13/03/2020
Ecco come nel XIX secolo si affrontavano le epidemie in Sicilia:
«L’epidemia di Cholera morbus giunse a Modica alla fine di agosto del 1837. Il "flagello scappato dall’Asia" aveva fatto il suo ingresso a Genova nell’estate del 1835, dopo aver seminato la morte in tutta Europa. È dell’agosto di quell’anno la prima circolare emanata dal magistrato di Salute pubblica di Palermo per impedire la diffusione del terribile morbo in Sicilia. Nelle disposizioni rivolte alle Comuni, si chiedeva di "provvedere alla nettezza delle strade e delle abitazioni, non che alla salubrità dell’aria, ove fosse alterata da acque stagnanti, o putridi accumulamenti, procurando lo allontanamento di ogni causa produttrice di aria malsana". La circolare raccomandava di depurare l’acqua e di evitare "i piaceri troppo vivi e sfibranti" come "la crapula e il vino", respirare aria pura e di "lavarsi almen due volte la settimana l’estremità inferiori, e tutto il corpo ogni quindici o venti giorni". Si diedero disposizioni affinché le aromaterie fossero ben provviste di medicamenti. Furono potenziati i cordoni sanitari per filtrare il movimento di uomini e merci che giungevano via terra e via mare. Chi non aveva la «bolletta sanitaria» che attestasse lo stato di salute, non poteva circolare. Limitazioni furono applicate anche alla circolazione delle merci e alle attività come la macellazione, la concia delle pelli, la macerazione del lino e della canapa, che creavano «liquami putridi». La Corte protomedicale di Modica accolse prontamente le disposizioni giunte da Palermo, istituendo un cordone sanitario fra Santa Maria del Focallo e la «Costa d’Aliga» (l’attuale Cava d’Aliga, frazione marinara di Scicli), con la costruzione di diverse «pagliaie» per i rondieri di guardia. Gabbiotti di controllo furono eretti anche alle porte della città per controllare l’entrata e l’uscita di uomini, animali e merci. I membri della Corte imposero lo sgombero di alcune discariche all’interno dell’abitato e la bonifica di numerosi «depositi di lordure» lungo il corso dei torrenti cittadini, vietarono la vendita di animali morti per vecchiaia o malattia, e obbligarono i medici della città a comunicare alla Corte la presenza di eventuali ammorbati. La Corte deliberò l’allontanamento dalla città di mendicanti e poveri, i più esposti al contagio, che furono concentrati in un edificio detto “la Torre”, fuori dall’abitato. S’istituirono ospedali, lazzaretti e cimiteri di fortuna per le vittime, in un via vai di portantine, carri per il trasporto dei cadaveri, barelle e barellieri. Si stabilirono anche tridui di preghiera per scongiurare l’arrivo della pestilenza in città. Il numero crescente di circolari e regolamenti, con il trascorrere dei mesi, indica il terrore per l’appressarsi dell’epidemia, contro la quale la medicina dell’epoca sembrava impotente. Dal 22 giugno, data del primo caso accertato a Palermo, al 10 ottobre, giorno dell’estinzione ufficiale del colera, in Sicilia si registrarono quasi 70 mila morti. Alla fine di ottobre il «mortifero vomito orientale» fece la sua ultima vittima a Modica, lasciando dietro di sé 420 morti e un’economia in ginocchio a causa delle numerose limitazioni al commercio».
Dal libro di Giovanni Criscione "La dolceria Bonajuto, storia della cioccolateria più antica di Sicilia" (Kalos edizioni)