05/09/2025
di:Michele De Maio
Armani, l’impero da 7 miliardi. Il piano per la successione, le mire francesi e quel “no” alla Borsa
Il gruppo resta uno degli ultimi baluardi indipendenti del lusso italiano. Rimangono aperti i dossier sulle alleanze. Il patto per la successione
adesso che Re Giorgio non c’è più, è l’ora del grande riassetto. Delle mire francesi, delle manovre che possono far restare «in casa» uno dei pochi grandi gruppi del lusso ancora indipendenti in un mercato dominato dai giganti Lvmh e Kering, cresciuti a colpi di acquisizioni. I dossier sul futuro del gruppo rimbalzano da anni tra gli studi delle grande banche d’affari, ma Armani, negli ultimi tempi della sua vita, ha lavorato per preparare un futuro «blindato», affinché la maison restasse coerente con il suo spirito anche ora, dopo la sua scomparsa. «Il piano l’ho preparato con il mio usuale pragmatismo, ma non lo rivelo. Perché ci sono ancora», spiegava nel libro autobiografico Per Amore, uscito nel 2023.
la storia
La famiglia, gli amori e la beneficenza: Giorgio Armani dietro le quinte
Con un giro d’affari da due miliardi e mezzo l’anno, secondo le stime degli analisti la Spa fondata a Milano nel 1975 dallo stilista e dal socio Sergio Galeotti può valere oggi tra i 6 e i 7 miliardi di euro. La valutazione tiene conto non solo dei ricavi e della redditività, ma anche del prestigio del brand e del patrimonio immobiliare: palazzi nel Quadrilatero milanese, sedi iconiche a New York, Parigi, Londra e Hong Kong, boutique, hotel, ristoranti e spazi multifunzionali. A questo si aggiunge un know-how creativo e produttivo che resta saldamente in Italia, con oltre 9.000 dipendenti nel mondo.
La domanda ora è: quale strada prenderà il gruppo? Restare indipendente o entrare, in parte o del tutto, nell’orbita di una multinazionale? Se nel passato si era parlato di un interesse di Exor, smentito, le tentazione di un’alleanza strategica o di una quotazione selettiva, alla fine, non è stata più un tabù neppure per lo stesso Armani, che negli ultimi tempi aveva ammorbidito posizioni storicamente rigide: «Sarebbe poco imprenditoriale escludere qualsiasi opzione», riconosceva, consapevole che la crescita richiede capitali e infrastrutture che forse non si possono più generare in solitaria.
Re Giorgio ha posseduto fino all’ultimo il 99% del capitale della sua creatura. Solo lo 0,1% fa capo alla Fondazione Giorgio Armani, creata nel 2016 con una doppia funzione: promuovere progetti di utilità sociale e gestire nel tempo la governance del gruppo. È in quella cornice che ha preso forma il “piano postumo” del fondatore, un documento articolato, tenuto riservato per anni e svelato dall'agenzia internazionale Bloomberg, che prevedeva sei categorie di azioni, con differenti diritti e poteri, e l’ingresso nel consiglio di amministrazione di figure chiave: le nipoti Silvana e Roberta Armani, Andrea Camerana (figlio della sorella Rosanna), il compagno Leo Dell’Orco e l’imprenditore digitale Federico Marchetti, il fondatore di Yoox cooptato nel 2020. Un’organizzazione pensata per ridurre al minimo i conflitti e preservare la visione originaria.
Lo statuto fissa paletti stringenti: divieto di quotazione in Borsa per almeno cinque anni, distribuzione del 50% degli utili agli azionisti, norme severe per eventuali operazioni di acquisizione, da limitare esclusivamente a rafforzare competenze non presenti all’interno del gruppo. Tutto, nei pensieri di Armani, ruotava attorno all’equilibrio tra sviluppo e identità. «L’indipendenza può essere ancora un valore anche in futuro, ma non escludo nulla», aveva spiegato in una delle sue ultime interviste. Lasciando aperte le porte a una possibile trasformazione, senza mai tradire la sua ossessione per il controllo e la coerenza.
Agire, non dichiarare. Continuare a lavorare fino all’ultimo giorno, curando personalmente ogni sfilata, ogni dettaglio, ogni campagna. È sempre stata questa la grammatica di uno stile che rifugge l’eccesso e la semplificazione. La governance collegiale prevista dallo statuto ha ora il compito di valutare, ponderare, decidere. In un momento in cui i grandi gruppi si muovono come conglomerati finanziari, la sfida è restare rilevanti senza snaturarsi.
«Io preferisco la ricerca del dettaglio che invita a osservare e conoscere meglio», ripeteva. Un approccio distante dalle logiche del fast fashion e dalle sirene del digitale a ogni costo. Ma anche questo, forse, dovrà essere riletto alla luce dei cambiamenti generazionali.
Family first, ma con regole precise. Non a caso, mentre in Italia ci si interroga sul destino della maison, in Francia Bernard Arnault – patron di Lvmh – ha portato cinque figli nel consiglio del gruppo, preparando la successione con disciplina imperiale.
Ora anche il gruppo Armani entra nella sua seconda vita, con una bussola chiara: fare come avrebbe fatto lui, il fondatore. Con discrezione, ma con fermezza.
Le tappe del gruppo Armani
Da Milano al mondo, la storia di un impero discreto
• 1975 – Giorgio Armani e Sergio Galeotti fondano la Giorgio Armani S.p.A. a Milano.
• 1981 – Nascono Emporio Armani e Armani Jeans: il marchio si apre ai giovani.
• 1982 – Armani è il primo stilista vivente a finire sulla copertina del Time.
• 1998-2000 – Espansione nei settori beauty, arredamento e accessori.
• 2000 – Inaugurazione della sede di via Bergognone, progettata da Tadao Ando.
• 2005 – Apre l’Armani Hotel di Dubai, seguito da Milano.
• 2016 – Nasce la Fondazione Giorgio Armani, con finalità sociali e di governance.
• 2023 – Pubblicazione dell’autobiografia Per Amore.
• 2024 – Il gruppo conta oltre 9.000 dipendenti, 2,4 miliardi di fatturato e 500 boutique nel mondo.