10/05/2025
Sub deceduto a Palermo: fatalità o si poteva prevenire?
10 maggio 2025
Robcornelis Maria Huijben Uiben, che lavorava per la società olandese Hebo in collaborazione con la marittima britannica TMC Marine, è stato al centro di un tragico episodio. Tra le ipotesi – che solo l’autopsia potrà chiarire – si ipotizza l’esplosione di una bolla d’ossigeno, formatasi durante il taglio ad ossigeno del boma dello yacht, oppure il distacco di un frammento metallico che avrebbe colpito il sommozzatore, causandone l’immediata morte.
Come spesso accade in situazioni così complesse, le cause si fanno strada tra illazioni, notizie non verificate e teorie che alimentano confusione e mistero. Il relitto dello yacht, per il modo in cui è affondato e per la caratura "internazionale" delle vittime, si presta ad essere uno degli enigmi irrisolti che da sempre appassionano complottisti e dietrologi e forse scrittori di romanzi gialli.
Non a caso, subito dopo l’incidente sono nate polemiche sulla competenza del team operativo: si è diffusa la voce che, a bordo del pontone di assistenza alle immersioni, la Camera Iperbarica di Emergenza non fosse presente e che fosse stata installata solo in seguito all’evento. Dalle immagini video trasmesse dalla RAI emerge chiaramente il portello di una camera iperbarica, incastonata in un container – un ingombro così rilevante da rendere difficile l’ipotesi di un suo passaggio inosservato, considerata la massiccia presenza di operatori della Protezione Civile, Vigili del Fuoco e perfino di un drone di sorveglianza. È inverosimile pensare che una società specializzata in recuperi subacquei operi senza un dispositivo di sicurezza fondamentale, considerata l’esperienza consolidata degli olandesi nel recupero di navi affondate.
L’utilizzo della fiamma ossidrica subacquea richiede, inoltre, estrema attenzione: la gestione della fiamma e del gas di scarico – ossigeno ad alta pressione, spruzzato da una pinza collegata ai pacchi bombola di O₂ in superficie – comporta rischi notevoli. Un’eventuale scarica elettrica potrebbe innescare una reazione pericolosa, facendo accumulare ossigeno in una cavità (ad esempio, nella struttura del boma) e provocando un’esplosione, o addirittura rendendo il sommozzatore vulnerabile alla tensione liberata durante il taglio. A tutela di queste operazioni, esistono precise linee guida internazionali (IMCA, IOGP, US Navy Diving Manual, EDTC, e altre), mentre in Italia si fa riferimento alla Norma UNI 11366, adottata anche dalle Capitanerie di Porto per emanare ordinanze sulla sicurezza nei lavori subacquei.
Un ulteriore interrogativo riguarda l’utilizzo di Operatori Tecnici Subacquei italiani nelle operazioni – questione che, pur non essendo direttamente collegata all’incidente, riecheggia un problema storico emerso già durante il recupero del relitto della nave Concordia e, ancor prima, nella bonifica del relitto della petroliera Haven al largo delle coste di Arenzano, in Liguria. Nel caso Concordia, realizzato magistralmente da un consorzio di aziende italiane e americane e impiegando 250 sommozzatori di diverse nazionalità, si emerse un problema burocratico significativo: per poter operare in ambito portuale e nelle relative adiacenze, i sommozzatori italiani devono essere iscritti in un apposito registro tenuto dalle Capitanerie di Porto, in ottemperanza al Decreto Ministeriale del 13 gennaio 1979 e alle relative ordinanze. Questa iscrizione, condizionata al possesso di specifici requisiti – tra cui la qualifica di OTS ottenuta con corsi formativi riconosciuti, la visita medica attitudinale e certi standard di buona condotta – non è richiesta per sommozzatori provenienti da Stati esteri.
La vicenda ha suscitato numerose proteste, che sono state inoltrate alle autorità competenti. Dopo diverse insistenze, è stato spiegato che il sito, essendo di interesse nazionale e internazionale, è stato affidato alla Protezione Civile. Quest’ultima, applicando quella che è stata definita la “legge dei grandi eventi” (una misura voluta da Berlusconi e successivamente adottata da Bertolaso), ha ottenuto la facoltà di derogare alle ordinanze e leggi statali per decidere quali regole applicare nell’impiego del personale subacqueo.
Alla luce di quanto esposto, chiedo cortesemente alla Capitaneria di Porto di Palermo e alla Procura della Repubblica – rappresentata dal pm Raffaele Cammarano – di fare chiarezza sulle disposizioni applicabili nei lavori per il recupero del Bayesian, nelle acque del demanio marittimo di Palermo (Porticello). In particolare, si richiede di confermare se sia necessario rispettare i requisiti previsti dall’Ordinanza n° 116/2018 della Capitaneria di Porto di Palermo, in materia di “Regolamentazione delle Attività Subacquee nella pertinenza del Porto di Palermo e adiacenze”.
Giovanni Esentato Segretario di AISI – Associazione Imprese Subacquee Italiane