Negrar di Valpolicella News

Negrar di Valpolicella News Storia locale, curiosità, aneddoti
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ATTENZIONE !!! LE IMMAGINI RIPORTATE NELLE FOTO ALLEGATE POTREBBERO URTARE LA VOSTRA SENSIBILITÀ.Per le strade, per i ma...
04/07/2025

ATTENZIONE !!!
LE IMMAGINI RIPORTATE NELLE FOTO ALLEGATE POTREBBERO URTARE LA VOSTRA SENSIBILITÀ.

Per le strade, per i marciapiedi, per gli angoli di verde nel territorio del nostro comune.
Purtroppo la maleducazione di molti proprietari di cani é, dolorosamente, evidente.
Basterebbe una volontà di educazione per evitare ciò.
Segno di mancanza di volontà di raccogliere le deiezioni

COME SI MANGIAVA IN LESSINIA E  NEL TERRITORIO DI NEGRAR DI VALPOLICELLA ...LA PECORA BROGNA, CON IL SUO MERCATO SETTIMA...
29/06/2025

COME SI MANGIAVA IN LESSINIA E NEL TERRITORIO DI NEGRAR DI VALPOLICELLA ...LA PECORA BROGNA, CON IL SUO MERCATO SETTIMANALE

Prima che l’economia locale crescesse, anche per il vertiginoso aumento della produzione vinicola, sulle tavole dei cittadini della nostra vallata la carne non era molto inserita nel menù giornaliero, almeno fino ai primi anni sessanta del secolo scorso.
La carne bovina era cara e chi aveva un orto almeno poteva contare su verdura, uova e galline , mentre gli altri si dovevano accontentare di cibi poveri quali polenta, tripe ( trippe) , renga ( aringa), cospetòn ( salacca), bacalà ( stoccafisso), e questi ultimi tre cibi invece oggi sono tra i più cari.

Però vi era, economica per quel tempo, la carne di pecora brogna, tanto che ogni lunedì mattina, al mercato di Negrar di Valpolicella, venivano venduti molti capi di questo animale, le cui carni erano una valida alternativa a quella bovina.

La pecora brogna è l’unica razza autoctona della montagna veronese sopravvissuta all’estinzione, è che è particolarmente generosa perché produce carne, latte e lana. Di quest’animale non si spreca nulla.
Si adatta bene all'ambiente montano locale. Il nome della razza potrebbe derivare da quello del soppresso comune di Breonio, oggi parte di Fumane .
La carne di pecora brogna, è caratterizzata da un gusto delicato che ben si distingue dal tipico sapore di ovino che contraddistingue, in genere, altre razze. Molto adatta ai palati moderni, non presenta, infatti, il tipico afrore montonino non sempre gradevole.

La pastorizia è sempre stata un’attività fondamentale per le genti della Lessinia a partire dal Neolitico.
A dare un impulso decisivo all’allevamento ovino è nel 1287 il Vescovo di Verona, Bartolomeo della Scala che favorisce l’insediamento dei coloni bavaro-tirolesi (i Cimbri) che si dedicano al disboscamento del territorio e allo sviluppo della pastorizia.
La storia della pastorizia in Lessinia, si intreccia con quella degli Scaligeri e delle nobili famiglie veronesi che, nella montagna veronese avevano costruito numerose malghe presso le quali erano insediati gli allevamenti da cui si ricavava lana pregiata che veniva commercializzata in città nella corte delle Sgarzerie facendo concorrenza ai mercati delle Fiandre e dell’Inghilterra. La lana, di qualità pregiata, veniva scambiata e filata fino a 50 anni fa nel mercato di Badia che era sorto anche per permettere la compravendita dei prodotti della Lessinia.
La lana veronese, in epoca medioevale, era già famosa e rinomata. Fino al 1500 i prodotti realizzati con la lana delle pecore locali conoscono un mercato fiorente. La lana lavorata, filata e tinta era utilizzata per la produzione degli allora ricercati “panni alti veronesi” che costituivano un articolo molto pregiato e richiesto.
Questa attività artigianale p***e gradualmente d’importanza dal XVI secolo, quando si impose l’allevamento del baco da seta e la produzione dei suoi filati. La storia della pecora brogna si intreccia strettamente con tutta l’attività antropica del territorio della Lessinia e si dimostra complementare ad essa, non solo nel settore della produzione e commercializzazione dei suoi derivati, ma anche come valido partner nell’opera di salvaguardia dell’ambiente naturale, quale strumento privilegiato contro la continua avanzata del bosco e degli arbusti spinosi, favorendo la pulizia dei pascoli scoscesi.

Purtroppo, nel tempo, causa sia per i cambiamenti di gusto ma,soprattutto, per il continuo abbandono delle aree montane, la sua importanza iniziò a diminuire. L'allevamento di pecore divenne secondario rispetto all'allevamento del bestiame nella zona; da circa 30.000 capi di pecora sull'altopiano alla fine del XVIII secolo, il numero era sceso a 5334 in un censimento del 1881. All'inizio degli anni '80 un censimento della razza Brogna contava 50 capi ed era considerato vicino a estinzione. Nel 1994 i numeri erano saliti a oltre 4500 ma oggi i capi stimati non sono oltre i 3150, allevati da non più che 14/15 pastori, protetti da un'associazione per la difesa e la promozione della pecora brogna.L’associazione nasce nel Maggio 2012, riunendo allevatori, tecnici del settore, ristoratori e trasformatori, con lo scopo di evitare l’estinzione di una razza autoctona, patrimonio di biodiversità culturale della Lessinia.

CACCIA ALL’ORO IN VALPOLICELLA!Dove trovare un tesoro se non al  Monte Tesoro?? Due articoli apparsi nel gennaio 1879 su...
22/06/2025

CACCIA ALL’ORO IN VALPOLICELLA!

Dove trovare un tesoro se non al Monte Tesoro??
Due articoli apparsi nel gennaio 1879 sul quotidiano « L’Arena » annunciano che ben 49 abitanti di Giare avevano costituta una società per scavare al Monte Tesoro per ricercare oro.
Ricordiamo che negli anni del 1800 l’abitato di Giare faceva parte dell’allora comune di Prun, quest’ultimo tra le due guerre mondiali venne assorbito da quello di Negrar di Valpolicella, dove si era diffusa la voce che un grandissimo valore in oro era sepolto sotto il vicino monte.

Si raccontava che « ivi sepolti dodici cacciatori d’oro con armi d’oro, dodici cavalli d’oro con finimenti d’oro, dodici cani d’oro che cacciavano dodici lepri d’oro ».
Già due anni prima, ai piedi del monte, furono rinvenuti un idoletto e qualche paio di monete. Ciò rafforzó l’illusione che bastasse scavare per trovare una grande fortuna.
Ma nonostante grossi spostamenti di terra, anche utilizzando mine, nulla venne ritrovato se non alcuni ruderi di una torre di un forte di epoca romana.
Dopo poco tempo la société dei speranzosi quarantanove si sciolse e del tesoro non se ne parlò più.

Forse l’unica cosa che rimase fu il nome del monte Tesoro.

UN EROE, E UNA SCUOLA CHE NON LO RICORDA PIÙ MA,  FINALMENTE,  POTREBBE, E DOVREBBE  RICORDARLO, Al Tenente Alpino Luigi...
16/06/2025

UN EROE, E UNA SCUOLA CHE NON LO RICORDA PIÙ MA, FINALMENTE, POTREBBE, E DOVREBBE RICORDARLO,

Al Tenente Alpino Luigi (Gigi) Turri, classe 1914, eroe ed unica medaglia d’argento militare di Negrar di Valpolicella al valore , caduto eroicamente in Grecia, a Briaza, il 5 novembre 1940, fu intitolata, come da molte testimonianze raccolte , la scuola elementare di San Peretto di Negrar di Valpolicella.

Incidentalmente , nel 1964, durante i lavori di restauro dell’edificio scolastico, la targa col suo nome fu divelta, e mai rimessa al suo posto.

Dopo 85 anni dalla sua scomparsa è doveroso ridare il nome del Tenente Turri, alla cui memoria i vari alunni della scuola potranno essere informati ed edotti su questa figura, della quale essere orgogliosi.

Purtroppo chi guidava l’Amministrazione comunale precedente, alla proposta, ha palleggiato tra lui e la dirigente scolastica senza addivenire, nonostante le reiterate promesse, a rinnovare il nome della scuola

Perchè? Cosa si aspetta a ridare memoria pubblica a questo valoroso reintitolando la scuola primaria di San Peretto, come già fu fatto? Sarebbe un giusto gesto di rinnovamento della riconoscenza come nei primi anni 50 il Comune, guidato dall’indimenticabile Sindaco Ghedini, decise.

Auspichiamo che ciò possa avvenire nel breve, senza indugi, grazie soprattutto alla nuova sensibilità dell’attuale amministrazione.

Se poi qualcuno dovesse, per mancanza di memoria, adombrare dubbio sul fatto che la scuola fosse nominata in onore del Tenente Turri, rispettiamo la sua titubanza ma, a maggior ragione, sottolineiamo che il nome degli Eroi va evidenziato tra coloro che hanno data la Vita alla Patria.

IL BORGO IL CUI NOME PARE ABBIA DUE ORIGINI…ED UN TESORO NASCOSTO.Ponton è un borgo affacciato sul fiume Adige, un tempo...
09/06/2025

IL BORGO IL CUI NOME PARE ABBIA DUE ORIGINI…ED UN TESORO NASCOSTO.

Ponton è un borgo affacciato sul fiume Adige, un tempo un importante snodo commerciale per il trasporto di merci tra Verona e il Trentino. Il nome del borgo deriva dal latino pontem, ovvero ponte, e infatti Ponton era un punto cruciale per l’attraversamento del fiume.

Altre fonti, invece, dicono che io paese deve il suo nome al “ponton” che, in tempi antichi, era la barca usata per trasportare i marmi dal paese di Cavaion, all'epoca Cavajon (dove c'erano cave di marmo) fino a Sant'Ambrogio dove venivano lavorati

Durante il Medioevo, il borgo era un centro di commerci e scambi, ed è ancora possibile vedere i resti di alcune antiche costruzioni legate a questa attività.

Alcune leggende parlano di un tesoro nascosto nei pressi del fiume,, appartenuto a una famiglia nobile fuggita da Verona durante le guerre medievali tanto che, tutt’ora, sembra che qualcuno continui a cercarlo l.

Nei pressi del borgo si trovano i resti di un ponte romano sommerso, visibile solo quando il livello dell’Adige si abbassa.

( all. immagine di fantasia di come potesse essere lo storico ponte)

LA LEGGENDA DEL PONTE DELL’AGATA, O UNA VERITÀ? Questo ponte si trova vicino a Torbe, il paese a pochi chilometri a nord...
02/06/2025

LA LEGGENDA DEL PONTE DELL’AGATA, O UNA VERITÀ?
Questo ponte si trova vicino a Torbe, il paese a pochi chilometri a nord di Negrar di Valpolicella.
Fino agli inizi del 1900, il "ponte" era costituito da assi di legno non solide appoggiate su due tronchi d'albero sparsi su una stretta gola, che univa le due sponde scolpite da un ruscello, raggiungibile solo da un ripido sentiero.
Il burrone prese il nome da una vecchia vedova , una certa Agata, che viveva da sola in un tugurio, ora sistemato, ma che mantiene il suo nome. Per accendere il fuoco, Agata andò a raccogliere legna nei boschi, dall'altra parte della valle.
Era una sera di ottobre e la vecchia, come dice la leggenda, stava tornando a casa con il suo carico, ma quando arrivò sul ponte, le assi traballanti le fecero perdere l'equilibrio, forse a causa del peso che stava trasportando e così lei cadde nel baratro. Non vedendo il suo ritorno, i vicini hanno dato l'allarme e l'intero vicinato ha iniziato a cercare la vecchia con le lanterne quando era già buio, ovviamente temendo il peggio. In realtà Agata era caduta nel burrone, ma la sua "cotole" (la sua ampia e pesante gonna) si era aperta come un paracadute e le aveva impedito di cadere rovinosamente . La trovarono, apparentemente tranquilla, che stava cercando la pantofola che aveva perso nell'acqua del ruscello.
Da quel momento il ponte fu chiamato "ponte dell'Agata".
Le seguenti immagini mostrano come era, esticamente, il ponte. Ora al posto delle travi in legno ci sono due binari della ferrovia all epoca di Verona austriaca.

ps. attualmente di quasi impossibile attraversamento in quanto completamente avvolto da aggressivi folti arbusti spinosi

NELL’ALTA VALPOLICELLA LA SANTA BALLERINA CHE DIEDE IL NOME AL PAESE OVE VISSE.La sfrenata passione per il ballo di una ...
28/05/2025

NELL’ALTA VALPOLICELLA LA SANTA BALLERINA CHE DIEDE IL NOME AL PAESE OVE VISSE.

La sfrenata passione per il ballo di una ragazza cimbra è all’origine del cambiamento del nome di una contrada della Lessinia occidentale.

Non lontano da Ceredo, località di Sant’Anna d’Alfaedo, a 721 metri sul livello del mare, c’era una volta la «contrada della Ballerina», ora, purtroppo, un cumulo di macerie. La località, sulle carte topografiche è indicata col nome di Tànzari. Un toponimo che tradisce l’origine cimbra. I costruttori, probabilmente gli stessi antichi abitanti, non battezzarono Tànzeri questa nuova località, ma la chiamarono «Le Stellette».

Il cambiamento del toponimo da Stellete a Tànzerin, storpiato in Tànzari, è legato ad una curiosa storia di alcuni secoli fa. Il toponimo Tanceris è attestato in almeno due documenti testamentari del ‘500.

Come tutte le storie, anche questa comincia con un «c’era una volta a Le Stellette» una ragazza che abitava con i familiari: la giovane aveva in corpo una gran voglia di ballare. Dalle località vicine (Ceredo, Anepossse, Valèn e specialmente da Ledro e da Làita, altro nome cimbro in quanto Leite significa pendìo, declivio), arrivavano giovanotti in compagnia di ragazze, muniti di fisarmonica, chitarra e di un «pistonsèl de vin». E poi si ballava e si danzava per lunghe ore con la compiacenza della padrona di casa.

La Lucilla (di cognome faceva Cristanelli) - così si chiamava la ragazza ballerina, era l’anima di quelle serate danzanti al lume di candela, tanto che la contrada cominciò ad essere chiamata da tutti non più delle «Le Stellette», ma della «Tànzerin», che in cimbro vuol dire «ballerina». Un giorno d’autunno, passò da quelle parti un frate «sércoto» (che cercava ca**tà) per la raccolta delle castagne. Il questuante, vestito con il suo lungo saio, conosciuta la sfrenata passione della Lucilla per il ballo, lanciò nella contrada oscure minacce di arrivo di disgrazie, di malattie, di morti misteriose, se la ballerina non avesse cambiato vita. Che sia stato per il timore delle previsioni nere del frate o per altri motivi, sta di fatto che all’inizio della primavera, la Lucilla smise di ballare. La ragazza non accettò più in casa gli amici e le amiche per le radunate con la musica, si mise invece a pregare, a fare penitenza, a digiunare e a portare il cilicio(cilizio, la cintura o altro oggetto ruvido, reso più molesto da nodi, portato sulla pelle per penitenza.

Alla fine dell’estate, la giovane Lucilla, ormai esausta, morì. Messa nella cassa, al posto di un cuscino, fu messo sotto il capo della giovane una manciata di rametti di castagno, con le sue foglie verdi. Dopo partecipati funerali, fu sepolta nel cimitero di Sant’Anna.

Erano passati già una quindicina d’anni quando fu scavata la buca dove era stata sepolta la Lucilla per far posto ad una nuova salma. Il beccamorto fu quasi preso da un infarto quando, aperta la cassa dove riposava Lucilla, scoprì che sotto il cranio c’erano rametti di castagno con le foglie ancora verdi.

Pallido e tremante corse dal pievano per metterlo al corrente della scoperta. Arrivati nel cimitero, i due constatarono che sulla croce si poteva ancora leggere il nome della defunta: «Cristanelli Lucilla». «La Lucilla era veramente una santa», esclamò il parroco. «Le foglie verdi sono la prova più chiara. Però non possiamo farla dichiarare santa da Roma perché ci vogliono moltissimi soldi. Sarebbe la rovina del nostro paese». E concluse: «È meglio non dirlo a nessuno. Scava dunque una buca più profonda e là sotto nascondi le ossa e le foglie verdi». Il becchino esegui l’ordine del parroco ma, non molto tempo dopo, cominciò a raccontare in gran segreto agli amici quanto aveva visto.

La casa ora non vi è più, ma la foto ci ricorda come era.

PERCHÈ IL NOSTRO PAESE NEGRAR, LE SUE FRAZIONI E CONTRADE SI CHIAMANO COSÌ?ALLA RICERCA DELLE ORIGINI.Ogni nome ha un or...
22/05/2025

PERCHÈ IL NOSTRO PAESE NEGRAR, LE SUE FRAZIONI E CONTRADE SI CHIAMANO COSÌ?
ALLA RICERCA DELLE ORIGINI.

Ogni nome ha un origine, una ragione ed anche trasformazioni nel tempo. Elenco delle località più frequentate.

ANTOLINI: nome recente da famiglia di agricoltori abitanti nel XVII secolo
ARBIZZANO, dal latino , probabile della famiglia di Albucius o Albicious o Albino. Stessa radice per Albisano di Torri.
BUSE: nome dovuto all’andamento morfologico dell‘area
CALALBA. da “Cala“, stradicciola per salire sugli argini più “Alba”=bianca
CERÈ, abbreviazione di “Cerretum”. luogo piantati a cerri.
CHIEVE,il nome indica terreno in pendio, dal latino « Clivus »= erta, poggio, collina.
CIRESOL, da « cêrâsus »=ciliegio.
CIRIACO (San), in origine Cergiago,Sergiago, Ciriago per divenire Ciriaco=Domenico.
COLOMBARE: da presenza di abitazioni con torri Colombare
COSTEGGIOLA, diminuitivo di costa, indica una proprietà, un aspetto del suolo.
CRESTENA, si suppone da “dedicata a Cristo”
FANE, da « fugus o fugulus »=faggio, per alcuni da “frana”
FORLAGO, da « fossaghi »= deriva da fosso o fossa.
JAGO, dal nome latino di persona « Allius ».
MASO, dal latino « mansum »=luogo di dimora, abitazione. Di origine longobarda. Infatti le terre di proprietà dei re longobardi erano divise in corti, corti minori, corticelle, sorti e masi. Il maso era formato da una casa con una sola famiglia.
MASÙA, stessa derivazione di maso.
MAZZANO, dal nome personale latino « Mattius ».
MONTECCHIO, da « monticulus »=monticello.
MORON, (Vicus Moroni) probabilmente dal nome personale « Maurus »=moro.
NEGRAR, varie teorie, chi lo fa derivare da « nux »=noce e chi da « nucula »=nocciola, mentre altri da « Niger » riferendosi al colore del terreno della valle; Negrar nei tempi antichi era chiamato « Nigrarium o Nigrarius » a dire paese della terra nera.
NÒVARE. dal latino « novulae » diminuitivo di « novus »= terre nuove.
POJEGA, nome di contrada e di casato, da “pulliatica” cioè pianta dai folti rami.
PREPERCHIUSA origine da « pietra forata »
PROGNO, da “pronu” denominazione latina di un torrente.
PRUN, da “prunus” nome di pianta.
QUENA (Vicus Acquaenae), è una delle molte derivazioni dal latino “aqua” segno di sorgente in loco.
RIONDA ( Vicus Varionde) dalla voce latina “rotundos”.
ROVERETI, nome di contrada e di casato, deriva da rovereto, luogo di ròveri.
SAGA, nome di contrada e di casato, nel 1615 tra i Consigieri della Valle, vi era un certo “Giacomo Saga de Negrar”.
SAN PERETTO, deformazione dal nome della locale chiesa intitolata a San Pietro Apostolo, del XII secolo
SAN VITO, dalla contrada che nell’undicesimo secolo si creó intorno alla chiesa romanica dedicata al Santo.
SENGIA SBUSA (petre pertuse) da “Ficus Petre Pertuse”= contrada dalla roccia bucata, da cui scaturisce il toponimo Perperchiusa, dialettalmente Parpaciusa
TOMENIGHE ( Vicus Tomanica) forse dal nome personale Domenico.
TORBE, come per Negrar anche questo nome forse dalla qualità del terreno: torbido, in dialetto torbolo.
VERIAGO (Val di...), dal nome personale latino « Verrius »
VIGOLO, da « vicus »= contrada, mentre per alcuni potrebbe essere da « vicinus »=vicino
VILLA, sicuramente dall’esistenza della villa romana ritornata ad essere nota dopo i nuovi recenti scavi.

UNA CHIMERA IN VALPOLICELLA? SI, LA CHIMERA DI CORRUBBIO!Non molti sanno che al centro del paese di Corrubbio di Negarin...
17/05/2025

UNA CHIMERA IN VALPOLICELLA? SI, LA CHIMERA DI CORRUBBIO!

Non molti sanno che al centro del paese di Corrubbio di Negarine, nel cuore della Valpolicella, in piazza XXV Aprile, é collocato oggi un monumento dalla forma piramidale in memoria delle vittime della terribile deflagrazione della polveriera di „Forte Corrubbio“, provocata dall‘esercito tedesco in ritirata la notte del 25 aprile 1945.

Sulla sommità della struttura é stato collocato un elemento ben più antico, probabilmente del primo secolo d.C., un grosso plinto di pietra un tempo usato come panchina presso la vicina chiesa di San Martino.

Si tratta di unico blocco di calcare ammonitico su cui é ripetuta due volte, sui lati corti, la stessa immagine.
Un animale fantastico, la creatura mitologica per eccellenza: una CHIMERA, rappresentata con la bocca aperta, quasi bloccata nel momento dell‘azione.
Secondo il mito, la chimera era un mostro con testa e corpo di leone, una seconda testa di capra sulla schiena e una che in realtà é un serpente.
Il mostro, così concepito, veniva spesso raffigurato con le fauci spalancate, nell‘atto di vomitare fuoco, ed era considerato l‘incarnazione delle forze distruttrici.

La chimera era una belva primordiale, figlia di Eneide e Tifone, il gigante che aveva osato sfidare gli dei.
La chimera raffigurata sul plinto di Corrubbio é un‘opera modesta rispetto alla più nota chimera di Arezzo, oggi al Museo Archeologico nazionale di Firenze, ma l’artefice la lavorò con abilità e maestria.

La criniera del leone emerge dal fondo, grazie alla presenza di ciocche e ciuffi, realizzati ad altezze e con volumi diversi, creando un effetto di chiaroscuro.
La testa della capra, sulla schiena, guarda nella stessa direzione del leone, mentre il serpente volge lo sguardo verso la parte opposta.

Molte similari immagini riconoscono una visione piuttosto pessimistica dell’Oltretomba, dove gli uomini sono in balia di mostri e di belve, visione che viene ricondotta a credenze di origine etrusca che hanno possibili radici nella religiosità degli Arusnates
Anche l‘immagine della chimera, di non vi é traccia in altri monumenti figurati del Veronese, suggerisce una stretta relazione con la cultura etrusca, della cui mitologia costituiva elemento significativo.

( aut. Mareva De Frenza- da „Le pietre raccontano…in Valpolicella“)

UN MOAI IN VALPOLICELLA Lo sapete che anche nel territorio di Negrar di Valpolicella abbiamo un MOAI?  Non come i MOAI d...
15/05/2025

UN MOAI IN VALPOLICELLA

Lo sapete che anche nel territorio di Negrar di Valpolicella abbiamo un MOAI? Non come i MOAI di pietra dell’isola di Pasqua ma ricavato in un tronco. L’autore Siro Tommasi ha realizzato in quel di Torbe questa bellissima scultura lignea. La possiamo ammirare a Torbe in via Galdè. Autore è lo stesso che ha fatto il bel leggio in ulivo per chiesa Torbe .
Se avete foto o maggiori informazioni su questo MOAI grazie per condividerle.

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Via Roma
Negrar
37024

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