24/10/2025
SUD: IL DESERTO ELETTORALE NEL VUOTO DELLA POLITICA
(Lettera Napoletana) Alle elezioni regionali della Calabria (5-6 ottobre) ha votato solo il 43,15 degli elettori. In cifre, su 1 milione e 884 mila, oltre un milione di elettori ha rinunciato a votare.
ll rifiuto del voto è in aumento costante in Italia dalla fine degli anni ’90 in Italia, ma al Sud è più marcata. In Calabria alle regionali del 2021 aveva votato il 44.3%, in Sicilia il 48, 8%. Campania e Puglia non avevano superato rispettivamente il 55,5% e il 56,4%.
Eppure, gli studiosi di politica classificano le elezioni amministrative come le più vicine agli interessi della gente. In questo tipo di elezioni il giudizio sui candidati al Comune o alla Regione, è più diretto perché vivono sul territorio, e meno condizionato dai mezzi di comunicazione. Ciò nonostante alle elezioni Comunali del 2021 a Napoli ha votato il 47,1% e a Palermo il 41,8. Un anno dopo, alle elezioni politiche del 25 settembre 2022, in nessuna grande città del Sud (Napoli, Palermo, Catania, Reggio Calabria, Foggia, Bari) si è arrivati al 60% dei votanti. E a Reggio Calabria non si è arrivati neanche al 50%.
Alle elezioni europee (8-9 giugno 2024), per scegliere i deputati a un parlamento privo di poteri rispetto alla burocrazia tecnocratica della UE, le più lontane dagli interessi del Paese reale, si è raggiunta in Italia l’affluenza più bassa per una consultazione nazionale (49,6%). Nelle città del Sud i picchi della disaffezione: Napoli 36,8%; Palermo 36,5%; Catania 33,03% L’Aquila, 41,6%; Bari 43,5%, Reggio Calabria 39,7%.
PERCHÉ IL SUD NON VOTA
C’è un doppio rifiuto nell’astensionismo elettorale del Sud. Il primo è l’effetto di una politica che, indipendentemente dai Governi che si alternano, non modifica la condizione di sottosviluppo economico e di arretratezza. I programmi per il Sud delle coalizione di centrodestra e centrosinistra non variano di molto. Certo, c’è un carattere più marcatamente statalista e assistenziale nei programmi di Pd, M5S e alleati minori. In Campania, dove si voterà per le regionali il 23 e 24 novembre prossimi il candidato del “campo largo” della sinistra Roberto Fico (M5S) ripropone la misura assistenziale del reddito minimo di cittadinanza, voluto dal Governo Conte 2, che ha alimentato da aprile 2019 a dicembre 2023 il lavoro nero e ha contribuito a deprimere l’economia meridionale a danno delle imprese.
Ma da parte del centrodestra, che punta invece su una minore tassazione e sulla fiscalità di vantaggio prevista per la ZES (Zona Economica Speciale) per attrarre le imprese, non c’è una differenza nel modo di concepire il futuro del Sud.
Intanto, la ZES unica decisa per le 7 regioni del Sud più la Sardegna è stata estesa ad agosto per decisione del Governo Meloni a Marche e Umbria, rendendo quindi meno competitivo il Sud. Ma il punto decisivo è che l’arrivo di multinazionali e di imprese del Nord attirate dagli incentivi e dalle agevolazioni fiscali non innesca un processo di sviluppo autopropulsivo, cioè alimentato dalle risorse interne e non dipendente da sussidi pubblici, che è quello che serve al Sud.
LE FUNZIONI DIRETTIVE PERDUTE
Lo smantellamento dell’apparato industriale del Regno delle Due Sicilie, il trasferimento al Nord dei Centri decisionali con la creazione del triangolo industriale Milano-Torino-Genova dopo l’unificazione, e l’emigrazione massiccia prima di braccia e poi di cervelli a partire dagli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, che ne sono state la conseguenza, sono continuate fino a oggi:
«L’Istat segnala che nel biennio 2023-24 sono stati 241.000 i residenti che hanno lasciato il Sud per il Centro -Nord, a fronte di soli 125.000 movimenti nella direzione opposta: un saldo negativo di 116.000 persone in appena due anni. Nel decennio 2014-2023 l’emorragia è stata ancora più evidente, con circa 1,15 milioni di residenti persi dal Mezzogiorno a vantaggio del Nord.
Solo la Campania nel 2023 ha registrato un saldo migratorio interno di circa -21.000 unità, con Napoli tra le aree più colpite (…) oggi un emigrato su tre ha tra i 25 e i 34 anni e quasi la metà è laureato» (Giovanni Adelfi, ROMA 7.10.2025).
Per la destra politica come per la sinistra il destino del Sud è quello di diventare un hub di smistamento delle merci da e per l’Africa, una zona di vantaggio fiscale per multinazionali e imprese del Nord e un giardino di vacanze per turisti.
Per il Sud, considerato come una colonia, non sono previsti centri decisionali. Lo conferma l’appalto per i progetti di sviluppo che sia i Governi di sinistra che quelli di centrodestra, hanno dato alla lobby nordista dello Studio Ambrosetti.
LA RAPPRESENTANZA POLITICA IN CRISI
La seconda ragione dell’astensionismo elettorale è il fallimento della rappresentanza a suffragio universale della democrazia liberale. Questo tipo di rappresentanza dovrebbe valorizzare il “voto di opinione”, quello delle famiglie politiche eredi delle ideologie del ‘900.
Ma il voto di opinione è ormai quasi scomparso. L’Unione Europea, che impone regole sempre più stringenti, il pensiero dominante in tutti i partiti, l’accettazione generalizzata di idee fallimentari come il Welfare State, la promozione della sottocultura Woke, il trasformismo degli eletti, pronti a cambiare partito a ripetizione per assicurarsi la rielezione, hanno messo a n**o la crisi di un sistema che non rappresenta più nessuno.
Resta il voto di interesse, ma non si tratta degli interessi legittimi del Paese reale (famiglie, parrocchie, imprese, ordini professionali, associazioni) che chiedono di essere rappresentati, ma degli interessi delle clientele politiche, lobbies, consorterie,criminalità organizzata.
Grazie alla partecipazione sempre più bassa alle elezioni il voto di interesse è diventato decisivo. A votare ormai ci va solo chi deve ricevere favori e benefici dai candidati. Così gli equilibri politici – come confermano i risultati delle elezioni regionali – si stabilizzano. Chi gestisce il potere si conferma grazie al controllo degli assessorati, alle nomine negli enti pubblici, all’assegnazione degli appalti.
Alle regionali della Toscana (12-13 ottobre), una regione con un forte radicamento della sinistra, ha votato solo il 47,7% degli elettori. Ma è bastato al Pd per mantenersi al potere, anche perdendo quasi 100 mila voti rispetto alle regionali del 2020, e al presidente uscente Eugenio Giani per farsi rieleggere nonostante i 110 mila voti persi.
Ai partiti – al di là di qualche ipocrita lamentela sull’astensionismo – va bene così. Un elettorato ristretto è più controllabile e non li obbliga a rappresentare idee, valori, aspirazioni legittime. Basta scambiare favori e poltrone. Ecco perché nel vuoto della politica avanza il deserto elettorale. (LN185/25)