
07/10/2025
L’indignazione e la rabbia per quello che sta avvenendo al popolo palestinese richiedono il blocco delle esportazioni militari verso Israele, la rottura dei rapporti diplomatici, un boicottaggio efficace. Ma il genocidio a Gaza è collegato con il nostro quotidiano impoverimento, con il controllo capillare a cui è soggetta qualsiasi voce di dissenso, con le politiche di gestione dei fenomeni migratori e di militarizzazione e privatizzazione delle città, con l’uso militare della ricerca universitaria, con la manipolazione dell’opinione pubblica e la corruzione sistematica. Il boicottaggio dell’economia israeliana intacca lo stesso ciclo di produzione e consumo su cui si basano le nostre vite, di conseguenza lo stesso capitalismo.
I blocchi potrebbero essere anche blocchi della nostra normalità, dei nostri schemi concettuali. A volte chi milita da tempo per cambiare il mondo finisce per mirare più a mantenere inalterati i propri metodi e il piccolo potere che si è conquistato. Chi è arrivato ora, invece, per quanto si possa meritare i “dov’eravate quando noi…?”, potrebbe essere portatore di strategie e idee nuove. Ma allora, chi mobilita chi? Chi guida le mobilitazioni? Un movimento così grande per la Palestina, per cominciare dovrebbe essere guidato dai palestinesi, più che dalle “strutture” di movimento, per evitare di riprodurre logiche coloniali anche tra di noi. E le nuove ondate di manifestanti non devono essere indotte ad adottare i “nostri” metodi di lotta; siamo noi a doverci adattare a loro, se non vogliamo disperdere questa energia.
un articolo della redazione
disegno di Federica Pagano
Un giornalista palestinese pochi giorni fa ha definito la settimana appena trascorsa “un’intifada italiana”. Eppure è difficile immaginare che queste masse di persone torneranno a radunarsi a breve. Chi ha protestato contro il genocidio condotto da Israele sin da ottobre del 2023, o [...]