𝘪𝘵𝘢𝘭𝘪, 𝘪𝘭 𝘤𝘰𝘯𝘵𝘦𝘯𝘶𝘵𝘰 𝘯𝘰𝘯 𝘦̀ 𝘱𝘪𝘶̀ 𝘴𝘤𝘦𝘭𝘵𝘰 𝘥𝘢 𝘶𝘯𝘢 𝘱𝘳𝘰𝘨𝘳𝘢𝘮𝘮𝘢𝘻𝘪𝘰𝘯𝘦 𝘤𝘰𝘯𝘥𝘪𝘷𝘪𝘴𝘢, 𝘮𝘢 𝘥𝘢 𝘶𝘯 𝘢𝘭𝘨𝘰𝘳𝘪𝘵𝘮𝘰 𝘤𝘩𝘦 𝘢𝘯𝘢𝘭𝘪𝘻𝘻𝘢 𝘢𝘣𝘪𝘵𝘶𝘥𝘪𝘯𝘪, 𝘨𝘶𝘴𝘵𝘪, 𝘱𝘳𝘰𝘧𝘪𝘭𝘪. 𝘓’𝘢𝘴𝘤𝘰𝘭𝘵𝘰 𝘥𝘪𝘷𝘦𝘯𝘵𝘢 𝘴𝘦𝘮𝘱𝘳𝘦 𝘱𝘪𝘶̀ 𝘢𝘶𝘵𝘰𝘳𝘦𝘧𝘦𝘳𝘦𝘯𝘻𝘪𝘢𝘭𝘦: 𝘭𝘢 𝘮𝘶𝘴𝘪𝘤𝘢 𝘤𝘩𝘦 𝘨𝘪𝘢̀ 𝘤𝘪 𝘱𝘪𝘢𝘤𝘦.🤔
Era il 1930 quando i fratelli Paul e Joseph Galvin, fondatori della Galvin Manufacturing Corporation, inventarono la prima autoradio. La battezzarono “Motorola”, unione delle parole “motor” (auto) e “ola” (suono), segnando l’inizio di un’epoca in cui la radio sarebbe diventata una compagna fedele di milioni di automobilisti in tutto il mondo.
Da allora, l’autoradio ha scandito i viaggi, raccontato il mondo attraverso voci familiari, trasmesso musica, notizie, sport, e ha persino salvato vite in situazioni di emergenza.
Ma oggi, quasi cento anni dopo quella rivoluzione sonora, un altro cambiamento epocale è alle porte: secondo quanto riportato da Agcom, nei prossimi anni circa 26 milioni di italiani potrebbero ritrovarsi senza più una radio a bordo della propria auto.
La transizione non è frutto di un’imposizione normativa, bensì di scelte industriali legate alla produzione di auto, in particolare delle nuove vetture elettriche.
Sempre più frequentemente, queste automobili vengono immesse sul mercato senza moduli FM o DAB+, le tecnologie che permettono la ricezione della radio tradizionale. In loro luogo troviamo interfacce USB, connessioni Bluetooth e sistemi di infotainment legati alle piattaforme di streaming digitale.
L’industria automobilistica giustifica questa tendenza come una forma di modernizzazione: le radio digitali, come Spotify, Apple Music o podcast on demand, offrono un’esperienza personalizzata, su misura per l’utente.
Tuttavia, questa “personalizzazione” ha un prezzo, e non è soltanto economico.
Quando la radio tradizionale lascia spazio alle piattaforme digitali, il contenuto non è più scelto da una programmazione condivisa, ma da un algoritmo che analizza abitudini, gusti, profili.
L’ascolto diventa sempre più autoreferenziale: la musica che già ci piace, i contenuti che confermano le nostre opinioni, le notizie selezionate in base a ciò che ci rassicura o ci intrattiene di più.
Si perde il valore dell’imprevisto, della scoperta casuale, dell’informazione non filtrata da una logica di profilazione.