09/09/2025
Abbiamo chiesto a Giorgia Mecca un commento sulla finale degli Us Open e sul percorso di Jannik Sinner e ci ha mandato una riflessione illuminante e profonda sul senso di vittoria e rivalità nel tennis. La ringraziamo di cuore.
«Il tennis sa essere crudele in molti modi diversi. Per esempio quando, subito dopo l’ultimo punto sbagliato in una finale di un torneo del Grande Slam, ti obbliga a stare in piedi in mondovisione al centro della scena ma due passi indietro rispetto al trofeo, ad applaudire il discorso del nuovo campione, quello che ti ha appena sconfitto. Per esempio quando ti obbliga addirittura a parlare davanti allo stadio più grande del mondo, a improvvisare un discorso in cui ti congratuli con il vincitore, il suo team, ringrazi i presenti, e bla bla bla.
Il sorriso di Jannik Sinner subito dopo la finale dello Us Open non aveva niente di finto. Subito dopo l’ultimo servizio vincente dello spagnolo, l’azzurro si è avvicinato verso la rete, sporgendosi per abbracciare il suo avversario, l’uomo, o meglio, il ragazzo che gli rubato il titolo e la prima posizione del ranking.
È una scena che si ripete da mesi, con risultati alterni, quella degli abbracci a metà campo tra i nuovi padroni del tennis. Roma, Parigi, Londra, infine New York. Ogni volta lo stesso sorriso da parte di entrambi. Un misto di riconoscenza, gratitudine, la consapevolezza che senza l’Altro, il giocatore che ti ha appena battuto e che ti batterà ancora, tu vinceresti di più ma varresti di meno. Non è una questione privata, il tennis. È come si trasforma Sinner quando si trova davanti Alcaraz. E viceversa. Gli highlights che sono capaci di generare.
Ci sono giocatori di calcio che dopo aver perso una finale si tolgono platealmente la medaglia da secondo arrivato subito dopo essere stati costretti a indossarla.
Sinner, ma anche Alcaraz, è l’esatto contrario.
All’entrata del campo Centrale di Wimbledon c’è una frase tratta da una poesia di Rudyard Kipling che si chiama If e invita i giocatori a trattare vittoria e sconfitta allo stesso modo. Chiunque abbia mai preso una racchetta in mano sa che è impossibile, come si fa? Non ci riescono i tennisti di provincia, figuriamoci quelli che si giocano la prima posizione del ranking.
Eppure Jannik Sinner. Le fossette che gli si formano quando sorride per il suo avversario.
Non è etichetta e non è fair play. E non è nemmeno che perdere non faccia male.
Forse è sapere di essere parte di una rivalità che sta cambiando il tennis. Forse è sapere di avere tutta la carriera davanti. Forse è sapere di avere un ruolo nelle vittorie del tuo avversario. Certe volte il servizio funziona, certe volte no. Anche questo i campioni lo sanno.
A Parigi Sinner non ha sfruttato 3 match point prima di perdere al tie break del quinto set. A New York il match è stato molto meno equilibrato, tutto in favore dello spagnolo. Anche dopo il Roland Garros ha mostrato le stesse fossette, il suo sorriso. “Ci sono due modi per affrontare quello che è successo. O pensi che hai avuto 3 match point e non li hai sfruttati. O pensi che non sei mai stato così vicino dal vincere il Roland Garros. Io ho scelto il secondo pensiero”.
Da domani Jannik Sinner torna a caccia.»
Giorgia Mecca () si occupa di tennis per Sky Sport e Il Foglio. È autrice e voce del podcast Doppiomisto. Per 66thand2nd ha scritto il libro “Serena e Venus Williams, nel nome del padre”.