10/11/2025
Due parole attorno alla famiglia di Palmoli
È stata sospesa la responsabilità genitoriale alla coppia anglo-australiana che si è insediata con i tre figli in un bosco vicino a Palmoli, in Abruzzo. La famiglia, infatti, vive al di fuori del sistema capitalista e consumista, casa colonica isolata, assenza di utenze tradizionali, pannelli solari, pozzo, bagno a secco, unschooling, ecc. (e i media si sono sbizzarriti con il lessico “famiglia isolata nel bosco”, “vita estrema”, “esperimento” e così via).
Ci sono tutti gli elementi per una polarizzazione mediatica e del discorso pubblico, come in effetti ci sono state, non deludendo le nostre attese. Quindi abbiamo trovato sia la favola bucolica della famiglia ben curata, sorridente, bianca, colta, che si pone in contrapposizione alla “società tossica”, sia la minaccia dello Stato che “vuole portare via i bambini”. In tutto ciò il Tribunale per i minorenni, con quel provvedimento, probabilmente sta valutando il perimetro di tutela dei tre bambini.
Vediamo però come hanno agito i bias in questa narrazione.
Prima di tutto il doppio standard: se la marginalità è associata a povertà autoctona o a famiglie stigmatizzate, viene letta come degrado, irresponsabilità, incapacità genitoriale. Nel caso di Palmoli, lo stesso set di indicatori (servizi carenti, isolamento, scarsa integrazione con rete sanitaria e scolastica) è spesso ritradotto come “scelta filosofica”, “minimalismo”, “ritorno alla natura” anche grazie al profilo socio-culturale dei genitori (stranieri occidentali, con grande capitale simbolico e sociale).
Il doppio standard è un bias di classe e di stile di vita per cui se ti metti ai margini ma possiedi il linguaggio giusto la tua condizione è narrata come libertà educativa; se, invece, condizioni simili si collocano in contesti popolari, migranti o precari diventano immediatamente prova di inadeguatezza genitoriale.
Chiediamoci anche quanto sono larghe queste maglie nelle valutazioni dei servizi territoriali.
Abbiamo poi un bias razzializzante da parte di quelli che si chiedono perché, piuttosto, non intervenire sulle famiglie Rom, poiché i due genitori anglo-australiani non stanno facendo nulla di male.
Questa retorica produce però tre effetti:
- Gerarchizza le famiglie - la famiglia bianca alternativa diventa metro di paragone virtuoso per produrre indignazione selettiva contro famiglie Rom e altri gruppi stigmatizzati.
- Naturalizza il pregiudizio etnico - la sottrazione dei figli ai Rom è data per scontata come intervento desiderabile, indipendentemente da situazioni specifiche.
- Oscura il tema reale - non interessa più se a Palmoli ci sia o meno grave pregiudizio nei confronti dei tre bambini e giuridicamente rilevante; la vicenda viene usata per legittimare richieste punitive verso altri gruppi.
Qui il bias è esplicito perchè la tutela dell’infanzia diventa uno strumento per riprodurre razzismo e antiziganesmo dal momento che non si chiede la coerenza alle istituzioni (uguali standard per tutte le famiglie) ma si chiede un’applicazione più dura per alcune famiglie in base alla loro appartenenza etnica o allo status sociale.
Di fatto, quando i protagonisti di una narrazione sono percepiti come simili l’intervento dei servizi è letto come abuso (e anche i servizi possono subire lo stesso bias nella valutazione). Quando sono Rom, poveri, migranti, l’intervento è chiesto con aggressività.
Oltre a ciò è importante rilevare che i tre bambini esistono nel racconto solo come oggetto conteso tra genitori antisistema e Stato oppressivo, quasi mai come soggetti con bisogni concreti e differenziati.
Una cornice narrativa più rigorosa richiederebbe, invece, di spostare il focus dalla fascinazione per la famiglia antisistema alla documentazione puntuale di cosa viene offerto ai bambini in termini di salute, istruzione, protezione; di nominare e rifiutare esplicitamente il ricorso ai paragoni con i Rom e altre minoranze come strategia retorica razzista; di ricordare che il parametro non è quanto la famiglia ci piace, ma se i diritti dei minori, tutti i minori, sono garantiti in modo non discriminatorio.