Nilalienum Edizioni

Nilalienum Edizioni e-Book di Scienze umane e sociali critiche
e-Book di narrativa introvabile e fuori catalogo

Nilalienum è un'Associazione culturale che dedica le sue pubblicazioni alla diffusione delle scienze economiche, filosofiche, antropologiche e psicologiche, attraverso la divulgazione del pensiero di studiosi italiani e stranieri, con l’obiettivo di promuovere un sapere integrato – una Panantropologia – avvalendosi di contributi delle diverse discipline. Sono inoltre in corso di pubblicazione oper

e di narrativa ormai introvabili e fuori catalogo

La denominazione Nilalienum è tratta da Terenzio che usa l’espressione “Homo sum, humani nihil a me alienum puto” nella commedia "Il punitore di se stesso". Tradotta al condizionale: "nulla di umano dovrebbe essere incomprensibile per l'uomo". Il logo fa riferimento alla teoria delle catastrofi del matematico-filosofo René Thom, che Nilalienum assume come rappresentazione formale della dialettica, intesa come legge dinamica che sottende tutti i sistemi complessi e ne governa le ristrutturazioni.

06/05/2025

Costituita nel dicembre 2011, l’Associazione si prefigge di diffondere la conoscenza delle scienze necessarie per procedere verso una Panantropologia attraverso la divulgazione del pensiero di studiosi italiani e stranieri.

25/04/2025

La mia nuova resistenza

Liliana Segre, la Repubblica 24 aprile 2019

Per me il 25 aprile del 1945 non fu il giorno della Liberazione. Non poteva esserlo perché io quel giorno ero ancora prigioniera nel piccolo campo di Malchow, nel Nord della Germania. C'era un grande nervosismo da parte dei nostri aguzzini, ma non sapevamo nulla di quel che accadeva in Europa. A darci qualche notizia furono dei giovani francesi prigionieri di guerra mentre passavano davanti al filo spinato. «Non morite adesso!» scongiurarono alla vista delle disgraziate ombre che eravamo. «Tenete duro. La guerra sta per finire. E i tedeschi stanno perdendo sui due fronti: quello occidentale con gli americani e quello orientale con i russi". Nelle ultime ore da prigioniere assistemmo alla storia che cambiava. Fuori dal lager ci costrinsero all'ennesima orribile marcia ma niente era uguale a prima. La mia personale festa di liberazione fu quando vidi il comandante del campo mettersi in abiti civili e buttare a terra la sua pi***la. Era un uomo terribile, crudele, che a ogni occasione picchiava selvaggiamente le prigioniere. La vendetta mi parve a portata di mano, ma scelsi di non raccogliere quell'arma. All'improvviso realizzai che io non avrei mai potuto uccidere nessuno e questa era la grande differenza tra me e il mio carnefice. Fu in quel momento che mi sentii libera, finalmente in pace. Il 25 aprile del 1945 fu quindi un'esplosione di gioia che mi sarebbe arrivata più tardi filtrata dai racconti di amici e famigliari. Avevo avuto bisogno di una tregua prima di tornare in Italia. E dovevo guarire da troppe ferite per riuscire a fare festa insieme agli altri. Ero stata ridotta a un numero, costretta a vivere in un mondo nemico e costantemente con il male altrui davanti a me, come diceva Primo Levi. Ci vollero anni perché riscoprissi il sentimento della felicità collettiva. Poi quel momento è arrivato. E il25 aprile è diventata una festa famigliare, la festa della libertà ritrovata. Simboleggiava la caduta definitiva del nazifascismo e la liberazione. E rendeva omaggio al sacrificio di partigiani e militari, ai resistenti senz'armi, ai perseguitati politici e razziali. Era la festa del popolo italiano ma anche una festa celebrata in famiglia insieme a mio marito Alfredo, che era stato un internato militare in Germania per aver detto no alla Rsi. Avevamo patito entrambi la privazione della libertà e potevamo capire il significato profondo di quella data che poneva le fondamenta della democrazia e della carta costituzionale. Ogni 25 aprile sventolavamo idealmente la nostra bandiera. Non ho mai smesso di sventolare quella bandiera. E ancora oggi mi ostino a spiegare ai ragazzi perché è una festa fondamentale. Ma è sempre più difficile combattere con i vuoti di memoria. Solo se si studia la storia si comprende cosa è stato il depauperamento mentale di masse di italiani e tedeschi indottrinate dai totalitarismi fascista e nazista. Bisogna raccontare alle giovani generazioni cos'è stata la dittatura, soprattutto ora che il saluto romano non stupisce più nessuno. Mi chiedo se a una parte della politica non convenga questa diffusa ignoranza della storia. Chi ignora il passato è più facilmente plasmabile. E non oppone “resistenza”.
In anni non lontani, c'è stato anche chi ha proposto di abolire il 25 aprile dal calendario civile. Temo che prima o poi si arriverà a cancellarlo. Perché il tempo è crudele: livella i ricordi e confonde la memoria, mentre le persone muoiono e le generazioni passano. Qualche anno fa ci siamo illusi che intorno a questa data fosse stata raggiunta l'unanimità delle forze politiche. Oggi leggo con preoccupazione che alla festa della Liberazione si preferisca una cerimonia di altro genere. Se devo dire la verità, rimango esterrefatta. In tarda età assisto a degli atti che non avrei mai immaginato di vedere: soprattutto avendo vissuto cosa volesse dire essere vittime prima del 25 aprile, quando la democrazia non c'era, e dissidenti e minoranze venivano imprigionati, torturati e anche uccisi. Così come rimango tristemente stupita di fronte alla cancellazione della prova di storia alla maturità. La mancanza di memoria può portare a episodi come quello che ha coinvolto pochi giorni fa un istituto alberghiero di Venezia. Un insegnante su Facebook ha offeso la Costituzione con parole che preferisco non ripetere. E si è augurato che Liliana Segre finisca in “un simpatico termovalorizzatore”. Questa non l'avevo ancora sentita: probabilmente il “simpatico termovalorizzatore” è la forma aggiornata del forno crematorio. Preferisco però concentrarmi sui moltissimi italiani che mi vogliono bene. E insieme ai quali festeggerò il 25 aprile, un rito laico che continua a emozionarmi. E a portarmi via con sé. Perché la libertà è una condizione assoluta, irrinunciabile. E non importa se qualche ministro resterà a casa. Sono sicura che domani saremo in tanti a provare la stessa emozione civile.
Buon 25 aprile a tutti.

“I Thibault” è una saga familiare di Roger Martin du Gard composta da otto volumi pubblicati tra il 1922 e il 1940. È pe...
21/04/2025

“I Thibault” è una saga familiare di Roger Martin du Gard composta da otto volumi pubblicati tra il 1922 e il 1940. È per questa opera che l’autore riceve il Premio Nobel per la Letteratura nel novembre del 1937.

Attraverso la vita di due famiglie borghesi, i Thibault e i Fontanin, è rappresentata la società francese della Belle Époque, destinata a finire tragicamente con la Prima guerra mondiale.

L’intero ciclo è incentrato principalmente sui figli del notabile cattolico Oscar Thibault, due fratelli apparentemente agli antipodi. Età, temperamento, stile di vita: a prima vista tutto li separa. L’autore scrive: “ho visto in loro la possibilità di esprimere contemporaneamente due tendenze opposte della mia natura, l’istinto di indipendenza, di fuga, di rivolta, il rifiuto di ogni conformismo, e l’istinto di ordine, di misura, il rifiuto degli estremi”.

E infatti, Antoine, il maggiore, è un medico sicuro di sé, razionale e conformista, mentre il minore, Jacques, è un idealista tormentato, insofferente nei confronti dei valori della borghesia e un militante socialista. Non si capiscono, eppure si amano profondamente. Non la pensano allo stesso modo, ma pensano spesso l’uno all’altro.

Anche nella famiglia Fontanin, di religione protestante e quindi malvista dal vecchio Thibault, ci sono due ragazzi dell’età di Jacques: Daniel, con cui diverrà molto amico, e Jenny, con la quale avrà una relazione.

Nei primi due romanzi si segue il passaggio dall’adolescenza all’età adulta di Jacques e di Daniel, e l’avvio alla professione di medico di Antoine; mentre nei quattro successivi sono descritte le vicissitudini e le ipocrisie della vita borghese, nonché i mutamenti religiosi e morali della società del xx secolo. Il romanzo familiare si trasforma, quindi, in un affresco sociale.

Gli ultimi due romanzi sono dedicati alla Prima guerra mondiale e alle sue tragiche conseguenze. A essere studiata a fondo dall’autore è soprattutto l’ideologia che si diffonde nell’estate del 1914, quando la lotta per la pace dei movimenti operai e dei socialdemocratici viene travolta dall’ondata del nazionalismo interventista. Jacques non accetta la follia della guerra che, per obiettivi imperialisti, causerà la morte di milioni di persone, e per lui è un obbligo morale opporvisi con un grande gesto eroico.

Erede della tradizione del romanzo familiare, Martin du Gard dipinge un quadro senza compromessi della società francese mettendo in primo piano le esperienze e i pensieri più intimi dei protagonisti, colti con grande finezza psicologica nella trama di dettagli che compongono la vita quotidiana. Se l’organizzazione complessiva di questo romanzo epico segue cronologicamente la vita e lo sviluppo intellettuale ed emotivo dei due personaggi principali, Antoine e Jacques – circondati da una galleria di personaggi secondari variegati e persino pittoreschi – le sue diverse parti permettono all’autore, ateo e materialista, di affrontare in maniera autonoma, ma comunque legata al contesto storico, questioni etiche, sociali, politiche e ideologiche, che culminano con quelle riguardanti la guerra e il pacifismo.

Grazie ai destini intrecciati dei Thibault e dei Fontanin e grazie ai diversi caratteri dei due fratelli Thibault, Roger Martin du Gard realizza un intenso romanzo di sentimenti e di idee, dimostrando una profonda conoscenza della crisi del suo tempo.

Il ciclo è composto da otto romanzi: Il quaderno grigio (1922), Il riformatorio (1922), La bella stagione (1923), Il dottore riceve (1928), La Sorellina (1928), La morte del padre (1929), L’estate del 1914 (1936) ed Epilogo (1940).

Roger Martin du Gard - “I Thibault” 👉www.nilalienum.com

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Autrice di quattordici romanzi, conosciuta e apprezzata nella prima metà del Novecento da pubblico e critica, vincitrice...
17/04/2024

Autrice di quattordici romanzi, conosciuta e apprezzata nella prima metà del Novecento da pubblico e critica, vincitrice del premio letterario “Dei Trenta”, collaboratrice di quotidiani e amministratrice della casa editrice Quintieri, Bianca De Maj ha subito, come molte scrittrici dell’epoca, una damnatio memorie.

Eppure, c’è nei suoi romanzi un senso di raro equilibrio, una sicura armonia di svolgimento e uno stile narrativo di rara precisione. I protagonisti sono i vinti dal destino che, crudele, li piega e li spezza senza però togliere loro la dignità e la speranza. I suoi personaggi, soprattutto quelli femminili, sono solo in apparenza fragili, e spesso sviluppano una grande resilienza. La scrittrice vede con acutezza l’intimità delle anime, ne coglie con amorosa attenzione i ritmi più tenui, li ritrae con quella semplicità che va dritta al profondo attraverso la delicatezza dei particolari, senza mai perdersi in essi, conservando sempre una larghezza di visione ed un ampio respiro. Possiede una schietta empatia per tutto ciò che è dolore e, insieme, un delicato pudore per la sofferenza altrui.

Bianca De Maj rappresenta senza dubbio un esempio di donna emancipata, che ha contribuito con il suo lavoro di impiegata e di scrittrice al mantenimento dei genitori anziani, di sé stessa nei lunghi anni di nubilato, durante i dissesti finanziari del marito, e infine negli anni della vedovanza, fino alla morte.

La trilogia include “Pagare e tacere”, “Il falco sul nido” e “La casa venduta” non più pubblicati da oltre cinquant’anni.

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23/01/2024

Più di ogni altro animale l’uomo aspira alla felicità. Non può fare altrimenti essendo ricco di potenzialità emozionali e intellettive, e per giunta motivato da un’angoscia di precarietà che è solo sua.
La consapevolezza dei lutti, dei dolori, delle malattie, della vecchiaia, della morte è tenuta al margine della coscienza dall’aspirazione alla felicità. Il problema è come realizzarla.
Le strategie non funzionano tutte. Il sistema del piacere non è specializzato, non riconosce un centro per la fame, uno per il sesso, uno per i soldi, uno per la musica e via dicendo. È polivalente e, per di più, esigente. Si mantiene in equilibrio solo se è stimolato in più modi. Predilige i piaceri eterogenei, da quelli fisici a quelli spirituali. E, dato che è un sistema unico, pare che questa differenza, alla quale si appellano gli edonisti per un verso, le vittime della virtù per un altro, la natura non la riconosca. Mens sana in corpore sano è una bella formula di saggezza ma, da Cartesio in poi, gli uomini hanno sempre più difficoltà a praticarla. Esistono troppi corpi nel nostro mondo scolpiti nelle palestre che mascherano un cervello da gallina. Non meglio se la cavano quei pochi che, disprezzando le mode e coltivando solo lo spirito, vanno in giro con la testa piegata da un peso che il corpo macilento sembra non reggere.
Qualunque limitazione della pratica delle diverse attività da cui un individuo può ricavare piacere è controproducente. Così, se uno pretende di soddisfarsi ingurgitando solo del cibo, ne può mettere dentro quanto ne vuole: gli rimane la fame (di vivere); se un altro vuole appagarsi solo con le letture dei libri, si incupisce. Stessa cosa per gli assatanati del lavoro, dei soldi, del potere, del sesso e di tutte le ossessioni unilaterali. La verità, più o meno, è questa: per avere un po’ di pace, l’uomo è costretto a sviluppare tutte le sue qualità – fisiche e psichiche – in un rapporto significativo, cioè vissuto, sentito, partecipato, con il mondo (con se stesso, la natura, gli altri e la cultura). Questa è la dura lex scritta nel congegno.
Luigi Anepeta

“I Vinti” e, il seguito, “Il Poema venduto”, sono gli unici romanzi di Carmela Baricelli, figura straordinaria nell’ambi...
14/10/2023

“I Vinti” e, il seguito, “Il Poema venduto”, sono gli unici romanzi di Carmela Baricelli, figura straordinaria nell’ambito del socialismo e del femminismo del primo Novecento. Insegnante, scrittrice, giornalista, militante politica, si è battuta in prima persona a favore dell’emancipazione femminile e delle classi subalterne. Quando, dodicenne, la madre la vuole avviare al lavoro di sarta, si oppone con tutte le sue forze, rifiutando ogni condizionamento sociale al grido di “voglio andare a scuola!”. Questa indole determinata caratterizza tutta sua la vita, dall’impegno nell’attività educativa, alle lotte politiche, fino alle opere letterarie, la cui protagonista, Bianca Malli, ha la sua medesima forza d’animo e la sua stessa propensione altruistica, “che la porta a sentir pietà per tutti gli esseri viventi”. Bianca è una giovane intellettuale che affronta con grande forza d’animo e spirito d’iniziativa gli avvenimenti dolorosi che investono la sua famiglia e che ruotano intorno a una pregevolissima opera poetica scritta dal fratello. Per la situazione di bisogno in cui si trovano improvvisamente i due ragazzi, il poema viene venduto a un ricco nobiluomo che lo fa passare per suo, ottenendone grande riscontro. Le vicende che seguono, animate da una moltitudine di eventi e di personaggi inconsueti, sul filo del senso di giustizia di Bianca conducono ad un esito inatteso ma appagante.
L’ultima pubblicazione del “Poema venduto” risale al 1911.

Carmela Baricelli - “I Vinti”, “Il Poema venduto”
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Costituita nel dicembre 2011, l’Associazione si prefigge di diffondere la conoscenza delle scienze necessarie per procedere verso una Panantropologia attraverso la divulgazione del pensiero di studiosi italiani e stranieri.

31/07/2023

Il 31 luglio 1919 nasceva a Torino Primo Levi.

Leopardi, 29 giugno 1798
29/06/2023

Leopardi, 29 giugno 1798

Un mosaico di ventidue voci che appartengono a ventidue grandi della musica d'autore italiana - i cui volti e nomi restano un mistero - ognuno dei quali recita un verso dell'Infinito di Giacomo Leopardi. Un capolavoro, targato Rai e Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il Turismo, per...

Come possiamo reggere il dolore e capire che la malattia è l’ultimo effetto della mancanza d’amore se non siamo mai sali...
28/04/2023

Come possiamo reggere il dolore e capire che la malattia è l’ultimo effetto della mancanza d’amore se non siamo mai saliti al sanatorio che Thomas Mann descrive ne “La montagna incantata?” Come gettare un’occhiata e scoprire qualcosa che passa sotto la soglia della nostra coscienza se non abbiamo mai incontrato Dostoevskij quando, spietatamente e senza infingimenti, scrive le sue “Memorie dal sottosuolo”? Che ne sappiamo della “nausea” se Sartre è sparito dalle nostre librerie perché nessuno più lo legge? Che ne sappiamo dello “straniero” e come facciamo a discutere di immigrati, di integrazione e di espulsione se mai abbiamo sperimentato la condizione di straniero e neppure ci siamo fatti aiutare da uno dei capolavori di Camus? Davvero possiamo capire qualcosa della miseria senza aver mai letto “I miserabili” di Victor Hugo? Oppure qualcosa della guerra e della pace, per quel tanto di indistinto e indiscernibile queste due parole, apparentemente opposte, significano, se non abbiamo neppure aperto una pagina del capolavoro di Lev Tolstoj?
E siccome la nostra vita è regolata dalle nostre idee, di loro dobbiamo aver cura per evitare che si irrigidiscano, che si assopiscano, e che, come capita alle stelle, si spengano. La lettura dei libri ci evita questo rischio e ci abitua a problematizzare di continuo le nostre idee, soprattutto quelle che, per ragioni biografiche, culturali o per effetto della propaganda, sono così radicate dentro di noi da agire come dettati ipnotici che non tollerano alcuna critica, alcuna obiezione. Non sono idee che “pensiamo”, ma idee che ci “possiedono” e sono in noi così radicate che neppure la luce della ragione riesce a far giungere il suo raggio. Ad esse siamo così arroccati perché sono comode, non danno problemi, ci rassicurano, ci evitano la sofferenza della problematizzazione, e senza che neppure ci accorgiamo ci fanno imboccare la via dell’intolleranza, oggi così diffusa tra chi ha poche idee mai messe in discussione.
Ma oltre all’intolleranza queste idee che ci rassicurano possono produrci anche delle sofferenze che non nascono dal mondo emotivo o sentimentale di cui si occupa la psicoterapia, ma dalla pigrizia del nostro pensiero che, non sollecitato dai libri che non leggiamo, non ci consente di comprendere il mondo in cui viviamo, che cambia in continuazione senza che noi si disponga di idee nuove per capirlo.
Seguite la vostra passione per i libri. Avrete una cerchia ristretta di amici, ma almeno saranno amici con i quali potrete parlare senza la sofferenza di ascoltare banalità insopportabili.

Umberto Galimberti

25/04/2023

«I mostri esistono, ma sono troppo pochi per essere veramente pericolosi; sono più pericolosi gli uomini comuni, i funzionari pronti a credere e ad obbedire senza discutere»

Primo Levi

25/04/2023

Era il primo di maggio e il comandante di quell'ultimo campo, un uomo crudele, si toglie la divisa e butta via la pi***la. lo non ero quella che sono oggi, mi ero nutrita di odio e di vendetta. Lasciando la mano sacra di mio padre, giorno dopo giorno ero diventata un'altra, quella che loro volevano che io diventassi: un essere insensibile che sognava l'odio e la vendetta. Pensai "adesso raccolgo questa pi***la' che avevo tanto visto usare 'e gli sparo'. Mi sembrava proprio un giusto finale di quel periodo incredibile, di cui ero stata una testimone. Fu un attimo. Un attimo importantissimo e decisivo della mia vita perché capii che mai, per nessun motivo al mondo, avrei potuto uccidere qualcuno, che io non ero come il mio assassino.
Non ho raccolto quella pi***la e da quel momento sono diventata quella donna libera e di pace con cui ho convissuto fino ad ora.

Liliana Segre

Indirizzo

Rome

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