19/11/2025
Picchiata brutalmente dal vicino di casa perché nera e africana, la storia di Reine e il razzismo che l’Italia finge di non vedere.
Reine Atadieu Djomkam vive in Italia da quasi quindici anni, è arrivata dal Camerun con un sogno semplice e legittimo, costruire un futuro per sé e per le sue figlie in un Paese che immaginava accogliente, giusto, civile.
Oggi invece quella stessa donna vive barricata in casa da cinque lunghi anni, terrorizzata, dopo essere stata insultata, minacciata e brutalmente picchiata dal suo vicino di casa. Non per un litigio, non per una banale tensione condominiale, ma per un’unica ragione, perché è nera, perché è africana.
Il suo aggressore la insulta chiamandola “africana di merda”, la minaccia di morte, alza le mani contro di lei e perfino contro sua figlia maggiore mentre va a scuola. Le urla “Ti scanno come un maiale, sei nel mio Paese”. In un video registrato da una delle bambine si sente chiaramente il terrore nella voce, una figlia che supplica un uomo adulto di non fare del male alla propria madre. Scene da incubo, scene che non dovrebbero esistere in un Paese civile, e che invece accadono nel silenzio di un condominio di Pavia, nell’Italia che ancora oggi finge che il razzismo sia un’invenzione.
Reine denuncia da anni insulti, biglietti offensivi, aggressioni fisiche, minacce. Eppure, la risposta più frequente che ha ricevuto è stata, “Abbia pazienza, esca il meno possibile”. Le forze dell’ordine, pur essendo intervenute più volte, le hanno suggerito di evitare l’uomo, quasi che fosse lei, la vittima, a dover cambiare vita, orari e percorsi per proteggersi, come se chiedere a una madre di chiudersi in casa fosse una soluzione accettabile, civile, umana.
Il risultato è devastante, da cinque anni le figlie di Reine non possono andare nemmeno al parco sotto casa, hanno paura delle scale, del pianerottolo, della porta d’ingresso, paura di vivere, paura di esistere. La stessa paura che Reine prova ogni volta che si reca al supermercato, a scuola, persino mentre guida, perché ovunque quell’uomo la incontri, la aggredisce, e sempre per lo stesso motivo, il colore della sua pelle.
Ma il problema non è solo l’aggressore. Il vero problema è un Paese che permette che tutto questo accada, è chi nega l’evidenza del razzismo pur di non guardarsi allo specchio, è chi minimizza, chi riduce tutto a una “tensione di vicinato”, mentre una donna e due bambine vivono in un regime di terrore quotidiano.
Negare il razzismo significa esserne complici, significa voltarsi dall’altra parte mentre qualcuno viene picchiato, insultato, umiliato perché africano, è moralmente peggio delle violenze stesse, perché le rende possibili.
Dopo anni di incubi, Aler ha infine mostrato a Reine un alloggio alternativo, ma l’amara verità resta, non doveva essere lei ad andarsene, non dovevano essere le figlie a filmare la madre per dimostrare ciò che lo Stato non voleva vedere.
Questa storia dovrebbe scuotere il Paese, non per suscitare pietà, ma per imporre una verità che troppi ancora rifiutano di pronunciare, in Italia si può ancora essere picchiati, minacciati, terrorizzati solo perché si è neri, e il silenzio che avvolge tutto questo è la parte più disumana di tutte.
Soumaila Diawara