Giuseppe: uomo del dialogo

Giuseppe: uomo del dialogo Corresponsabilità

17/09/2025
14/09/2025

Sporcarsi le mani...NON IO MA NOI!!!

Viola Ardone con il suo monologo lascia un segno profondo nelle nostre coscienze.
14/09/2025

Viola Ardone con il suo monologo lascia un segno profondo nelle nostre coscienze.

Molte Fedi“A volte, soprattutto in questo periodo storico, ci facciamo prendere da un pessimismo profondo sul fenomeno u...
12/09/2025

Molte Fedi

“A volte, soprattutto in questo periodo storico, ci facciamo prendere da un pessimismo profondo sul fenomeno umano. Ma dobbiamo riflettere su noi stessi e comprendere, trovare la bellezza, la coscienza morale, il cuore, le grandi potenzialità dell’essere umano”.

In un mondo sempre più vicino al crash, in cui tutto sembra andare in pezzi e nessuno sembra intenzionato a ricomporli, risuona il celebre interrogativo kantiano: cosa è ancora lecito sperare?
Quando una tazza va in frantumi è impossibile riportarla esattamente al suo stato originario, così come è impossibile nasconderne le crepe. Allo stesso modo, tentare un ritorno al passato (ma poi, quale passato?) non ci permetterà di riparare i danni che abbiamo causato al nostro mondo. Dunque, non ci resta che raccogliere i cocci e cercare di ricomporli: magari, come ci insegna l’antica arte kintsugi, senza occultare le incrinature, ma esaltandole con un pizzico di polvere d’oro.
Vito Mancuso

Si può immaginare di uscire, una volta per tutte, da guerre combattute per anni o per decenni? Fino a dove arriva la mediazione? Quale è la nostra responsabilità?
Si è aperta ieri sera con tanti interrogativi la diciottesima edizione di 𝙈𝙤𝙡𝙩𝙚 𝙁𝙚𝙙𝙞 𝙨𝙤𝙩𝙩𝙤 𝙡𝙤 𝙨𝙩𝙚𝙨𝙨𝙤 𝙘𝙞𝙚𝙡𝙤. Ma anche con alcune consapevolezze ribadite dalla giornalista Paola Caridi e dal cardinal Matteo Zuppi: occorre dare un nome ai crimini, indagare e comprendere perché la guerra non appartenga al nostro DNA, smettere di dare spazio all’impunità e lasciare che siano le vittime a prendere voce.
Oggi almeno questo è ancora possibile.

𝘕𝘰𝘯 𝘤’𝘦̀ 𝘵𝘦𝘮𝘱𝘰 𝘱𝘦𝘳 𝘨𝘳𝘢𝘯𝘥𝘪 𝘧𝘶𝘯𝘦𝘳𝘢𝘭𝘪 𝘦 𝘢𝘥𝘥𝘪𝘪 𝘢𝘥𝘦𝘨𝘶𝘢𝘵𝘪
𝘕𝘰𝘯 𝘤’𝘦̀ 𝘵𝘦𝘮𝘱𝘰: 𝘶𝘯 𝘳𝘢𝘻𝘻𝘰 𝘧𝘶𝘳𝘪𝘰𝘴𝘰 𝘴𝘵𝘢 𝘢𝘳𝘳𝘪𝘷𝘢𝘯𝘥𝘰
𝘊𝘪 𝘢𝘤𝘤𝘰𝘯𝘵𝘦𝘯𝘵𝘦𝘳𝘦𝘮𝘰 𝘥𝘪 𝘶𝘯 𝘣𝘢𝘤𝘪𝘰 𝘷𝘦𝘭𝘰𝘤𝘦 𝘴𝘶𝘭𝘭𝘢 𝘧𝘳𝘰𝘯𝘵𝘦
𝘋𝘪 𝘶𝘯 𝘢𝘥𝘥𝘪𝘰 𝘳𝘢𝘱𝘪𝘥𝘰, 𝘢𝘴𝘱𝘦𝘵𝘵𝘢𝘯𝘥𝘰 𝘭𝘢 𝘯𝘶𝘰𝘷𝘢 𝘮𝘰𝘳𝘵𝘦
𝘕𝘰𝘯 𝘤’𝘦̀ 𝘵𝘦𝘮𝘱𝘰 𝘱𝘦𝘳 𝘭’𝘢𝘥𝘥𝘪𝘰
Heba Abu Nada (morta il 20 ottobre 2023 a Khan Younis)

03/09/2025

martedì 2 settembre 2025

UN PARROCO PALERMITANO SCRIVE AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO GIORGIA MELONI

Pace e bene Presidente Giorgia Meloni.

Ho ascoltato il suo intervento al Meeting di Rimini e avrei alcune considerazioni da fare non per sterile polemica ma perché la dialettica aiuta la comprensione dei fatti e in un onesto dialogo favorisce la crescita del pensiero.
Oggi di fronte alla questione palestinese l’equidistanza ci rende complici e quello che Israele sta compiendo è un infame genocidio che utilizza perfino la fame quale strategia di oppressione e sterminio di un popolo. Una carneficina che non è dettata solo dalla reazione al 7 ottobre ma pare motivata da una mira espansionistica che vuole letteralmente spazzare il popolo palestinese.
Non è saltato il “principio di proporzionalità”, così come lo chiama, perché la costruzione della pace è un percorso mai proporzionale e richiede un anticipo di gratuità nel perdono per ripartire, perché la pace non ha un prezzo da saldare. Quella altrimenti sarebbe una tregua frutto della sottomissione dettata dal più forte.
Quando Lei fa riferimento all’attuale necessità di fermare le mira espansionistiche dell’insediamento coloniale in Cisgiordania le ricordo che questo non accade da oggi ma è una storia pluridecennale che, addirittura, è iniziata già nel 1967 dopo la guerra dei sei giorni.
Finalmente oggi ci prendiamo il permesso di parlarne, ma no l’Italia non è “la Nazione europea che si è spesa di più”, le ricordo che ancora oggi le nostre fabbriche forniscono armi e supporto tecnologico all’apparato militare israeliano, quello che fa saltare per aria ospedali così come civili tra cui diciottomila bambini e oltre duecento giornalisti.
Il fatto che siano state colpite le Comunità cristiane non aggiunge nulla a quanto già abominevole era in atto, la misura era già colma da un pezzo.
Giusto un altro passaggio mi pare equivoco. Lei cita il cardinale Sarah a proposito del diritto a non dovere emigrare, così afferma: “Chi ritiene le migrazioni necessarie e indispensabili compie di fatto un atto egoistico, se i giovani lasciano la loro terra che ne sarà della storia e della cultura del paese che hanno abbandonato?”
Le chiedo: ma quale egoismo c’è in chi cerca di salvarsi la vita e non morire a motivo delle destabilizzazioni politiche e dei conseguenti regimi militari sostenuti dai Paesi occidentali in cambio di concessioni alle nostre multinazionali? O, ancora, che colpa c’è in chi vive le conseguenze del cambiamento climatico imputabile certo ai Paesi più sviluppati, che procura la desertificazione e, di conseguenza, la carestia in intere regioni?
Se il diritto alla vita è da difendere allora questo vale per tutti e non solo per chi dovrà nascere nella società occidentale dove la “politica della sicurezza” vuole garantire ogni sorta di comfort.
Riguardo ai mattoni posati sul fronte delle migrazioni, quando afferma che ora la cornice è “serietà e rigore”, mi chiedo cosa intenda. Se serietà e rigore significa mandare le navi delle organizzazioni umanitarie con a bordo i naufraghi soccorsi in porti di sbarco distanti centinaia di miglia dal luogo del salvataggio questo mi pare privo di senso.
Sappiamo che le ragioni addotte sono quelle della ripartizione degli sbarchi su tutto il territorio nazionale ma in questo modo si sottopone ad un ulteriore supplizio, con altri due giorni di navigazione, chi è stremato per un viaggio in cui ha già subito ogni sorta di violazione della propria dignità. Inoltre non si tiene affatto conto dei costi che l’imbarcazione umanitaria dovrebbe affrontare per un viaggio così lontano come quando viene intimato di raggiungere il porto di Genova anziché attraccare a Trapani e, tantomeno, della sua assenza nel Mediterraneo per diversi giorni quando tanti naufraghi potrebbero avere bisogno di soccorso.
Questo sembra, è la mia percezione, un accanimento contro gli equipaggi che per senso umano scelgono di sbarcare le persone salvate in mare nel porto più vicino per ricevere, così, soccorsi e cure opportune. Chiaramente a questo atto di disobbedienza civile segue il fermo amministrativo della nave, le sanzioni pecuniarie e la denuncia a carico del comandante. E’ uno scenario scoraggiante e, forse, vorrebbe scoraggiare le organizzazioni umanitarie o anche gli stessi profughi che per mancanza di un supporto in mare potrebbero tornare indietro.
Eppure assistiamo ad un atto di resistenza da parte di entrambi: i primi tornano a pattugliare il Mediterraneo nell’intento di rimanere umani rispondendo alla legge del mare e della nostra Costituzione e, per i secondi, continuare a lanciarsi nel viaggio oltre ogni speranza per “rischiare di sopravvivere”.
Piuttosto mi sarei aspettato “serietà e rigore” nell’affrontare il gesto criminale della guardia costiera libica che domenica scorsa sparava per venti minuti sulla Ocean Viking dopo che questa aveva recuperato a bordo ottantasette naufraghi. Mi sarei aspettato “serietà e rigore” nel difendere il diritto umanitario internazionale in uno scenario che oggi pare avere perduto ogni tipo di codice etico.
Sembra lo stesso paradosso che si sta realizzando a Gaza dove rimaniamo sgomenti per la devastazione a cui abbiamo comunque contribuito con le nostre armi. Se la guardia costiera libica - dotata delle motovedette donate dall’Italia e con un corpo militare addestrato dal nostro - ritiene opportuno sparare ad una nave umanitaria che si trova in acque internazionali, a Gaza lo sfollamento forzato minacciato dalle bombe trova il silenzio assordante del nostro Governo come se fosse un fatto di poco conto.
Il silenzio in realtà, domenica scorsa, era già cominciato quando al grido di mayday e ai tentativi di contatto con la Nato e la Marina militare la nave di SOS MEDITERRANEE non aveva trovato alcuna risposta…
Se, ora, la procura di Siracusa apre un’inchiesta per appurare la realtà dei fatti non è per un pregiudizio ideologico ma perché la giustizia va tutelata senza compromessi. Se il soccorso civile è diventato così prepotente è perché tutte le persone che si trovano in pericolo in mare hanno il diritto di essere soccorse e noi il dovere di attivarci per la loro protezione.
Domenica partivo dal porto Lampedusa con un gruppo di giovani che si erano spesi per una settimana a servizio di chi arrivava nell’isola, nel mentre che salpavamo verso Porto Empedocle nel molo Favaloro arrivava la nave ong Nadir, con a bordo cinquantaquattro migranti e tre minorenni che erano decedute…
Presidente Giorgia Meloni credo che per “ricostruire una società amica della famiglia e della natalità” così come Lei dice, sia necessario ripartire dagli ultimi del nostro tempo, da quanti hanno bisogno di una mano amica e dunque disposta a compromettersi per condividere il dono della vita. Se vuole davvero ispirarsi ai valori del Vangelo, dunque, non c’è alternativa, è necessario contaminarsi facendo spazio fino a restituire voce ai piccoli di questo mondo.

Fra Mauro Billetta
..di questi abbiamo bisogno!

02/09/2025

Le politiche di destra sono inconciliabili con il Vangelo
di Don Stefano il 30 Agosto 2025 -

Non sarà con atti di potere che la cristianità potrà affermare i suoi valori nel mondo, perché «il cristianesimo si diffonde con la testimonianza di una vita impostata sull’amore, sulla solidarietà, sul servizio, sul rispetto della libertà e dignità di tutti, cominciando dagli ultimi e dagli esclusi, con i quali Cristo si è identificato».
p. Silvano Fausti sj, Lodi 24.10.2011

Esistono diverse idee politiche delle destre (nazionali e mondiali) che entrano in esplicito conflitto con i principi fondamentali del Vangelo, il quale si basa sulla testimonianza di una vita orientata all'amore, alla solidarietà e alla dignità di ogni persona. Questo conflitto riguarda punti sui quali la logica politica di destra e quella evangelica divergono radicalmente.

Ecco le principali aree di inconciliabilità:

Nazionalismo vs. Universalismo e Accoglienza

Il nazionalismo pone l'identità e gli interessi della nazione al di sopra di tutto, spesso definendo un "noi" contrapposto a un "loro". Le politiche che ne derivano portano alla chiusura delle frontiere e alla limitazione dell'accoglienza di migranti e rifugiati.

Punto di conflitto con il Vangelo: Il messaggio cristiano è universale. Cristo si è identificato con ogni essere umano, in particolare con "gli ultimi e gli esclusi", indipendentemente dalla loro nazionalità o origine. Il Vangelo invita esplicitamente a "dare ospitalità allo straniero" (Matteo 25,35), riconoscendo nel forestiero il volto stesso di Cristo. La solidarietà cristiana non ha confini, superando la logica nazionalista che privilegia i "connazionali".

Individualismo e Meritocrazia vs. Solidarietà e Ca**tà

Le correnti di destra enfatizzano l'individualismo, la responsabilità personale e la meritocrazia, sostenendo che il successo è il risultato del solo talento personale e del duro lavoro, tralasciando il valore sociale del lavoro e dell'impegno collettivo. Ciò giustifica la disuguaglianza sociale.

Punto di conflitto con il Vangelo: Il Vangelo esalta la solidarietà e la ca**tà incondizionate. Le parabole di Gesù, come quella del Buon Samaritano, sottolineano il dovere di aiutare il prossimo in difficoltà senza giudicare le sue colpe o meriti. La "predilezione per i poveri" è un tema centrale: la salvezza e il giudizio divino sono legati al modo in cui ci si prende cura dei più deboli, non al proprio successo o status sociale. Il servizio agli ultimi è un valore che trascende qualsiasi logica di merito. La società evangelica si costruisce partendo dai poveri e dagli esclusi, non dalle classi dirigenti e dai ceti abbienti.

Liberalismo Economico vs. Predilezione per i Poveri

Le politiche di destra sostengono il liberalismo economico che favorisce la concorrenza selvaggia, la deregolamentazione e la riduzione della spesa pubblica per il welfare, spesso con l'obiettivo di concentrare la crescita economica nelle mani di pochi. La ricchezza governata da pochi (oligarchi) è proposta come motore di prosperità, ma delude le attese dei più fragili.

Punto di conflitto con il Vangelo: Il Vangelo esprime una profonda critica al culto della ricchezza e al primato del profitto sull'essere umano. Gesù ammonisce che "è più facile che un ca****lo passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno dei cieli" (Marco 10,25). La fraternità e la condivisione sono valori fondanti della societas christiana, e il servizio ai poveri è la prova tangibile della appartenenza a Cristo. Il Vangelo non condanna la ricchezza in sé, ma l'attaccamento ad essa e il disinteresse per le condizioni di vita dei poveri, che sono considerati un criterio di giudizio universale.

Securitarismo e Giustizia vs. Misericordia e Perdono

L'approccio securitario delle destre promuove un'applicazione rigorosa e violenta della legge, una maggiore severità nelle pene e un controllo sociale armato di polizia per garantire l'ordine pubblico, ponendo la giustizia retributiva al centro.

Punto di conflitto con il Vangelo: sebbene il Vangelo non neghi la giustizia umana per una equità sociale, pone un'enfasi rivoluzionaria sulla misericordia e sul perdono, sul reintegro della persona nella società con percorsi che sostengano l'immagine divina inalienabile dell'essere umano, di ogni essere umano. L'insegnamento di Gesù invita a "porgere l'altra guancia" e a perdonare "settanta volte sette", che anche nella giustizia sociale deve garantire la fine dell'idea fallimentare del "occhio per occhio", "dente per dente". La parabola del figliol prodigo e il perdono della donna adultera mostrano che la misericordia di Dio va oltre la logica della legge e del merito. L'enfasi paranoide sulla sicurezza e sulla punizione violenta contrasta con la chiamata evangelica a una compassione radicale, che abbraccia anche i peccatori e i criminali. Ovviamente tutta la logica evangelica contrasta socialmente l'uso delle armi e della pena di morte.

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https://www.facebook.com/share/1FnqN4jVZa/
31/08/2025

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Legando le proprie sorti alla politica più lontana dal messaggio evangelico Comunione e Liberazione non si accorge di segare il ramo su cui è appollaiato

17/08/2025

Oggi abbiamo finalmente rovesciato un principio che in passato sembrava assodato e inscalfibile: oggi il vero cristianesimo non è più inteso come un progetto religioso di santificazione (così prevedeva san Paolo in 1Ts 4,3), ma piuttosto un progetto di umanizzazione, per cui è possibile essere cristiani perfino senza aderire ad alcuna religione. Chi vuol seguire Gesù deve cercare di umanizzarsi sempre di più nella sua vita terrena, perché Dio stesso nell’incarnarsi, cioè nell’umanizzarsi, ha fatto così. E allora, come Gesù è l’umanizzazione di Dio, così il cristianesimo, che ha la pretesa di prolungare nella storia la presenza di Gesù, non ha altra finalità e altra ragion d’essere che rendere presente ed operativo il processo di umanizzazione che è iniziato nell’incarnazione. E se quello che importa veramente è che ogni giorno diventiamo più profondamente umani e non più profondamente religiosi, è piuttosto chiaro che anche Dio non serve per rispondere a dogmi religiosi, ma alle domande della vita. Dario Culot

Scquizzato Paolo Don·XX domenica del Tempo Ordinario. Anno CLc 12, 49-53«C’era un uomo, che aveva inventato l’arte di ac...
17/08/2025

Scquizzato Paolo Don
·
XX domenica del Tempo Ordinario. Anno C
Lc 12, 49-53

«C’era un uomo, che aveva inventato l’arte di accendere il fuoco. Prese i suoi attrezzi e si recò presso una tribù del nord, dove faceva molto freddo. Insegnò a quella gente ad accendere il fuoco. La tribù era molto interessata. L’uomo mostrò loro gli usi per i quali potevano sfruttare il fuoco – cuocere il cibo, tenersi caldi, ecc. .
Quelle persone erano molto grate all’uomo per quanto era stato loro insegnato sull’arte del fuoco, ma prima che potessero esprimergli la propria gratitudine, egli scomparve. Non gli importava ricevere il loro riconoscimento o la loro gratitudine: gli importava il loro benessere. Si recò in un’altra tribù, dove nuovamente iniziò a dimostrare il valore della sua invenzione. Anche quelle persone erano interessate, un po’ troppo però per i gusti dei loro sacerdoti, che iniziarono a notare che quell’uomo attirava la gente, mentre essi stavano perdendo popolarità. Così, decisero di liberarsene. Lo avvelenarono – o lo crocifissero, non ricordo più. Ora, però temevano che la gente si rivoltasse contro di loro, e così fecero una cosa molto saggia, persino astuta. Fecero eseguire un ritratto dell’uomo e lo montarono sull’altare principale del tempio. Gli strumenti per accendere il fuoco furono sistemati davanti al ritratto, e la gente fu invitata a venerare il ritratto e gli strumenti del fuoco, cosa che fece ubbidientemente per secoli.
L’adorazione e il culto continuarono, ma non fu mai usato il fuoco». (Anthony de Mello)

«Sono venuto a gettare fuoco sulla terra, e quanto vorrei che fosse già acceso!» (Lc 12,49)
Il fuoco. Non quello che consuma e distrugge, ma quello che scalda, trasfigura, illumina. Il fuoco che è passione dell’anima e compassione per ogni essere; il fuoco che purifica le illusioni e dischiude l’essenziale. Gesù lo porta con sé. Lo getta sulla terra. Lo sogna già acceso. Eppure, sembra che duemila anni non siano bastati per vederne davvero la fiamma divampare.
Non è forse vero che, troppo spesso, ci siamo accontentati delle braci spente di un culto spento, mentre la vera brace — quella del Vangelo — attendeva di ardere nel cuore dell’umano?
Il fuoco delle Beatitudini, della vita povera, disarmata, libera dal bisogno di possesso e di potere, è stato soffocato da cenere di convenzioni, da riti senza più scintilla, da parole svuotate del loro incendio originario.
Eppure, come ci ricorda Anthony de Mello, il problema non è nella Tradizione, ma nel modo in cui la trattiamo. Tradizione infatti non è “il culto delle ceneri, ma la custodia del fuoco” (Gustav Mahler).
Il racconto del maestro del fuoco parla a noi. Parla alla Chiesa, alla spiritualità, a ogni ricerca umana. Quante volte abbiamo venerato il volto dell'uomo che portava il fuoco, senza più usare gli strumenti che ci aveva lasciato! Quante volte abbiamo eretto altari e codificato liturgie, dimenticando che il fuoco era destinato a essere acceso — non adorato.
Il dramma è tutto lì: la fiamma è stata trasformata in icona, e la Parola in dogma. Ma la Parola è fuoco vivo, non pietra scolpita. È urgenza, non istituzione.
Questo fuoco non si può rinchiudere nei recinti del potere o nelle stanze del consenso.
È fuoco che divampa dove trova un cuore disponibile, un’anima sveglia, una mano tesa.
È il fuoco del samaritano che si china, del pane spezzato, dell’ultimo posto scelto liberamente. È il fuoco che illumina i poveri in spirito e che svergogna ogni falsa sicurezza.
Allora, oggi più che mai, questa parola ci brucia dentro:
"Quanto vorrei che fosse già acceso!". La domanda che ci resta è semplice e radicale: Lo accenderò io questo fuoco? O continuerò a venerarne le ceneri?

Don “Nandino” Capovilla: il prete che non si inginocchia davanti al potereDi Gianni UrsoIn queste ore, Tel Aviv lo ha fe...
14/08/2025

Don “Nandino” Capovilla: il prete che non si inginocchia davanti al potere
Di Gianni Urso
In queste ore, Tel Aviv lo ha fermato. Sette ore di trattenimento, interrogatori, poi il rimpatrio forzato in Grecia. La motivazione ufficiale: “motivi di sicurezza pubblica”. È la formula burocratica che i poteri usano per dire: sei scomodo, troppo libero, troppo vero. Don Ferdinando “Nandino” Capovilla, parroco di Marghera e figura di punta di Pax Christi, non è un “prete da sagrestia” e nemmeno un pacifista da salotto. È un cristiano che mette le mani nella carne ferita del mondo. E per questo disturba.
Al rientro ha scritto poche parole, che bruciano: «Sono libero… tutto bene. Le altre parole usatele per chiedere sanzioni allo Stato che bombarda moschee e chiese mentre si finge sugli orrori». Nessuna carezza diplomatica. Nessun “equilibrio”. Nessun inchino a un linguaggio ecumenico che addolcisce la verità.
La sua è una fede che non accetta bavagli. In tempi in cui la maggior parte del clero si accontenta di omelie da cartolina e i governi trattano la pace come merce di scambio, Capovilla ricorda che il Vangelo è una lama. E lo dice senza pudore: «Ciò che è criminale è il genocidio del popolo palestinese, e finora — penso anche al governo italiano — il genocidio non è stato condannato». Non è un’opinione: è un atto di accusa diretto, pronunciato da un uomo che ha visto e ascoltato i volti dietro le statistiche.
Don Capovilla è veneziano, parroco di periferia, ha fatto di Marghera un laboratorio di Vangelo vissuto. Non eventi vetrina, ma progetti concreti: “Le colazioni della domenica” per chi vive per strada, un “Barbiere per tutti” per restituire dignità, la raccolta di vecchi cellulari da dare ai senzatetto perché «possono salvare la vita». Ha aperto la parrocchia a progetti interculturali con le comunità islamiche, ha difeso migranti e richiedenti asilo quando il vento politico soffiava contro.
Per lui, la ca**tà senza giustizia è anestesia: «Non bastano ca**tà, assistenza e solidarietà. Bisogna lottare contro le ingiustizie, ovunque vengano perpetuate… È in atto una guerra contro i poveri e bisogna recuperare gli strumenti della nonviolenza attiva».
Troppo cristiano per piacere alla Chiesa, troppo libero per piacere allo Stato
Non è difficile capire perché sia guardato con sospetto. La Chiesa istituzionale preferisce preti obbedienti, non profeti. I governi tollerano religiosi che si occupano di mense, non quelli che denunciano le politiche che creano fame e guerra. Capovilla non fa il gioco di nessuno: denuncia Israele quando bombarda, denuncia l’Italia quando tace, denuncia la stessa Chiesa quando preferisce il decoro alla verità.
Quando gli chiedono se la religione sia politica, risponde senza esitazioni: «La religione è Vangelo… contiene parole forti, che possono disturbare. Il cristiano stesso disturba». È una bestemmia per i poteri, ecclesiastici e civili, che amano il cristianesimo come decorazione e non come rivoluzione.
Oggi: le sue idee sono attuabili?
Sì, ma non per chi cerca poltrone o applausi. Le sue idee si attuano solo se siamo disposti a perdere qualcosa: credibilità presso i potenti, inviti a conferenze, visibilità “beneducata” sui giornali. Significa sporcarsi le mani, parlare chiaro, rompere gli schemi. Significa, soprattutto, scegliere di non essere neutrali.
La domanda che resta
E allora, non si tratta solo di raccontare la storia di Don Nandino. Si tratta di chiederci chi, oggi, è disposto a rischiare così tanto per essere fedele al Vangelo e non alla gerarchia, alla verità e non alla diplomazia.
Perché in fondo la questione è semplice: vogliamo essere cristiani che accarezzano il potere o cristiani che lo contraddicono?
E tu, lettore, da che parte stai? Tra i complici silenziosi o tra chi, come Don Nandino, paga in prima persona pur di non tradire il messaggio di Cristo?

“Della sua fragilità in quell’istante amai proprio quello che dell’amore si paga più caro: l’assenza di calcolo e di mis...
10/08/2025

“Della sua fragilità in quell’istante amai proprio quello che dell’amore si paga più caro: l’assenza di calcolo e di misura che appartiene solo alle cose nate libere.” (M.Murgia)
Ricordiamo oggi una delle donne più libere del nostro tempo: Michela Murgia.
Grazie della tua vita, grazie della tua vita anche ora che non sei più tra noi.

Indirizzo

Via Procida
Procida
80079

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