12/11/2025
Chiara Cruciati, La Gaza meritevole di case la sceglie Israele, Il Manifesto, 12 novembre 2025
Terra rimossa Nuovi dettagli sul piano Trump svelati da The Atlantic: saranno costruite comunità separate a est della linea gialla, Tel Aviv selezionerà i palestinesi ammessi. Non potranno più uscire. Per il resto della Striscia, nessuna ricostruzione in vista. Intanto, la Knesset passa in prima lettura la pena di morte per i detenuti arabi, Ben Gvir festeggia
Ogni nuovo dettaglio del piano Trump per Gaza che emerge da fonti anonime o dalle rivendicazioni orgogliose dei suoi fautori va nella stessa direzione: la partizione della Striscia e l’imposizione di un mandato coloniale gestito dall’asse Washington-Tel Aviv.
CHE L’AMMINISTRAZIONE statunitense – attraverso il Board of Peace a guida trumpiana – stia promuovendo una ricostruzione punitiva per i palestinesi e rassicurante per Israele era stato chiarito dagli annunci ufficiali e dall’invenzione della «linea gialla», confine immaginario che corre parallelo alla frontiera est della Striscia, sottraendole oltre la metà del territorio. Al momento la yellow line è scarsamente segnalata da blocchi di cemento verniciati di giallo, una vaghezza che permette ai soldati di ammazzare chiunque, inconsapevolmente la oltrepassi.
È nel territorio oltre quella linea – che Israele continua a presidiare con gli stivali a terra e da cui non intende ritirarsi – che avverrà la ricostruzione: zone residenziali in cui stipare qualche decina di migliaia di palestinesi, sotto dominio israeliano diretto, mentre il resto di Gaza rimane nell’inferno di una terra resa invivibile.
The Atlantic ieri ha aggiunto un altro tassello con un’inchiesta della giornalista Hana Kiros: la selezione dei palestinesi «meritevoli» a vivere nelle zone ricostruite spetterà alle autorità israeliane. Ad affermarlo alla rivista statunitense sono fonti del Dipartimento di Stato e del governo israeliano che al progetto danno un nome: «Alternate Safe Communities», comunità di circa 6mila persone a cui fornire case, una clinica e una scuola ma separate dal resto della popolazione e passate al vaglio dai servizi segreti israeliani.
Ovvero lo stesso modello applicato dalla Gaza Humanitarian Foundation che, la scorsa estate, «distribuiva» pacchi alimentari sotto il fuoco dei cecchini solo a un membro per famiglia e solo a palestinesi considerati «puliti» da Israele. Seppure «i criteri per l’approvazione restino oscuri – scrive Kiros – se una persona o i suoi parenti sono legati ad Hamas» saranno esclusi.
CHI RIENTRERÀ nella community non potrà più attraversa il confine invisibile. Lo dice la fonte del Dipartimento di Stato: «Un luogo dove le persone sono di fatto sequestrate». Il primo insediamento dovrebbe sorgere a Rafah, dopo la rimozione delle macerie e degli ordigni inesplosi, attività che sarebbe già stata appaltata a un’azienda statunitense, la Tetra Tech. Nei giorni scorsi l’amministratore delegato era in Israele a discutere il da farsi.
Dalla pulizia etnica della Riviera trumpiana si passa alla prigionia istituzionalizzata, un nuovo livello di oppressione mascherato da beneficenza che si somma al mantenimento dell’assedio israeliano, intoccabile. E si passa all’esclusione dalla ricostruzione della stragrande maggioranza della popolazione per cui, a oggi, non è previsto nemmeno un flusso di aiuti dignitoso o per lo meno in linea con quanto stabilito dagli accordi di Sharm el Sheikh a metà ottobre.
L’ultima denuncia è dell’Unicef secondo cui Israele blocca l’ingresso a 1,6 milioni di siringhe per le vaccinazioni dei bambini e ai frigo a pannelli solari per conversare le fiale, impedendo una campagna di massa. La ragione ufficiale comunicata da Israele, dice il portavoce di Unicef, Ricardo Pires, «è che le siringhe e i frigo sono considerati dual use». Tel Aviv non ha fornito dettagli in merito.
Continua a mancare anche il cibo. Quello attraversa i valichi lo fa a bordo di camion commerciali e non umanitari: significa che i prodotti vanno pagati e che ciò che finisce sul mercato non è necessariamente quello di cui una popolazione ridotta alla fame ha bisogno, come carne, uova, verdure. Mancano anche i macchinari per rimuovere le macerie, un’attività fondamentale sia a dare degna sepoltura ai corpi intrappolati tra le macerie, sia a evitare il diffondersi ulteriori di malattie e ad avviare una ricostruzione fai-da-te.
IERI LA PROTEZIONE civile è riuscita a recuperare una trentina di cadaveri, per ora senza nome, a ovest di Gaza City. Se non saranno identificati entro 48 ore, saranno sepolti in un cimitero comune a Deir al-Balah. Secondo le stime, mancano all’appello almeno 10mila palestinesi, che si aggiungono ai 70mila uccisi accertati. Un bilancio che continua a crescere a causa del fuoco israeliano che in 24 ore ha abbattuto altre tre persone (245 palestinesi uccisi dall’entrata in vigore della tregua, 529 corpi recuperati).
Intanto, mentre la Cisgiordania subiva un’ondata di attacchi incendiari dei coloni (colpite comunità e una fabbrica della nota azienda casearia al Juneidi), la Knesset approvava in prima lettura il disegno di legge che introduce la pena di morte per i sospettati di omicidio di israeliani su base nazionalistica (insomma, i palestinesi). Il ministro della sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, ha festeggiato distribuendo tra gli scranni parlamentari baklava, uno dei tipici dolci arabi. Si è appropriato anche di quelli.
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