02/08/2025
L’asimmetria di potere
Ieri ho scritto un articolo su un caso di mancata accountability che ha portato come conseguenza all’abuso continuato di una bambina in affido eterofamiliare da parte dell’affidatario.
Ho introdotto il concetto di asimmetria di potere nel sistema dell’affido familiare dicendo che “l’affido familiare si configura come un dispositivo asimmetrico di potere tra adulti e minori”.
Approfondiamo questo tema.
L’asimmetria di potere si verifica quando due soggetti non hanno lo stesso grado di controllo sulle decisioni che li riguardano, quindi quando uno, rispetto all’altro, ha maggiore autorità o più risorse (economiche, sociali, simboliche), ecc.
Sono numerosi i contesti in cui può manifestarsi questa asimmetria di potere, ad esempio nella scuola in cui i docenti valutano, autorizzano comportamenti, rappresentano l’istituzione, ecc. Lo studente (o un piccolo alunno) può trovarsi in situazioni di forte subalternità soprattutto se in condizione di vulnerabilità (per lingua, disabilità, ecc.).
Un altro ambito è quello della sanità in cui il rapporto tra operatori sanitari e pazienti (soprattutto se fragili) è spesso segnato da disparità di competenze, accesso asimmetrico alle informazioni, condizioni di dipendenza fisica e/o emotiva.
Un ultimo ambito di esempio è quello del lavoro in cui le asimmetrie sono legate al contratto, alla cittadinanza, al genere (si pensi alle badanti, ai lavoratori del sommerso, ai tirocinanti, ecc.).
Chi riceve un intervento può avere difficoltà a contestarlo o negoziarlo, specialmente se si trova in una condizione di svantaggio linguistico, culturale o legale.
Nel contesto dell’affido l’asimmetria di potere è intrinseca prima di tutto perché siamo di fronte a un adulto affidatario legittimato e a un minore in posizione di tutela che ha diritti ma non ha strumenti reali per farli valere. Sono, infatti, gli adulti a rappresentarlo (affidatari, curatore, tutore, ecc.). Il bambino o il ragazzo in questa situazione è anche in una condizione di fragilità e bisogno di appartenenza che lo espone a una relazione di dipendenza, in cui l’adulto può rappresentare il più forte punto di riferimento. Oltre a ciò, il bambino o ragazzo è dipendente dalle risorse concrete o simboliche dell’adulto (casa, cibo, istruzione, relazioni, ecc.).
Anche nelle famiglie genetiche o adottive esiste una asimmetria di potere, certamente, ma questa è strutturale perché riguarda il tipo di legittimità, le aspettative sociali e i dispositivi di controllo coinvolti. Infatti, la responsabilità genitoriale deriva dalla filiazione genetica o adottiva ed è regolata dal diritto di famiglia. Questo significa che le istituzioni intervengono solo in caso di sospetto di inadeguatezza, abuso o abbandono. Invece, nella famiglia affidataria il legame è istituzionalmente costruito nella misura in cui l’adulto affidatario riceve dal tribunale o dai servizi sociali un mandato fiduciario temporaneo di accoglienza e tutela e, in molti casi, anche un rimborso economico, di un minore già valutato in condizione di vulnerabilità. È una funzione pubblica di un intervento istituzionale attivato, per questo dovrebbe essere costantemente monitorato.
Quando l’asimmetria non è bilanciata da controlli esterni, può diventare un terreno fertile per l’abuso. Se il potere dell’adulto affidatario non è sottoposto a verifica o limitato da contropoteri (es. operatori sociali, psicologi, giudici minorili), il bambino o il ragazzo rischia di trovarsi in una situazione senza via d’uscita in presenza di comportamenti abusivi; esattamente come è accaduto alla ragazza di cui ha scritto ieri il Corriere del Veneto.
L’asimmetria, quindi, non è il problema in sé, ma lo diventa quando manca una cornice di tutela dentro una organizzazione di rete. L’affido familiare deve quindi essere rientrato dentro a un contesto relazionale e organizzativo in cui il bambino e il ragazzo non sono solo oggetti di cura ma soggetti di diritti.