29/10/2025
Il prezzo della sottovalutazione
Jessica Stapazzolo Custodio de Lima aveva 33 anni. È morta nel modo più atroce, colpita da decine di coltellate, in casa sua, da quell’uomo che aveva già mostrato chi era.
Un uomo che la legge definiva “pericoloso”.
Un uomo con un divieto di avvicinamento, con un braccialetto elettronico, con precedenti per violenze.
Eppure libero di uccidere.
Sembra impossibile, ma è successo di nuovo.
E ogni volta che accade, ci ritroviamo di fronte allo stesso copione: una donna che aveva denunciato, che aveva paura, che forse aveva provato a proteggersi, ma che non è stata protetta.
Un sistema che troppo spesso promette tutela e invece consegna la vittima al suo carnefice.
Una serie di misure che sulla carta funzionano, ma nella realtà diventano carta straccia.
Jessica aveva già segnalato la violenza, poi aveva ritirato la denuncia.
Una scelta che troppi giudicano con leggerezza, come se fosse una forma di debolezza.
In realtà, è il sintomo di una dinamica ben nota a chi lavora nel campo della violenza di genere: la spirale della paura, della colpa, della speranza malata, della dipendenza psicofisica.
Lei ci aveva creduto, forse. Che lui potesse cambiare, che bastasse un po’ di tempo, che la rabbia passasse.
Ma chi, come me, conosce il profilo psicologico di certi soggetti sa bene che la violenza non si estingue: escalation dopo escalation, cresce, si alimenta di possesso, di rancore, di ferite narcisistiche.
E alla fine esplode. Sempre.
E allora ci chiediamo: com’è possibile che un uomo già denunciato, già condannato, già controllato con un braccialetto elettronico, sia riuscito a liberarsene e ad andare a colpire la donna che avrebbe dovuto stare lontano da lui?
Dov’era il controllo? Dov’era la rete di sicurezza?
Perché, ancora una volta, è la vittima a pagare per le inefficienze del sistema?
Il braccialetto elettronico non è un talismano.
È un segnale, un allarme. Ma se nessuno lo ascolta, se nessuno interviene quando viene manomesso o disattivato, non serve a nulla.
Così come non serve a nulla una misura cautelare senza monitoraggio reale, senza personale preparato, senza risposte tempestive.
Jessica non aveva bisogno di un foglio firmato, aveva bisogno di essere davvero protetta.
Questo femminicidio è l’ennesima dimostrazione che le falle del contrasto alla violenza di genere sono profonde, sistemiche, strutturali.
Non si tratta solo di un errore.
È un fallimento collettivo di chi non ha vigilato, di chi ha sottovalutato, di chi continua a credere che basti una denuncia o un braccialetto per fermare la furia di un uomo incapace di accettare la fine di un legame perché lo trasforma in una umiliazione da lavare via con il sangue.
Chi conosce la mente dei maltrattanti lo sa che questi uomini non sopportano il rifiuto, non tollerano l’autonomia della donna.
Vivono la separazione come un affronto, un’umiliazione da lavare con la violenza.
E quando iniziano a perdere il controllo, quando la donna cerca di liberarsi, allora scatta la fase più pericolosa.
È in quel momento che bisognerebbe intervenire con forza, con presenza, con strumenti reali.
Non dopo. Mai dopo.
Invece Jessica, come troppe altre prima di lei, è rimasta sola dentro quella spirale di violenza.
Sola con le sue paure, con la sua speranza, con un sistema che l’ha lasciata scoperta.
E oggi la sua storia diventa un monito amaro, un grido che dovrebbe scuotere le coscienze.
Perché la verità è questa: la violenza di genere non è un’emergenza passeggera, è una pandemia culturale e istituzionale.
E finché continueremo a trattarla come un problema “privato”, continueremo a contare le vittime. Una dopo l’altra.
Jessica non è un nome tra gli altri. È l’ennesimo volto cancellato da una sottovalutazione che grida vendetta.
E chi oggi ha il coraggio di guardare davvero questa storia negli occhi, non può più parlare di “tragica fatalità”.
Non è fatalità.
È prevedibilità ignorata.
È incapacità di leggere i segnali.
È l’ennesima conferma che la pericolosità di certi profili non può essere gestita con superficialità o burocrazia.
Serve un cambio di paradigma. Subito.
Perché ogni volta che il sistema fallisce, una donna muore due volte: la prima quando perde la fiducia, la seconda quando perde la vita.