04/10/2025
Quando Giulia Supino, regista e anima coraggiosa, mi propose l’idea di dare vita a Cu’ Caravaggio, confesso che rimasi spaventato. Non tanto per il nome che evocava già un gigante della pittura, ma per la responsabilità di affrontare un viaggio che non fosse semplice riproposizione, ma ricerca autentica di senso. Perché è facile, oggi, ripetere ciò che è stato già fatto e rifatto. La vera sfida, invece, è osare. Osare parole, visioni, domande. Osare nel cuore della complessità dei nostri giorni, in cui l’arte rischia troppo spesso di limitarsi a specchiarsi in sé stessa, dimenticando di consegnare messaggi utili.
Così è nato questo progetto, che più che spettacolo si è rivelato percorso. Un cammino di studio e di ricerca: letture teologiche, approfondimenti critici, confronti, notti spese a interrogarci su come restituire Caravaggio non come reliquia, ma come presenza viva. La sua ombra e la sua luce, i suoi chiaroscuri, i suoi abissi e le sue altezze sono diventati materia viva da evocare sulla scena.
Abbiamo scelto di concentrarci su quattro delle sue opere più significative, non per raccontarle ma per farle vibrare di nuovo, per permettere al pubblico di sentirle nel respiro del presente. E a questo si sono aggiunti tre testi inediti di canzoni, che ho firmato come parte di un dialogo poetico con il maestro lombardo: versi che nascono dal bisogno di dare voce a ciò che la pittura lascia intuire ma non dice. Musicati ed arrangiati da due maestri Ciro Formichella e Giovanni Barbaro che hanno scelto di condividere questo percorso con noi.
Cu’ Caravaggio non è stato dunque un lavoro di rassicurazione, ma di coraggio. È un invito a guardare il buio senza paura, a scorgere la luce che lo attraversa, a capire che ogni epoca – la nostra più che mai – ha bisogno di artisti, di spettatori, di esseri umani capaci di attraversare la complessità senza fuggirla.
Il mio grazie, innanzitutto, va al Comune di Napoli e all’assessore Teresa Armato, che due anni fa rimase colpita dal progetto, riconoscendone subito la forza. Un ringraziamento speciale anche al Presidente del Consiglio Comunale, Enza Amato, che con spirito di amicizia e sincera condivisione ci ha sostenuti nel costruire un ponte autentico tra la nostra visione e l’amministrazione cittadina.
Un pensiero grato va poi al Corriere di Pianura, ad Antonio Di Maio e ad Augusto Santojanni, che non hanno mai fatto mancare la loro vicinanza alle nostre idee e il loro supporto concreto.
Un ringraziamento sentito ai musicisti, che incontrerete tra le pagine di questo magazine speciale e che hanno saputo tradurre in suono la vibrazione delle immagini; agli attori, straordinari talenti provenienti da periferie spesso dimenticate, che sorprenderanno per la loro intensità e bravura; e all’amico Giorgio Carandente Coscia, attore sublime, che ha sempre creduto nelle mie proposte e le ha sostenute con generosità.
Infine, il grazie più grande va a colei senza la quale Cu’ Caravaggio non sarebbe mai esistito: la regista Giulia Supino. Questo lavoro è stato scritto sì a due mani, ma soprattutto a quattro occhi. Occhi che hanno saputo guardare insieme nella stessa direzione, illuminando il coraggio di trasformare un’idea in un’opera viva. Oltre alla regia, Giulia ha curato con straordinaria dedizione la rete di collaborazioni con le scuole della città, ha seguito con precisione l’aspetto burocratico con il teatro Porta del Parco, ha orchestrato con passione e rigore l’organizzazione del cast e ha reso possibile una preziosa partnership con la scuola Progetto Danza, che ha arricchito ulteriormente la forza e la completezza del progetto.
Con Cu’ Caravaggio si chiude una trilogia che avevo iniziato con Cu’ Dante e poi proseguito con Cu’ Viviani. Tre viaggi diversi ma legati da un unico desiderio: far dialogare i grandi maestri del passato con il nostro presente, nelle pieghe luminose e dolorose delle nostre vite. Portare a compimento questo percorso mi riempie di emozione e di gratitudine, ma anche di un filo di amarezza: perché so quanto sia difficile fare arte in una periferia che meriterebbe opportunità, ma che troppo spesso rimane esclusa da scelte amministrative miopi e discutibili.
Eppure, nonostante le fatiche, i limiti e gli ostacoli, credo che proprio qui, nelle terre dimenticate, l’arte possa e debba rinascere. Perché è nelle periferie che il coraggio trova la sua voce più autentica, e che il sogno, se condiviso, può davvero diventare resistenza e futuro.
Armando De Martino