13/03/2025
Per la serie: "Rifare un capolavoro ti viene sempre peggio, dai retta"
Di Gordiano Lupi
Il gattopardo (1963)
di Luchino Visconti
Regia: Luchino Visconti. Soggetto: Giuseppe Tomasi Di Lampedusa. Sceneggiatura: Suso Cecchi D’Amico, Pasquale Festa Campanile, Enrico Medioli, Massimo Franciosa, Luchino Visconti. Fotografia: Giuseppe Rotunno. Musica: Nino Rota e un valzer inedito di Giuseppe Verdi. Esecuzione Musiche: Orchestra Sinfonica di Santa Cecilia, diretta da Franco Ferrara. Edizioni Musicali: Titanus. Aiuti Regista: Rinaldo Ricci, Albino Cocco. Assistenti alla Regia: Francesco Massaro, Brad Fuller. Operatori alle Macchine: Nino Cristiani, Enrico Cignitti, Giuseppe Maccari. Tecnico del Suono: Mario Messina. Trucco: Alberto De Rossi. Fotografo di Scena: G.B. Poletto. Parrucchiere: Maria Angelini, Amalia Paoletti. Arredamento: Giorgio Pes, Laudomia Hercolani. Costumi: Piero Tosi. Scenografia: Mario Garbuglia. Montaggio: Mario Serandrei. Direttori di Produzione: Enzo Provenzale, Giorgio Adriani. Realizzazione: Pietro Notarianni. Colore: Technicolor, Technirama. Produttore: Goffredo Lombardo. Casa di Produzione: Titanus spa (Roma), S.N. Pathe Cinema - S.G.C. (Parigi). Paesi di Produzione: Italia - Francia. Durata: 185’. Interpreti: Burt Lancaster, Claudia Cardinale, Alain Delon, Paolo Stoppa, Rina Morelli, Romolo Valli, Mario Girotti, Pierre Clementi, Lucilla Morlacchi, Giuliano Gemma, Ida Galli, Ottavia Piccolo, Ivo Garrani, Leslie French, Serge Reggiani, Carlo Valenzano Brook Fuller, Anna Maria Bottini, Lola Braccini, Marino Masè, Howard N. Rubien, Tina Lattanzi, Marcella Rovena, Rina De Liguoro, Valerio Ruggeri, Giovanni Melisenda, Carlo Lolli, Franco Gulà, Vittorio Duse, Vanni Materassi, Giuseppe Stagnitti, Carmelo Artale, Olimpia Cavalli, Anna Maria Surdo, Alina Zalewska, Winni Riva, Stelvio Rosi, Carlo Palmucci, Dante Posani, Rosolino Bua.
Il gattopardo è il film più popolare di Luchino Visconti (1906 - 1976), specialista di lavori storici, intellettuale irrinunciabile del XX secolo, memorabile per il suo cinema a metà strada tra il neorealista e il decadente, che a tratti abbandona per dedicarsi a pregevoli regie teatrali. Il gattopardo è un lavoro che non convince tutta la critica ma viene ben accolto dal pubblico, nonostante la lunghezza del racconto. Visconti opera una sfarzosa ricostruzione di un mondo che sta scomparendo, seguendo la vita quotidiana del Principe don Fabrizio di Salina (Lancaster doppiato da Corrado Gaipa) che cerca di adeguarsi al cambiamento dei tempi e ai nuovi dominatori della sua Sicilia. In breve la trama, sceneggiata a dovere da Cecchi D’Amico, Festa Campanile, Medioli, Franciosa e Visconti, tratta dal romanzo postumo di Giuseppe Tomasi Di Lampedusa (1958), per niente tradito, anzi, quasi valorizzato nel suo spirito scettico e senza speranza, portato alle estreme conseguenze da un lavoro certosino e prezioso. Siamo in Sicilia, nel 1860, stanno arrivando i garibaldini, il Principe di Salina comprende che i tempi stanno cambiando e lascia che il nipote Tancredi (Delon) si arruoli nell’esercito conquistatore e successivamente che si fidanzi con Angelica (Cardinale), non certo nobile ma figlia del sindaco Don Calogero (Stoppa), un arricchito che occupa un posto di primo piano nel nuovo mondo. Non succede molto in un film che dura oltre tre ore senza annoiare, condotto sul filo della nostalgia per un tempo che sta scomparendo e non può tornare e l’incertezza per il nuovo. Burt Lancaster interpreta un personaggio memorabile, convinto che tutto debba cambiare perché niente cambi, legato al vecchio mondo borbonico ma capace di modificare il suo sentire, di aprirsi al nuovo che avanza per non scomparire, anche quando il nuovo è rozzo e volgare e, in fondo, lo spaventa e lo atterrisce. Visconti illustra con sfarzo e dovizia di particolari un mondo in evoluzione: la Sicilia che passa dai Borboni ai Savoia, restando preda di vecchie contraddizioni. Tutto funziona in questa pellicola, dalla fotografia giallo ocra, color terra bruciata, di Giuseppe Rotunno, alla musica - quasi una sinfonia - di Nino Rota, composta persino di brani inediti di Giuseppe Verdi. Per non parlare dei costumi di Tosi, degli arredamenti, di una scenografia di Garbuglia curata nei minimi particolari. Visconti è uno straordinario direttore di attori, guida Lancaster in una delle sue più grandi interpretazioni, ma non sono meno importanti i giovani e belli Delon e Cardinale, intensi innamorati protagonisti di sequenze memorabili, così come è perfetto Stoppa nei panni di un sindaco arrivista. Figure di secondo piano, ma interessanti nell’economia del film, i francesi Reggiani e Clementi, gli italiani Gemma e Girotti (non ancora Terence Hill), ma anche Morelli, Valli, Piccolo (al suo debutto nei panni di una figlia del Principe), Galli e Garrani fanno la loro parte. Non c’è niente fuori posto in una pellicola che può definirsi un capolavoro del cinema italiano degli anni Sessanta; Visconti guida la macchina presa con poesia e lirismo, tra piani sequenza, primi piani, campi e controcampi teatrali. Straordinari alcuni dialoghi sul cambiamento dei tempi e un protagonista che si sente “un uomo a cavallo di due mondi e a disagio in entrambi”. La sequenza del ballo con il fidanzamento di Tancredi e Angelica copre ben trenta minuti della pellicola ed è straordinaria da un punto di vista coreografico (merito di Alberto Testa), ma anche come arredamento e costumi. Nino Rota arrangia per l’occasione un valzer inedito di Verdi. Poetico il finale con il principe che torna a casa a piedi seguendo i vicoli della città vecchia, mentre gli eroi dei nuovi tempi rincasano in carrozza. Palma d’oro a Cannes nel 1963, più che meritata, anche se ex aequo con il giapponese Seppuku di Masaki Kobayashi. Tre Nastri d’Argento: fotografia, scene e costumi. Film così importante che la Cineteca Nazionale di Roma ha restaurato ben due volte, nel 1991 (con la direzione di Giuseppe Rotunno) e nel 2012, lavorando sulla versione da 185’, proiettata a Cannes il 20 maggio 1963, preparata dal regista, la sola che fa testo. Ricordiamo che il 27 marzo 1963 debuttò a Roma (Cinema Barberini) una versione da 197’ che conteneva cinque scene in più, secondo studi compiuti da Annile e Giannice. Si tratta di sequenze irrimediabilmente perdute, che non stravolgono il senso del film ma che non saranno più viste da nessuno: “gli incubi del Principe nella locanda di Biasquino, una discussione tra Sedara e i contadini, un dialogo tra Cavirati (Girotti) e Angelica nelle soffitte di Donnafugata, un colloquio tra Sedara e Tancredi nel salotto del Principe e uno scambio di battute tra il colonnello Pallavicino (Garrani) e don Fabrizio durante la sequenza del ballo” (Fonte: Il Mereghetti). La critica non è concorde, alcuni parlano di falso capolavoro, di cinema decorativo, di mosaico senza cuore. In realtà siamo in presenza di uno straordinario affresco dei tempi che cambiano, sostenuto da una profonda pietà per il passato, caratterizzato da un senso immanente di morte e decadenza, segnato da un dolore sordo e atroce per qualcosa che non potrà tornare. Pranzi di corte e balli, convenzioni nobiliari e un nuovo mondo che non ha pudore, un principe legato al vecchio regime che accetta il nuovo padrone con pacata rassegnazione. Perfette le sequenze a tavola con piatti d’epoca serviti con eleganza, tra questi il famoso pasticcio di pasta - di origine francese - che il Principe assaggia e taglia con cura per verificarne la cottura.
Il gattopardo è così popolare da meritarsi una parodia, un Franco & Ciccio movie popolarissimo tra i giovani, che pesca intuizioni anche da Matrimonio all’italiana: I figli del leopardo (1963) di Bruno Corbucci. Tra l’altro esce per Titanus, stessa casa produttrice de Il gattopardo, costa pochissimo e incassa molto, facendo recuperare al produttore buona parte dei soldi spesi per realizzare un costosissimo capolavoro. Lo sceneggiatore Gianni Grimaldi fornisce un’interpretazione autentica: “Erano tempi duri per la Titanus messa in ginocchio dal disastro de Il gattopardo. Usammo gli esterni non utilizzati nell’originale. Dal disastro, Lombardo risorse con una parodia del disastro”.
Luchino Visconti firma uno dei suoi tanti capolavori, consegna alla storia del cinema uno straordinario film storico in costume che non invecchia con il passare del tempo, ricostruendo la vita di corte di una famiglia nobile in stupendi spaccati scenografici di una Sicilia segnata dal caldo soffocante e dal vento inclemente. Memorabile