29/10/2025
L’arte di integrare la disabilità con lo sport
Chi non ha mai sentito parlare di Bebe Vio Grandis?
Bebe è una schermitrice che a 11 anni ha avuto una grave meningite meningococcica che ha comportato l’amputazione di tutti e quattro gli arti. Ma questo non l’ha fermata. Con la sua straordinaria forza d’animo è tornata a fare sport, in carrozzina. I risultati che ha ottenuto sono stati incredibili. Tra i più importanti, le partecipazioni alle Paralimpiadi di Rio, Tokyo e Parigi, dove ha vinto in totale due medaglie d’oro, una d’argento e tre di bronzo. Quello che però è più importante, al di là dei successi sportivi, grazie anche alla sua famiglia, e’ stato accendere un faro sul mondo delle persone con disabilità avviando un progetto sportivo di forte integrazione sociale. Si chiama art4sport, un’associazione fondata nel 2009 da Teresa Grandis e Ruggero Vio, genitori di Bebe, destinata a sostenere bambini e ragazzi portatori di protesi d’arto che vogliano praticare sport. L’associazione ha dato poi vita alla Bebe Vio Academy, un luogo in cui bambini con e senza disabilità hanno l’opportunità di praticare insieme sport diversi ritrovando benessere a livello fisico, psicologico e sociale.
Per conoscere meglio questa realtà, facciamo parlare la madre di Bebe, presidente dell’associazione art4sport, e Valentina Corà, responsabile del progetto Bebe Vio Academy.
(La Bebe Vio Academy di Roma, foto di gruppo con l’ospite d'eccezione, la calciatrice Manuela Giugliano, febbraio 2025 – foto Augusto Bizzi)
(La Bebe Vio Academy di Roma, foto di gruppo con l’ospite d’eccezione, la calciatrice Manuela Giugliano, febbraio 2025 – foto Augusto Bizzi)
Teresa, quali sono le difficoltà maggiori che avete incontrato nella realizzazione del vostro progetto?
Innanzitutto, vorrei spiegare perché è nato. Bebe voleva riprendere a fare scherma, in qualsiasi modo, nonostante le fosse stato detto che senza le dita e il polso non avrebbe mai potuto tornare a ti**re di fioretto. In quel periodo non esistevano progetti sulle protesi destinate allo sport. La reazione di Bebe è stata forte. Non avrebbe mai rinunciato alla pedana. Vista la sua determinazione abbiamo deciso di assecondarla, e la difficoltà maggiore è stata all’inizio comprendere il mondo della disabilità, perché ci siamo trovati proiettati in una realtà che non conoscevamo assolutamente. Quando esci dall’ospedale, nessuno ti spiega cosa devi fare. La chiave è stata far tornare nostra figlia alla vita sociale tramite lo sport che amava tanto.
Come siete riusciti a far fronte a questa situazione e qual è il vostro credo più forte con art4sport?
Noi siamo convinti che lo sport sia un mezzo importante che consente l’integrazione, e crediamo che le persone con disabilità non debbano vivere chiuse in casa ma debbano stare con gli altri. Nel caso di Bebe ci interessava che riuscisse a fare attività fisica divertendosi. Ricordo la prima volta in cui ha provato a ti**re da seduta con un fioretto di plastica letteralmente attaccato con lo scotch al braccio. Quando ha capito come posizionarsi, ha cominciato a macinare punti e vittorie, e quando le veniva detto di scendere dalla pedana lei ripeteva “chi vince domina”, e non c’era verso di farla smettere. Mi ha riempito il cuore sentirle dire “ecco perché mi piace così tanto la scherma”.
Quando esci dall’ospedale e hai delle amputazioni, la gente non ti accompagna per farti capire cosa devi fare. L’ospedale di fatto ti salva, ma quando sei fuori devi capire tutto da sola. Ed è per questo che è nata l’associazione. Lo sport è stato un punto di riferimento, abbiamo pensato se funziona con lei, funzionerà anche per tutti. Da qui è stata chiara la mission dell’associazione.
Ci sono stati altri aspetti difficili?
L’altro aspetto difficile è stato convincere le famiglie a portare i figli a fare sport perché non c’era ancora quell’educazione. C’erano infatti persone nate con disabilità che non conoscevano il CIP (Comitato Italiano Paralimpico). La nostra fortuna è stata poi essere stati presenti a Londra 2012, evento che ci ha aperto le porte del mondo paralimpico e permesso di diffondere meglio una cultura che fa comprendere l’importanza di attività fisiche per bambini i ragazzi. In più, dovevamo anche combattere la diffidenza delle famiglie, alcuni dicevano “Se mio figlio pratica uno sport qualcuno lo guarderà male”. La nostra risposta è sempre stata “pazienza, lo guarderà una volta, forse due e poi la smetterà”.
Relativamente alla Bebe Vio Academy, quali sono le emozioni più forti che vedete? Osservate dei cambiamenti nei partecipanti?
Unire i bambini è un momento educativo enorme per loro e le persone con disabilità, che hanno l’opportunità di vivere insieme allenandosi anche in maniera più intensa. L’aspetto più emozionante è che ai bambini, ad esempio nel basket in carrozzina, non devi spiegare: “questa è una carrozzina, questa è la palla”. Loro giocano in maniera completamente naturale a prescindere. Tante volte non distingui chi è normodotato da chi è disabile.
Un altro elemento emozionante è vedere come crescono i bambini. Frequentano l’Academy da settembre a maggio, dunque per la durata dell’anno scolastico. Una volta terminato il percorso, li vedi più sicuri di sé. Alcuni di loro erano abituati a non uscire mai di casa o ad uscire molto poco, quindi avevano una socializzazione molto limitata. Per noi è importante che la frequenza sia assidua e costante proprio per questa ragione.
Valentina, c’è una storia a cui siete particolarmente legati che testimonia lo spirito di questa integrazione?
Di storie ce ne sarebbero veramente tantissime. C’è una bambina normodotata che ha chiesto, all’età di undici anni, di continuare a giocare a basket. Noi eravamo convinti che la scelta migliore sarebbe stata indirizzarla verso una squadra di piccoli normodotati, così come facciamo sempre al termine del loro percorso. La sua scelta è stata invece di unirsi a una squadra di basket in carrozzina con le giocatrici di Briantea 84.
Un altro bambino, Janelle, arrivato piccolissimo, poteva muovere solo il busto e voleva giocare a calcio. La sua passione era così travolgente che non riuscivi a togliergli la palla. Alla fine, tutti si sono messi seduti in maniera naturale a giocare con lui. Da quel momento, il fratello ha avuto l’idea di realizzare la prima squadra di sitting football in Italia. Queste testimonianze credo restituiscano bene il senso di ciò che per noi è l’Academy: dove noi vediamo disabilità, i bambini vedono normalità.
Tra le varie discipline proposte dalla Bebe Vio Academy ci sono attività che riscuotono maggiore successo rispetto alle altre? Avete intenzione d’introdurre nuovi sport?
La disciplina che riscuote maggior successo è sicuramente la scherma in carrozzina, anche perché molti bambini ci si avvicinano grazie all’esempio di Bebe. Un altro sport molto apprezzato è il basket in carrozzina, soprattutto perché molti partecipanti lo vivono quasi come un autoscontro e fanno a gara per scegliere la carrozzina migliore. Si tratta di uno sport molto dinamico che crea un grande entusiasmo nel gioco. Accanto a questi, anche il sitting volley e il calcio restano tra le attività più praticate. Negli ultimi anni abbiamo introdotto nuovi sport nell’Academy a Milano, come il tennis in carrozzina, mentre a Roma abbiamo inserito il rugby in carrozzina, con il supporto di Martín Castrogiovanni, amico di Bebe. Più recentemente abbiamo avviato anche il padel in carrozzina. Durante l’anno organizziamo giornate speciali dedicate alla conoscenza di altri sport paralimpici presenti sul territorio, come il paraskate, il volley in carrozzina, la ginnastica ritmica, il kickboxing e il parakickboing.
Teresa, il sogno dichiarato di Bebe e l’obiettivo di art4sport, della Bebe Vio Academy è quello di unire il mondo olimpico con il mondo paralimpico in un unico ecosistema. Concretamente cosa pensate di fare per raggiungere questo scopo?
Per noi è importante che olimpici e paralimpici, cioè atleti con e senza disabilità convivano insieme in armonia. Pensare a delle olimpiadi integrate è oggettivamente e logisticamente impossibile. Gare in cui i due mondi si sono confrontati però ne sono già state fatte, ad esempio nella scherma. Per due anni abbiamo promosso un evento molto bello, WEmbrace Sport a Milano, dove abbiamo coinvolto nazionali olimpiche e paralimpiche e il successo è stato travolgente. Nella seconda edizione, tenutasi nell’ottobre 2023, c’è stata in particolare la sfida Italia contro Francia con tutta la rappresentanza italiana e francese, come omaggio per le Paralimpiadi di Parigi 2024. Eventi come questo testimoniano l’interesse e la partecipazione che esistono nei confronti dello sport, anche quello per i disabili.
Quali sono le prossime sfide per la Bebe Vio Academy?
L’attenzione all’inclusione sportiva è altissima e lo vediamo con famiglie che, per frequentare la sede di Milano sono disposte a spostarsi persino da Asti o da Vicenza. Visto che la Bebe Vio Academy sta riscontrando un grande successo sia a Roma che a Milano, ci piacerebbe aprire una nuova sede, possibilmente in Veneto, dove il mondo dell’associazionismo è particolarmente attivo. In questo momento siamo però ancora in fase progettuale, e alla ricerca di sponsor che possano supportare con convinzione il nostro sogno di maggiore integrazione e benessere psicofisico per i bambini partecipanti.
Scopri la storia completa nell’articolo di Marco Camporese su www.humaneworldmagazine.com