11/07/2025
DA NEGRAR DI VALPOLICELLA FINO IN SUD AFRICA ED OLTRE IN CAMPER.
Due coraggiosi concittadini, Chiara e Giulio, accompagnati dalla cagnolina Yuki, ci hanno ora raccontata la loro pazza avventura, a volte non facile. Tutta da leggere e vedere nella prima immagine il loro percorso, per vivere insieme a loro il lungo viaggio.
Ecco cosa ci hanno detto, nell’intervista a distanza. Una profonda riflessione da condividere.
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Quando siamo partiti la prima volta, non sapevamo che sarebbe stata solo l’inizio. Avevamo sistemato alla meglio un vecchio camper, comprato con pochi soldi e tanta incoscienza, per inseguire una sensazione che ci tirava forte dentro: la libertà. Era il 2020. L’Italia era ferma, ma noi sentivamo il bisogno di muoverci. Così siamo partiti per il Nord Europa.
Quel primo viaggio, fino alle isole Lofoten, passando per la Svezia, la Finlandia e i fiordi norvegesi, è stato il nostro battesimo. Il freddo, le notti infinite, le docce gelate, i pasti improvvisati e i parcheggi sperduti tra i boschi. Ma anche i silenzi potenti, la connessione ritrovata tra di noi, l’aurora boreale che squarcia il cielo, le albe che ti spingono le lacrime fuori dagli occhi. Quella prima volta ci ha insegnato che potevamo farcela. Che potevamo vivere diversamente.
Quando l’abbiamo capito, ci siamo detti che dovevamo andare oltre e siamo rientrati in Italia con un solo obiettivo: una nuova casa per poter viaggiare ovunque nel mondo.
Così è nato Simba: il nostro camper attuale, costruito con le nostre mani, pezzo per pezzo, giorno dopo giorno. Ci abbiamo messo dentro un anno della nostra vita, delle nostre speranze, delle nostre paure. Era molto più di un mezzo: era la nostra casa nel mondo. Era la promessa di una nuova direzione.
Siamo saliti su Simba in Italia, con poche certezze e nessuna scadenza. La prima rotta è stata verso ovest: la Francia, poi la Spagna e il Portogallo per un anno di “rodaggio”.
Ad ottobre 2023 salpiamo per il Marocco e abbiamo messo le ruote per la prima volta nel continente africano.
È stato come sbarcare in un mondo parallelo: le strade caotiche, i colori saturi, i profumi forti, la lentezza delle cose e delle parole. Eppure ci siamo sentiti a casa. Forse perché l’Africa non chiede di essere capita: chiede solo di essere vissuta.
Ci siamo lasciati sorprendere, abbiamo messo da parte i giudizi e i pregiudizi e abbiamo iniziato per la prima volta davvero a sentirci non dei semplici viaggiatori ma dei cittadini del mondo.
Poi senza un piano di viaggio né una meta precisa decidiamo di continuare: per dove? Più a sud che si può.
Arriviamo in Mauritania, dopo aver attraversato l’intero Sahara Occidentale, dove il deserto comincia a parlarti davvero. Lì, nel silenzio che copre tutto, abbiamo imparato a fidarci di chi non conoscevamo. La frontiera più complicata, le ore sotto il sole, i volti tesi dei doganieri. E poi un tè offerto da un ragazzo qualunque, il sorriso di chi non parla la tua lingua ma ti capisce lo stesso.
Il Senegal ci ha avvolti con la sua energia. Dakar è stato il primo impatto urbano africano vero, vivo, ruvido e affascinante. Ma è nei villaggi che ci siamo persi, siamo stati ospitati, accolti e ci siamo guardati dentro vedendo che qualcosa stava cambiando.
La Costa d’Avorio è stata il nostro primo vero tempo di pausa. Simba aveva bisogno di attenzioni, e noi di respirare. Lì abbiamo cominciato a sentire il peso e la bellezza della lunga strada che ci aspettava. Non era più solo un viaggio, era diventata una vita vera senza andata né ritorno.
Abbiamo dovuto anche combattere contro la malaria, giusto per farci mancare nulla.
Poi Ghana, Togo e Benin. Ogni paese con la sua anima, il suo ritmo, i suoi confini mentali da attraversare.
In Nigeria ci siamo arrivati con il fiato corto: un passaggio difficile, intenso, ma necessario: attraversiamo quella che è considerata la strada più difficile dell’Africa e lo facciamo con quell’incoscienza che da sempre ci contraddistingue ma senza la quale non saremmo mai arrivati dove siamo oggi.
Poi il Camerun, dove abbiamo vissuto la foresta tropicale, la stagione delle pioggie, la fatica fisica e mentale nel renderci conto che da qui, non si torna più indietro ma si può solo andare avanti.
E ancora il Congo, Cabinda e la Repubblica Democratica del Congo, dove l’Africa mostra i suoi contrasti più duri. Strade che non sono strade, ore passate a scavare Simba fuori dal fango, lunghe attese ai check-point, ma anche bambini che ci salutano con occhi lucenti, uomini che ci aiutano senza voler nulla in cambio, donne che ci insegnano cosa significa forza.
L’Angola ci ha regalato spazi aperti e solitudine. Sabbia, luce, cieli infiniti. Era come attraversare un quadro. Poi la Namibia, che ci ha lasciati senza fiato. La natura più potente che abbiamo mai visto. Ogni giorno un paesaggio che sembrava irreale: deserti scolpiti dal vento, canyon che raccontano la storia della terra, animali liberi.
Il Botswana, natura selvaggia che ti si infila delle viscere, dormire con il respiro degli elefanti a pochi metri dalla tua casa, sorrisi veri e persone buone che ti accolgono come fossi un figlio solo per il piacere di farlo.
Ed eccoci in Sudafrica. Il traguardo simbolico, perché non è mai stato il punto d’arrivo. Ma qui, per la prima volta, ci siamo fermati a guardarci indietro. E ci siamo detti: ce l’abbiamo fatta.
Nel mezzo di tutto questo ci sono state le paure: i momenti in cui ci siamo chiesti se stessimo facendo la cosa giusta. Le notti insonni per le frontiere, le difficoltà con i visti, le spese impreviste, la stanchezza mentale. Ma ogni volta la risposta è arrivata dal fuoco acceso vicino a un fiume, dal caffè bevuto in silenzio, da una chiacchierata improvvisata con qualcuno che non ci aveva mai visti prima ma che ci ha fatto sentire al posto giusto.
Ora siamo di nuovo in Namibia.
Ci riposiamo, sistemiamo Simba, riflettiamo sul prossimo passo. Il nostro sogno è completare tutti i paesi africani visitabili via terra. Mancano Mozambico, Zimbabwe, Zambia, Malawi, Tanzania e infine il Kenya. Lo sentiamo, sarà una parte speciale del viaggio. Un’ultima curva prima di decidere verso quale altro continente continuare.
Stiamo valutando due rotte: spedire Simba in Sudamerica, oppure in Oman per risalire verso l’Asia. Ma il Medio Oriente è instabile, e ogni giorno leggiamo notizie che ci fanno pensare che forse, ancora una volta, sarà l’oceano a chiamarci.
Non abbiamo risposte chiare. Ma sappiamo che vogliamo continuare a camminare – o meglio, a rotolare – dove la strada ci porta. Perché questa vita, per quanto complicata, ci ha insegnato il valore della lentezza, dell’imprevisto, della diversità.
E soprattutto ci ha insegnato che vivere in viaggio non è una vacanza.
Non è svegliarsi ogni giorno in un posto da cartolina, né fare il pieno di tramonti o spiagge deserte. Non è nemmeno sentirsi sempre leggeri e liberi.
La verità è che questa scelta costa. Costa in fatica, in incertezze, in rinunce quotidiane.
Non abbiamo uno stipendio sicuro né rendite a farci vivere sereni, non abbiamo sponsor che ci aiutano nel viaggio, né una base dove tornare a riprendere fiato.
Ogni chilometro percorso è il risultato di un lavoro fatto con costanza, sacrificio e determinazione. Lavoriamo mentre ci spostiamo, incastrando connessioni instabili, ore rubate al sonno, editing in spazi angusti, budget da limare ogni giorno. Non possiamo permetterci tutto, e spesso dobbiamo scegliere cosa lasciar andare: un’attività a pagamento, un’esperienza troppo costosa, un pezzo di ricambio che dovrà aspettare.
Ma non ci manca nulla di ciò che avevamo prima.
Anzi, spesso ci sembra di averci guadagnato. Perché ogni cosa che oggi abbiamo è nostra davvero. Ogni tappa raggiunta, ogni piccolo traguardo, ogni chilometro in più… sono frutto della nostra volontà.
E anche quando ci chiedono se non sia tutto troppo faticoso, troppo incerto, troppo “estremo”, la risposta è sempre la stessa:
sì, è faticoso. Ma è vero.
Non abbiamo scelto di viaggiare per fuggire, ma per andare incontro: incontro a noi stessi, agli altri, al mondo così com’è, senza filtri.
E questo – pur tra mille difficoltà – è il privilegio più grande.
In un mondo che tende ad avere paura di ciò che è diverso, noi abbiamo scelto di attraversarlo. Non per raccontarlo da fuori, ma per viverlo da dentro. E ogni volta che ci fermiamo in un posto e un bambino ci guarda curioso, ogni volta che Simba si sporca di fango o polvere, ogni volta che ci manca una doccia o un letto vero, ci ricordiamo perché lo stiamo facendo.
Perché questa vita non è perfetta, ma è piena.
Perché non ci siamo mai sentiti così vivi.
Perché, in fondo, la strada è casa.
Chiara, Giulio e Yuki
IVagamondi