Squilibri Editore

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ADDIO A MIMMO JODICE, OCCHIO E MEMORIA DI UNA NAPOLI ANTICAPer quanti si occupano di musiche di tradizione orale, il nom...
30/10/2025

ADDIO A MIMMO JODICE, OCCHIO E MEMORIA DI UNA NAPOLI ANTICA

Per quanti si occupano di musiche di tradizione orale, il nome di Mimmo Jodice -vale a dire di un gigante della cultura europea e un maestro della fotografia internazionale- è legato alla sua collaborazione, agli inizi della sua strepitosa carriera, con Roberto De Simone e al quel loro capolavoro, a quattro mani e due sguardi, “Chi è devoto. Feste popolari in Campania”, dove, con la prefazione di Carlo Levi, tra immagini e canti della tradizione, hanno immortalato il calendario rituale e devozionale della loro regione, dalle processioni del Venerdì Santo ai devoti della Madonna dell’Arco, e soprattutto l’intensità dei volti dei fedeli colti nel vivo della loro esperienza religiosa, nei più diversi e disparati contesti.

Ed è stato sempre il suo obiettivo a fotografare i cantori chiamati a raccolta da De Simone, nei mitici studi Zeus di Napoli, per la registrazione dei brani confluiti poi nei “sette microsolchi” e ora nei CD allegati al nostro volume “Son sei sorelle” con le sue splendide fotografie in copertina, sia del volume che dei singoli cd.

Con Mimmo ci siamo visti e sentiti più volte, accarezzando il progetto di ripubblicare il “Chi è devoto” e spesso se ne è parlato anche con Angela, la sua compagna di vita e lavoro per tutta la vita. Ma distratti dai rumori di ogni giorno e nell’illusione che ci sia sempre e ancora tempo, abbiamo rinviato stoltamente di anno in anno

E il fatto che a poche ore di distanza ci abbia lasciato anche James Senese aumenta a dismisura la tristezza e il dolore

DI RITORNO DAL TENCO, QUALCHE CONSIDERAZIONEDal Tenco si ritorna sempre stanchi, molto stanchi, ma anche felici per quan...
29/10/2025

DI RITORNO DAL TENCO, QUALCHE CONSIDERAZIONE

Dal Tenco si ritorna sempre stanchi, molto stanchi, ma anche felici per quanto si è visto, sentito e vissuto. Quest’anno anche più stanchi del solito, pur non avendo noi impegni particolari, nessuna targa da ritirare o libri da presentare

Un’edizione a dir poco imponente, quella del 2025, che riversa sul palco dell’Ariston, e negli eventi disseminati in città, dal Casinò alla Pigna, oltre che nelle pagine di un superbo numero del Cantautore, l’ampiezza di un tema come la memoria, affrontandolo nelle sue innumerevoli declinazioni, dagli alpini a Pier Paolo Pasolini, dalla Resistenza al Rock, considerate sempre da una visuale particolare, qual è quella della canzone d’autore, a riprova della sua ricchezza e fecondità.

E senza mai perdere il riferimento al nostro tormentato presente, per rifugiarsi in confortevoli ridotte, con il pensiero continuamente rivolto, per voce e in musica e su carta, alla tragedia tuttora in corso della Palestina.

Una straordinaria offerta culturale, quella del Premio Tenco, che incontra sempre più il favore del pubblico, con il tutto esaurito in ogni appuntamento, dalle serate all’Ariston ai sempre più belli e originali concerti alla Pigna, fino alle sempre molto partecipate presentazioni di libri e dischi su aspetti significativi della storia nazionale.

Un pubblico molto attento, quello del Tenco, che ha seguito con interesse tutto quanto gli è stato proposto, dimostrando anche di apprezzare in modo particolare quanto altrove non avrebbe mai modo di vedere -due nomi su tutti, il Grup Yorum e un Ricky Gianco in grandissimo spolvero malgrado gli acciacchi del tempo- e che costituisce la stessa ragion d’essere del Tenco e la sua originalità, da salvaguardare e preservare ad ogni costo.

Ma senza saperlo, a Sanremo abbiamo trovato anche qualcosa di nostro, vecchi compagni di strada della nostra casa editrice, da Alessandro D’Alessandro -impegnato in due set, con Mimmo Locasciulli e in duo con Gianni Coscia- a Alessio Lega, per un ricordo “in musica e disegni” di Sergio Staino, fino a David Riondino, con un meraviglioso scavo nelle memorie letterarie della canzone d’autore, presto in uscita con noi di Squilibri.

E a conferma dell’adagio di Vinicius de Moraes adottato da Rambaldi a divisa del Tenco (La vita è l’arte dell’incontro), al Dopo Tenco si sono fatti altri incontri che potrebbero presto tradursi in nuove collaborazioni. Alè

Nelle foto, tutte di Roberto Molteni, David Riondino, Ricky Gianco, Grup Yorum, Alessandro D'Alessandro con Gianni Coscia e Mimmo Locasciulli, Sarah Jane Ceccarelli e la Scraps Orchestra (e non a caso abbiamo ripreso anche questi ultimi due...)

SUI FRATELLI BREGOLI E DI UN CANTO FORGIATO IN MINIERA “Le esecuzioni di canti popolari dei Bregoli sono tra le piu dram...
28/10/2025

SUI FRATELLI BREGOLI E DI UN CANTO FORGIATO IN MINIERA

“Le esecuzioni di canti popolari dei Bregoli sono tra le piu drammaticamente intense che abbia mai sentito. E vero che lo stile delle esecuzioni canore della Lombardia orientale, e in particolare delle Prealpi Orobiche, privilegia il valore del testo, della parola, rispetto all’estetica musicale, e ciò pone le premesse per una pregnanza interpretativava “attorale” del testo cantato, ma le Esecuzioni dei Bregoli, e in particolare il canto di Peppino, sono in questo senso del tutto eccezionali.

E non mi riferisco soltanto ad “informatori” registrati sul campo: per trovare esecutori di canti popolari che manifestino un analogo grado di intensità devo pensare ad artisti come Caterina Bueno o a Ciccio Busacca in Italia, a Doc Watson e a Big Bill Broonzy in America, a Shane McGowan dei Pogues in Irlanda.

Le esecuzioni dei Bregoli sono terribilmente convinte. Sono venute formandosi nelle scuole esecutive delle cantate nelle baracche dei minatori, dove il pubblico e i cantori sapevano cosa era il lavoro in miniera e in galleria. Sapevano che ogni volta che si entra non è detto che si tornerà fuori. Sapevano cosa è la “volata” e l’esplosione delle mine, e cosa succede al “fuochino” (il minatore addetto alla deflagrazione della carica esplosiva) se non si è messo a distanza di sicurezza.

Sapevano cosa vuol dire venire seppelliti vivi, con il rischio di perdere i sensi e soffocare nel proprio vomito. Sapevano cosa è la silicosi, e la differenza tra la silicosi da carbone, devastante ma con cui si può convivere, e quella da silicio, che uccide in pochi anni. Tutti avevano avuto parenti o amici coinvolti in infortuni sull’“avanzamento” (e il termine tecnico con cui si indica il procedere della perforazione in una miniera o in una galleria).

Sapevano cosa vuol dire abbandonare casa e affetti familiari per mesi e mesi, e andare a scavare “ai confini della Francia” o in capo al mondo. E i cantori sono convinti di quel che dicono, perchè quelle esperienze le hanno vissute anche loro, proprio come i loro ascoltatori; e il processo di attivazione della memoria emotiva avviene spontaneamente e collettivamente, in un flusso continuo in andata e ritorno tra interpreti e pubblico.

I Bregoli hanno trasportato questo stile interpretativo, marcato dal loro percorso esistenziale e dalla loro “scuola” di interpreti della miniera su tutto il loro repertorio. Che cantino ballate, o canzoni d’amore, o strofette erotiche, o canti conviviali scollacciati, o assumano il punto di vista femminile nel lamento della ragazza maritata, o che sfottano i contadini, i loro rivali sociali, le loro voci esprimono comunque una visione della vita come dramma: né può essere altrimenti per gente che gioca quotidianamente una partita con la morte”.

Così Bruno Pianta, che più di ogni altro ricercatore li ha frequentati, conosciuti, amati e registrati, sulla famiglia Bregoli di Pezzaze, in provincia di Brescia, tra la media e alta Val Trompia, nel suo denso saggio "Per il mondo me ne andai… Le radici di una poetica operaia", contenuto nel volume, a cura di Guido Bertolotti, “Avanzamenti. Minatori, fabbri e operai nella ricerca sul campo e negli archivi”.

Al volume è allegato un CD con l’intero repertorio dei Bregoli, ripreso da un disco del 1976, curato dallo stesso Pianta, "I protagonisti. Minatori della Valtrompia. La famiglia Bregoli di Pezzaze", e da un altro disco, dello stesso anno, ma curato da Roberto Leydi, "Brescia e il suo territorio".

Con contributi di Angelo Bendotti, Graziella Pedretti, Carolina Lussana, Maria Costa, Maddelena Cerletti, Alberto De Cristoforo, Primo Ferrari e Bruno Pianta e un sezione fotografia, a cura di Roberta Valtorta, con foto di Maurizio e Federico Buscarino, Pepi Merisio, Ferdinando Scianna) e Silvestre Loconsolo.

https://www.squilibri.it/catalogo/aess/guido-bertolotti-a-cura-di-avanzamenti

Nelle foto di Ferdinando Scianna, i Bregoli a Pezzaze nel 1976.

PIPPO POLLINA DI NUOVO IN CAMMINO CON "L'ALTRO"Ripartono da Trapani, con altre 18 date, gli incontri di Pippo Pollina co...
27/10/2025

PIPPO POLLINA DI NUOVO IN CAMMINO CON "L'ALTRO"

Ripartono da Trapani, con altre 18 date, gli incontri di Pippo Pollina con i lettori del suo primo romanzo, “L’altro”, seguendo la naturale disposizione al dialogo e al confronto di un autore che pure non avrebbe alcun stringente motivo per rimettersi di nuovo e con rinnovato entusiasmo “in cammino” per promuovere un libro tradotto già in diverse lingue e giunto alla seconda ristampa anche nell’edizione italiana

Una disposizione, la sua, che dice molto sull’indole dell’autore ma indica anche alcune delle ragioni di un successo come il suo, consolidato negli anni ed esteso a diverse nazioni, fondato anche su una rara capacità di ascoltare e recepire quanto di più rilevante e significativo accade attorno a noi, dalle relazioni personali ai grandi eventi storici, per poi restituirlo in musica e, ora, anche in prosa.

Qui info sul romanzo “L’altro”
https://www.squilibri.it/catalogo/carte-da-musica/pippo-pollina-l-altro

Hanno scritto su di lui e il suo romanzo

"Un romanzo ambizioso, un giallo sentimentale (due storie d'amore) che poi diventa un noir; ma anche un romanzo d'inchiesta e di formazione. Il tutto raccontato con una spudorata capacità di coinvolgimento che rende la scrittura di Pollina agile e imprevedibile, quasi cinematografica" Giandomenico Curi, Il Venerdì di Repubblica

"Un romanzo che racconta come la Storia sia destinata a condizionare le esistenze individuali con deviazioni imponderabili, ma anche di paternità, di migrazione e di come due esistenze che scorrono parallele possano convergere nel tempo, nello spazio e negli affetti" Eleonora Lombardo, Repubblica-Palermo

"Un romanzo coinvolgente e affascinante. Pollina sa come arrivare al cuore dei suoi ascoltatori da quarant'anni; non fallisce nemmeno in questo caso" Laura Bianchi, Mescalina

"Elaborato in forma scorrevole e coinvolgente, “L’altro” è anche (soprattutto) un romanzo assiologico, teleologicamente coraggioso e schierato per la ri-acquisizione di una coscienza civile, quindi all’impegno nella lotta alle mafie. A qualsiasi latitudine e sotto qualunque make-up esse si manifestino" Mario Bonanno, Solo Libri

"In fin dei conti Pippo Pollina non se n'è mai andato perché questo suo libro è veramente immerso in una Sicilia profondamente civile, la stessa che lui ha assaggiato in giovinezza e si è portato dietro come un tesoro" Simonetta Trovato, Il giornale di Sicilia

"In qualche modo le citazioni, i fatti, i nomi, i personaggi pubblici arruolati in questo romanzo, diventano paradigmatici e si intrecciano ai fatti, ai nomi, alle citazioni di ciascuno. Che poi è quello che avviene con i grandi romanzi" Gingolph.it

"Pollina, con la sua arte raffinata, non solo racconta una storia, ma invita a un’esperienza emotiva e intellettuale che lascia un’impronta indelebile nel cuore e nella mente del lettore" Francesco Scatigno, Il mago di Oz

"Le discussioni e i dialoghi, ben costruiti e ricchi di curiosità consentono di conoscere a fondo bellezze e aberrazioni dei luoghi, le dinamiche degli intendimenti e dei mutamenti nel tempo che scorre, i danni della globalizzazione e il vuoto lasciato dalla scomparsa delle ideologie" Alberto Marchetti, Vinile

"Due figure dal passo parallelo che trascinerà le loro vite a scelte decisive, osservate dall’occhio di un musicista attento alla cronaca del nostro tempo, su eventi che hanno stravolto il contemporaneo" Salvo Pistoia, La Sicilia

"L’opera è coraggiosa, ha un’architettura solida, uno sviluppo coinvolgente ed è sostenuta dalla sua ineludibile integrità e forza morale" Alessandro Hellmann, MusicalNews

"Un buon narratore, quando è tale, sa esprimersi in una canzone o in un romanzo. Cambia la forma, non la sostanza. E la sostanza di Pippo Pollina sa farsi amare" Simone Arminio, Il quotidiano nazionale

"Pollina scrive con una prosa limpida, di alto lignaggio, capace di evocare immagini potenti senza mai risultare ridondante. Il ritmo della narrazione è ben dosato, alternando momenti di introspezione a passaggi più incalzanti, in cui la tensione cresce fino a culminare in un epilogo che lascia il segno" Gianni Zuretti, Freezonemagazine

AL TENCO, PER LA RASSEGNA SULLA CANZONE D'AUTOREAnche quest’anno, come da dieci anni a questa parte, saremo al Premio Te...
23/10/2025

AL TENCO, PER LA RASSEGNA SULLA CANZONE D'AUTORE

Anche quest’anno, come da dieci anni a questa parte, saremo al Premio Tenco per la nuova Rassegna sulla canzone d’autore: perché al Tenco si va anche se non si ha una Targa da ritirare, un artista da accompagnare o un libro da presentare.

E ci si va per svariati motivi, non ultimo il piacere di ritrovarsi assieme a tante persone che condividono le tue stesse passioni e i tuoi stessi interessi, in un contesto “protetto” e rilassato, direi anche gioioso e divertente malgrado programmi sempre più fitti di appuntamenti che mettono a dura prova anche la resistenza dei più duri e puri.

Un piccolo miracolo che, di anno in anno, si rinnova grazie a quanti si assumono l’onere e la fatica di renderlo possibile per cui esserci è anche un modo per dire grazie a tutti loro, a quanti -dal 1974 ad oggi- si sono impegnati per creare questa irrinunciabile occasione di incontro e confronto sullo stato di salute della canzone d’autore, un bene culturale di straordinaria importanza ma oggi più che mai esposto a intemperie e venti di ogni genere, nell’infuriare di algoritimi e logiche contrarie e avverse alla sua stessa fragile natura: una situazione che richiederebbe la cura e l’attenzione di tutti quanti ne hanno a cuore le sorti e il destino, al di là di ogni incomprensione e divergenza di vedute.

Esserci è dunque anche un modo per dire grazie a tutti loro, ad Amilcare Rambaldi, per la sua geniale intuizione, e ai suoi collaboratori della prima ora e a tutti quelli che ne hanno continuato l’opera, a chi se ne è andato via, quali che siano state le sue motivazioni, e a chi è rimasto continuando a farsi carico delle fatiche e degli oneri dell’organizzazione.

Al Premio Tenco, ovviamente, si va anche per la Rassegna che presenta sempre programmi di grande interesse, quali che siano i giudizi personali di ognuno.

Qui info sul programma (impossibile a riassumersi in un post)
https://www.clubtenco.it/2025-il-programma/

Qui per prenotazione e biglietti
https://www.clubtenco.it/acquisto-biglietti/

Nella foto di Roberto Coggiola, Amilcare Rambaldi festeggiato da molti dei suoi amici cantautori, da Fabrizio De André a Francesco Guccini, in una bellissima istantanea che restituisce bene, molto bene, quello che è stato e deve continuare ad essere lo spirito più autentico del Premio Tenco e della Rassegna sulla Canzone d’Autore

IL GIOVANE LEYDI E “IL POLITECNICO” DI ELIO VITTORINI“Basta pigliarsi la collezione di ‘Politecnico’ e uno capisce tutto...
22/10/2025

IL GIOVANE LEYDI E “IL POLITECNICO” DI ELIO VITTORINI

“Basta pigliarsi la collezione di ‘Politecnico’ e uno capisce tutto. Ecco, noi eravamo ‘Politecnico’. Se tu ti pigli la collezione del primo ‘Politecnico’, quello grande, tu vedi chi ero io e chi eravamo tutti noi. Lì c’è il nostro specchio”.
Così Roberto Leydi, in una conversazione con Cesare Bermani, ricordando gli anni della sua formazione nell’atmosfera irripetibile della Milano del secondo dopoguerra.

E, in effetti, “per quanti si affacciavano sulla scena subito dopo la guerra, Vittorini, per le sue traversie con il partito nel quale militava, rappresentava l’attestazione più emblematica dell’impossibilità di operare all’interno di strutture organizzate attorno a un’ortodossia dottrinale.

A questa “generazione fortunata”, entrata nell’età adulta in uno stato, allo stesso tempo, di innocenza e consapevolezza, “il Politecnico” avrebbe fornito le parole per nominare la propria smania di vivere, indicandole un orizzonte vasto in cui quella stessa smania poteva trovare un senso compiuto.

Denunciando il fallimento della vecchia classe dirigente, Vittorini aveva infatti caricato l’agire culturale di un valore politico che, coniugato con le tesi sartriane attorno al carattere inevitabile di un impegno nella società, si profilava come assoluto prima ancora di essere rivendicato come tale nella polemica con Togliatti. la nuova cultura doveva rifiutare pertanto un rapporto di subordinazione, che ne avrebbe snaturato l’essenza e la stessa ragione d’essere"

Un ottimismo votato all’azione, maturato in reazione alla disperazione delle vecchie avanguardie, obbligava pertanto a sostenere sperimentazioni e innovazioni per non degradare la cultura a scuola di conformismo.

Per molti di quei giovani, del resto, Vittorini non era soltanto un modello di intellettuale del quale seguire da lontano imprese ed opere ma una presenza ricorrente nei luoghi in cui erano soliti ritrovarsi, dalla libreria Aldrovandi alla Casa della Cultura fino alla mitica trattoria delle sorelle Pirovini che, per la loro disponibilità a concedere credito, richiamava ogni giorno pittori e musicisti, letterati e intellettuali di ogni genere.

Forse anche nella “saletta della sciura Titta, che aveva una tabaccheria all’angolo di via Fiori Chiari”, o al bar Giamaica, altro luogo di incontro in quel quartiere, Brera, dove era facile imbattersi in Giangiacomo Feltrinelli, Dario Fo, Emilio Tadini, Max Huber e Oreste Del buono e dove “ognuno trasmetteva all’altro un’effervescenza, un’ansia, una voglia di sapere e di fare tutto”, anche perché “venivamo fuori da un’ignoranza totale, non sapevamo niente e allora cominciammo a leggere disperatamente tutto quello che ci capitava a tiro: Gramsci, Marx, gli autori americani, le prime traduzioni di Brecht, di Majkowski, di Lorca, stampate da una piccola casa editrice di Milano, Rosa e Ballo”.

La frequentazione di Vittorini, sul “marciapiede della Titta” o anche “la sera a casa”, doveva aumentare agli occhi del giovane Leydi il fascino di un autore che, “bellissimo”, “emanava passione, attraeva, galvanizzava, in poche parole comunicava e rendeva comunicativo l’interesse” per ogni cosa di cui si occupava.

Quel suo “vitalismo bianco e lucente”, animato da una disposizione oltranzistica verso la speranza e mosso da un senso della gioventù come giustizia, si incontrava alla perfezione con l’atteggiamento sfrontato e irriverente, partecipe e divertito che ritorna di frequente nelle memorie di molti dei più giovani protagonisti della vita culturale milanese di quegli anni, determinati a vivere con gioia la propria smania di vita anche in reazione a un’idea paludata di cultura imposta loro durante gli anni dell’adolescenza

Dal volume di Domenico Ferraro, "Roberto Leydi e il Sentite buona gente. Musiche e cultura nel secondo dopoguerra"
https://www.squilibri.it/catalogo/aess/domenico-ferraro-roberto-leydi-e-il-sentite-buona-gente

Presto altre belle novità sul “giovane” Leydi, Sandra Mantovani e l’effervescenza di quei giorni milanesi

CORREVA L’ANNO 1952 E OTELLO PROFAZIO…Il 15 febbraio 1952 un diciasettenne, senza alcuna velleità al riguardo, accompagn...
21/10/2025

CORREVA L’ANNO 1952 E OTELLO PROFAZIO…

Il 15 febbraio 1952 un diciasettenne, senza alcuna velleità al riguardo, accompagna alcunI suoi coetanei a un’audizione per la trasmissione itinerante della RAI, "Il microfono è vostro", approdata in quei giorni a Reggio Calabria. Nell’attesa comincia a strimpellare sulla chitarra quello che sarebbe diventato il suo brano più famoso, ‘U ciucciu, suscitando l’entusiasmo del conduttore “l’azzimato Nunzio Filogamo, l’uomo che col suo "Cari amici vicini e lontani" aveva inaugurato l’interminabile saga di splendori e miserie della canzonetta nazionale.

Fu così che, in maniera del tutto casuale, prese l’avvio, durante una trasmissione dedicata alle esibizioni di dilettanti, una carriera originalissima che ha incrociato alcuni dei momenti più significativi della cultura, del costume e dell’attualità nazionale”, continuando per oltre settanta anni con una rara e invidiabile coerenza di fondo.

"Fin dagli esordi, Otello si è saputo muovere con grande consapevolezza nel mondo dello spettacolo, riuscendo a garantirsi un’autonomia che gli ha sempre consentito di gestire le proprie scelte in prima persona, secondo le linee di un’incessante ricerca.

Naturalmente, questa autonomia è riuscito a garantirsela perché le sue prime esibizioni radiofoniche e i suoi dischi hanno immediatamente registrato un notevole successo, a partire proprio da quegli artigiani e contadini calabresi che erano stati i suoi primi informatori. Sembra addirittura che queste esibizioni e questi dischi abbiano determinato un forte incremento delle vendite di radio e giradischi in Calabria, il che costituisce un notevole cortocircuito che dimostra come le modalità di riproposizione di Otello fossero accettate senza problemi da quei primi destinatari”.

Così Massimo De Pascale, nell’introduzione al volume “Otello Profazio”.

E sul giovane Otello e l'importanza del suo precoce apprendistato in arrivo belle e corpose novità

Qui info sul volume di Massimo De Pascale, con una lunga intervista a Otello e due CD allegati per una vasta antologia del suo repertorio che dai primissimi brani arriva fino alle rivisitazioni di alcuni dei suoi brani più famosi realizzate assieme a Daniele Sepe

https://www.squilibri.it/catalogo/a-viva-voce/massimo-de-pascale-otello-profazio

Nella foto, Otello Profazio con Nunzio Filogamo, nel Teatro comunale di Reggio Calabria

UNO STRAORDINARIO REPORTAGE FOTOGRAFICO SULLA SICILIA DEL 1940 AMATO DA VITTORINI, SELLERIO E CONSOLOAutore di un solo f...
20/10/2025

UNO STRAORDINARIO REPORTAGE FOTOGRAFICO SULLA SICILIA DEL 1940 AMATO DA VITTORINI, SELLERIO E CONSOLO

Autore di un solo film, “Il pianto delle zitelle”, che non vide mai la luce per il suo rifiuto di accettare i tagli imposti dalla censura del regime, e poi tra i più apprezzati fotografi del dopoguerra, GIACOMO POZZI BELLINI nell’agosto del 1940 è in Sicilia per un sopralluogo in vista di un film sulla colonizzazione del latifondo.

E’ ospite, nella campagna attorno ad Enna, di Nino Savarese, incaricato della stesura del soggetto e della sceneggiatura, e con lo scrittore, tra i più amati da Sciascia, avvia un confronto sulla realtà dell’isola che da subito gli appare diversa dalle “forme, tradizionali e troppo false, di una Sicilia conosciuta soltanto sui libri”.

Nel clima di un vasto consenso sulla riforma agraria, che per una breve stagione suscitò l’interesse di altri intellettuali siciliani come Guttuso, Cocchiara e Vann’Antò, attorno al progetto del film sono coinvolti, a diverso titolo, letterati e scrittori come Emilio Cecchi, Enrico Falqui e Carlo Emilio Gadda, fino a lambire più volte il nome di Elio Vittorini che, amico di Pozzi Bellini, due anni dopo avrebbe raccontato il suo ritorno nella terra dei padri in "Conversazione in Sicilia".

Di quel progetto, poi non realizzato, restano circa cinquecento fotografie che, concepite come semplici “appunti visivi”, nella loro straordinaria bellezza rivelano una rara capacità di osservazione e la maestria insuperabile del fotografo che Pozzi Bellini sarebbe poi diventato una volta preso atto dell’impossibilità di continuare a occuparsi di cinema.

Un’ampia selezione di queste fotografie, amate tra gli altri da Enzo Sellerio e Vincenzo Consolo, sono raccolte ora in questo volume, a cura di Domenico Ferraro e Arnaldo Bonzi, secondo criteri fissati dallo stesso autore che più volte, nel corso della sua vita, ha cercato un editore per raccontare, in un libro, il suo viaggio in Sicilia.

Il volume, di grande formato e su carta pregiata, ora tra le offerte del mese a 18 euro invece di 40
https://www.squilibri.it/catalogo/fuori-collana/a-bonzi-d-ferraro-giacomo-pozzi-bellini-viaggio-in-sicilia-estate-1940-2

"Una Sicilia drammatica, di lotta ancestrale fra uomo e natura, di civiltà segreta e dimenticata. Inedite (tranne alcune che Vittorini usò per la sua Conversazione in Sicilia) queste immagini riemergono dopo settant'anni in un volume. A riprova che il Neorealismo del dopoguerra affondava le sue radici in quella generazione di intellettuali che all'ombra del regime compì il suo "lungo viaggio attraverso il Fascismo", forse il vero viaggio che questo splendido volume racconta" Michele Smargiassi, La Repubblica

"La densa introduzione di Domenico Ferraro scava con puntualità nella genesi del lavoro di Pozzi Bellini, illustre fotografo che ha attraversato la cultura italiana del secolo scorso, ne traccia la personalità, ricostruisce meticolosamente il clima politico e culturale che fa da sfondo alla sua avventura estetica, racconta le traversie di questi scatti d’autore in cerca di editore" Ciro De Rosa, Blogfoolk

Dduje ParaviseGNUT E ALESSANDRO D’ALESSANDRO IN CONCERTOPer voce, organetto preparato, elettroniche e chitarre, un discr...
19/10/2025

Dduje Paravise
GNUT E ALESSANDRO D’ALESSANDRO IN CONCERTO

Per voce, organetto preparato, elettroniche e chitarre, un discreto ma brillante viaggio nel cuore e tra le pieghe della canzone napoletana, sospeso tra tradizione e modernità, per intrecciarne le molteplici voci, da Libero Bovio a Murolo, da Carosone a Pino Daniele, secondo l’estro e l’inventiva di due musicisti tutt’altro che alieni da innovazioni e sperimentazioni.

Tanta meraviglia e bellezza presto anche in un disco ma tempo al tempo- E chi può non si perda il concerto di stasera, un appuntamento del festival “Dei suoni, i passi”

Ingresso €10
Prenotazioni: [email protected]

SU MANZAMA' DEI FRATELLI MANCUSO“Un piccolo gioiello. Mi ha ricordato “Creuza de mà” di Fabrizio de André, quella sensaz...
18/10/2025

SU MANZAMA' DEI FRATELLI MANCUSO

“Un piccolo gioiello. Mi ha ricordato “Creuza de mà” di Fabrizio de André, quella sensazione straniante di immergersi in un’opera senza tempo, lontana dalle mode e sospesa magicamente tra le influenze ancestrali, questa volta la musica araba e spagnola, l’antica cultura siciliana, le polifonie sacre e certi lieder ottocenteschi. Un disco che pretende attenzione e rispetto durante l’ascolto e in cambio regala un viaggio emozionante.

Saranno queste atmosfere oniriche, le voci e gli strumenti antichi di Enzo e Lorenzo, le ballate e le ninne nanne dai testi bellissimi (da leggere, c’è la traduzione a fronte), i contributi musicali d’autore (come alcuni arrangiamenti di Franco Battiato) o gli evocativi dipinti di Beppe Stasi che impreziosiscono il libretto, tant’è che questo disco mi è apparso una specie di antidoto contro il tanto rumore che affolla le nostre giornate e che qualcuno si ostina a chiamare musica”

Così Marcello Parilli, sulle pagine del Corriere della sera, salutava l’uscita di Manzamà dei Fratelli Mancuso, accolto unanimemente come un autentico capolavoro, non a caso Miglior disco dell’anno al Premio Loano e Miglior album in dialetto per le Targhe Tenco dello stesso anno.

Compositori e polistrumentisti animati da una vena poetica e musicale di assoluta originalità, Enzo e Lorenzo cantano, in effetti, storie intessute di idiomi e suoni antichi che, nei vortici di una continua affabulazione, ritornano incessantemente alla loro terra natìa, la Sicilia, dove grazie alla loro arte sembrano fondersi mondi in apparenza inconciliabili.

Eredi privilegiati di una tradizione che hanno trasfigurato nel prisma dei loro innumerevoli strumenti e alfieri di un canto intimo ed essenziale, dopo un lungo silenzio discografico sono ritornati a a tessere filati di straordinaria fattura, in mirabile equilibrio tra il filo della memoria personale e il respiro solenne della storia. Immersi in una dimensione quasi onirica, intimi e a volte anche sofferti quadri di vita quotidiana si aprono così, con squarci di grande impatto, sulle tragedie che dilaniano il nostro presente.

Tra le offerte del mese, Manzamà in promozione a 10 euro invece di 20

https://www.squilibri.it/catalogo/crinali/fratelli-mancuso-manzama-1703666375

HANNO DETTO DI LORO E DEL DISCO

"I Fratelli Mancuso sono tra coloro che più hanno fatto da ponte tra passato e futuro, collocandosi artisticamente in un presente rinnovato negli usi di linguaggi e strumenti musicali antichi sostenuti però da arrangiamenti estremamente attuali" Fabio Francione, Il cittadino

"I fratelli Mancuso in anni di studio e di lavoro sulle fasce mediterranee e non solo hanno costruito un'idea di suono rara e invidiabile" Marco Ranaldi, Left

"Un viaggio senza meta nel fertile bacino del Mediterraneo, tra ritmiche soffici e sospese, melodie dai richiami arabi, dolci nenie e loop ammalianti, a raccontare soprattutto le inquietudini dell’esistenza, il malessere per un vivere spostato, la magia dei sogni perduti e recuperati" Alberto Marchetti, Vinile

"Raffinata e spontanea, colta e popolare, la musica dei fratelli Mancuso è unica nel rimanere magnificamente sospesa tra radici ancestrali e sensibilità attuale e nel sapere elevare ad espressione universale ciò che viene espresso coi modi più genuini della tradizione siciliana" Gigi Razete, La repubblica-Palermo

"Una strana, ammaliante intensità onirica (..) Ronzano e incantano le pronunce nasalizzate dei fratelli siciliani, il gioco d'alternanza mette in conto picchi scabri e vertiginosi di terze creando quell'effetto magico che spesso ha solo la vera musica popolare. Difficile indicare vertici in un disco fatto di altezze" Guido Festinese, Il giornale della musica

"Canzoniere del tempo, radicalità del canto non compiacente, canto profondo di corpi stretti nell’abbraccio, voci nude e congiunte dal timbro penetrante e risonante, suono “osseo e di pietra” che genera espressività intima e solenne" Ciro De Rosa, Blogfoolk

"Piccoli incanti che passano tra cuore e polmoni, cantati in una lingua i cui accenti appartengono al mondo intero: leggeri come il sogno e dolorosi quanto la carne" Carlo Babando, Blow Up

"I fratelli Mancuso sono il meglio che l'Italia ha da offrire musicalmente, giudizio che dovrei estendere forse a tutta l'Europa. Se dovessi comprare un solo CD quest'anno, comprerei senz'altro questo. È anche confezionato in un bellissimo libretto con dipinti che illustrano magnificamente le canzoni. Un must assoluto!" Moors Magazine

"I Fratelli Mancuso sono tra le voci più autorevoli di una musica siciliana che guarda alla carne viva del folk e lo immette nei vortici di una continua affabulazione" Valerio Corzani, RSI-Radio Svizzera Italiana

"Come dentro a un vortice, la loro creatività enfatizza tradizione e storia, passione e duro lavoro, sapori antichi e fratellanza. Manzamà è uno scrigno di pathos, perfettamente assemblato da un package che ormai è il marchio di fabbrica della romana Squi(libri)" Giancarlo Passarella, Musicalnews

"Un capo d'opera che resterà (...) l'invenzione di melodie modernissime che sembrano remote, Battiato (...) e Aldo Giordano che regalano scintille maestose di arrangiamenti" Guido Festinese, Alias-Il manifesto

"Il filo della storia e della memoria si armonizza con un canto essenziale che non rinuncia ad incunearsi in arcane atmosfere di indiscutibile incanto" Mimmo Mastrangelo, Il quotidiano del sud

"Una nota di merito va alla Squi(libri) Editori che, come da consuetudine, ha rivestito splendidamente la confezione dell’album, rendendo indispensabile la consultazione di un libretto in grado di valorizzare ulteriormente l’opera, dagli affascinanti dipinti di Beppe Stasi che corredano il tutto, alle parole dei testi, così pregnanti ed evocative" Gianni Gardon, Pelle e calamaio

"Decorato con un bellissimo libretto miniato con acquerelli, universo musicale pieno di malinconia, che suona come se fosse sempre esistito, ma di cui non si sospettava nemmeno l'esistenza. UN VERO CAPOLAVORO" Ton Maas, Mixed World Music

"Ho potuto sperimentarlo di persona: questo disco crea dipendenza e arriva al punto giusto in questi giorni bui, stretti tra due ondate di Coronavirus. Un disco fantastico per chi vuole scavare in profondità!" Dani Heyvaert, Roots Time

"La combinazione della loro voce terrosa e la raffinata orchestrazione strumentale conferisce al loro folk un tocco artistico che può essere definito stupefacente" Eric Van Domburg, Heaven Magazine

"Un piccolo capolavoro che ti avvolge incantatore con i richiami profondi alla tradizione siciliana e mediterranea, con la bellezza di testi poetici e duri e con la ricca strumentazione" Raffaello Carabini, 50+

"Splendida pubblicazione, come tutte le novità dell’etichetta italiana Squilibri, Manzamà (…) è una delle vere perle della musica italiana con quattordici creazioni artistiche, meravigliosamente malinconiche" Pieter Wijnstekers, Heaven

"Esistono fenomeni artistici di rara peculiarità, dei veri e propri unicum. In questa speciale categoria va annoverato il duo dei Fratelli Mancuso ora con un nuovo ammaliante lavoro" Gianluca Veltri, Il quotidiano del sud

"Dopo un decennio di silenzio discografico, un nuovo capolavoro ovviamente in siciliano, un viaggio davvero spettacolare e composito in un mondo fra antico e moderno che sa però parlare all’uomo di oggi" Andrea Pedrinelli, Da sapere

"Occorre talvolta superare questioni di “genere” e proclamare che le tradizioni musicali popolari dialettali italiane possono assurgere a livelli di dignità internazionale. Prova evidente ne sono i Fratelli Mancuso con Manzama’, prodotto raffinatissimo:ascoltatelo e mi ringrazierete" Andrea Trevaini, Buscadero

"E' un lavoro di grande forza musicale, quasi onirica, ma anche di particolare cura per le parole, in un siciliano modellato al meglio per aderire al canto intimo profondo e intimo dei due fratelli" Enrico Deregibus, Avvenire

"Una scelta radicale, quella di Enzo e Lorenzo, tesa a educare e a modellare la loro vocalità in direzione opposta al bel canto, con un rigore espressivo che nulla concede al melodioso, cercando la dissonanza, il canto che disturba. Che costringe a vedere il dolore del mondo" Maria Attanasio, Gli asini

"Un affresco che si ricollega alla grande canzone tradizionale e riprende per molti versi un discorso il cui filo passa anche per la produzione di Fabrizio De André, a cominciare dall'album in genovese Creuza de mä" Carlo Moretti, Repubblica

"Musicisti che recuperano canti di tradizione o ne inventano e scrivono con feconda passione e con il massimo rispetto per una grande tradizione (...) Musica perfetta, evocativa e trascinante (...) Se meritano l'attenzione e il rispetto (e in molti l'affetto) di cui sono oggetto è anche perché le loro radici sono quelle di tanto Mediterraneo e dunque di tanta Italia" Goffredo Fofi, Il corriere del mezzogiorno

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