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01/05/2025
«[…] gran parte dell’umanità è ridotta alla funzione di bestia da soma vivente alla giornata, senza mai poter volgere il pensiero alle gioie spirituali, che scaturiscono dallo studio delle scienze e dalla creazione artistica.
In tutto il corso della storia, il governo è sempre stato o la dominazione brutale, arbitraria di pochi sulle masse, o uno strumento ordinato ad assicurare il dominio e il privilegio a coloro che per forza, o per astuzia, o per eredità, hanno accaparrato tutti i mezzi di vita, primo fra essi la terra, e se ne servono per tenere il popolo in servitù, e farlo lavorare per proprio conto. Noi dobbiamo quindi considerare atto di violenza statale non il solo fatto episodico dell’impiego delle armi e delle leggi eccezionali in circostanze di scioperi e di rivolte.
Non il solo fatto tragicissimo della guerra che trascinava ieri al fronte, gettandoli in una fornace di distruzione milioni e milioni di vite umane e che consisterà domani nel distruggere i centri industriali, nel colpire i paesi e le popolazioni; nell’interrompere ogni forma di vita sociale, nella casa stessa dell’avversario. Giacché gli eserciti domani non conteranno più. Si massacreranno i popoli col lancio di gas e di bombe gettati dagli aeroplani, e si concluderà la pace sul cimitero delle nazioni vinte e vincitrici.
Ma noi dobbiamo considerare anche atto di violenza tutto ciò che lo Stato compie in permanenza, e incominciando dal fatto che, essendo il guardiano della proprietà privata, obbliga la maggioranza degli uomini, pena il bando, la fame, le catene, la prigione, e in definitiva la morte, a lavorare per gli altri a vivere una vita di desolazione fisica, intellettuale e morale, per dare ad altri tutte le ricchezze, tutte le felicità e tutte le bellezze della vita. Ed è vano e stolto voler separare le due forze di coercizione – Stato e proprietà – come fanno le scuole autoritarie del socialismo: sieno esse democratiche o dittatoriali. Giacché la proprietà è il mezzo per governare; e il governo è il mezzo per possedere. Tutte e due queste forze raggiungono il fine di far dominare una parte degli uomini sugli altri.
Ed è alla violenza che la società in cui si vive serba i suoi inni entusiastici e alati; allorché ogni piazza, ogni via d’una città, d’un paese, e perfino d’un più remoto e sperduto villaggio, porta il nome d’un fosco sterminatore e massacratore di popoli. Allorché si innalzano a essi i più ricchi monumenti, mentre nel girone del più ingrato oblio sono relegati gli eroi della fatica e del lavoro.
Dai minatori cupi e silenziosi, che spesso scavano le proprie tombe per un pane e una vita insicuri, ai prodi marinai che solcano i mari per fare un ponte mobile e umano, onde congiungere i continenti; a tutto quel mondo taciturno e operoso, che all’alba di ogni giorno, si reca a ritemprare le braccia nell’onesto colloquio con la macchina forte e fedele; si reca a tendere il cuore, per riconfortare l’intima e travagliata esistenza, alla voce di qualche solitario cantore suo, che risolleva sopra una vetta di luce questa fatica eroica e l’eroismo canti e sublimi di questo novello onore».
Da “La violenza degli oppressori e la rivolta degli oppressi” di Virgilia D’Andrea all’interno della sezione “Richiamo all’anarchia” nell’antologia «Non sono vinta»