22/06/2025
L’ORA DEI LEONI (E DELLE PECORE).
ISRAELE COLPISCE. ORA ANCHE GLI STATI UNITI. L’OPPOSIZIONE IRANIANA APPLAUDE. E IN ITALIA? | di Alex Zarfati
Stanotte anche gli Stati Uniti hanno colpito. Insieme a Israele, hanno attaccato siti nucleari e basi strategiche del regime iraniano. Un’azione mirata, chirurgica, diretta a minare il cuore del potere teocratico che da 47 anni opprime l’Iran. È un passaggio epocale. Eppure, in Italia, il dibattito si concentra su altro: “Serve il dialogo”, “è pericolosa l’escalation”, “Israele sbaglia”. Una parte consistente della politica italiana – dal PD al M5S – continua a recitare lo stesso copione stanco: una condanna del regime sussurrata e una condanna dell’Occidente urlata. Una neutralità apparente che, nella sostanza, diventa complicità.
Mentre i governi discutono, l’opposizione iraniana parla chiaro ma è incredibile come anche quando fa capolino nelle trasmissioni, non si ascolti veramente la sua voce. Saluta i raid come un’opportunità. Non per amore della guerra, ma perché conosce la pace solo come finzione. Torture, stupri, repressione, impiccagioni: il vocabolario quotidiano di un potere fondato sul terrore. Quando quelle bombe colpiscono i centri di comando dei Pasdaran, per molti non è violenza. È aria.
Maryam Rajavi – leader riconosciuta dall’Assemblea Parlamentare Europea – ha presentato in Italia un piano in dieci punti per un Iran non nucleare, laico, libero. Sostenuto da 3.600 parlamentari e 70 premi Nobel. Nessuno lo ha discusso. Troppo impegnati a dire che “bisogna trattare con tutte le parti”. Pace con chi? Con gli ayatollah?
Rayhane Tabrizi, attivista iraniana rifugiata a Roma, lo ha detto con chiarezza:�“Con l’ISIS non trattate. Perché con i mullah sì?”
Israele (e stanotte gli USA) ha colpito infrastrutture militari, non civili. Eppure, viene accusato di “escalation”, come se prima si fosse in un’oasi di stabilità. Come se le impiccagioni pubbliche, la polizia religiosa, il carcere per una ciocca di capelli scoperta non contassero.
La sinistra italiana preferisce parlare di "proporzionalità". Ma quando la violenza è sistemica, proporzionare cosa? Il silenzio? Il disinteresse? Se M5S e PD non fossero fuori dal tempo e dal mondo non si opporrebbero ai raid senza proporre alternative concrete – come l’asilo politico ai dissidenti, il riconoscimento ufficiale dell’opposizione, la pressione reale sul regime. E invece come al solito, come per Gaza, scelgono la loro comodità, non la giustizia. Questo non è progressismo. Questo è perbenismo pavido. È neutralità codarda. È diplomazia a perdere.
Il pacifismo che vediamo oggi è un pacifismo selettivo, a senso unico. Condanna le bombe, ma non i carnefici. Parla di de-escalation, ma ignora che la repressione in Iran è una costante. Invoca il dialogo, ma tace quando a chiederlo sono i torturati, non i torturatori. Eppure, i segnali sono cristallini: l’opposizione iraniana sta cercando di alzare la voce. Chiede laicità, uguaglianza, libertà religiosa, fine del nucleare. Chiede ascolto. E trova sostegno solo dove non se lo aspetta: in Israele, ora anche negli Stati Uniti. In Italia? Nessuno risponde.
Hossein Derakhshan, blogger esiliato, ha dichiarato: “Israele non è il male. Il male è chi ci ha tolto tutto e ci chiede di ringraziare.” Chi oggi dice “né con il regime né con Israele” pensa di essere equilibrato. In realtà, si sta solo difendendo dal peso di una scelta. Ma non è il momento di restare in mezzo.
Ci sono i leoni: chi ha messo la faccia contro un regime armato.�E ci sono le pecore: chi si rifugia dietro il perbenismo diplomatico, aspettando che passi.
L’Italia, ancora una volta, sembra voler restare neutrale. Ma la neutralità, di fronte alla barbarie, è una forma di collaborazione. L’Occidente si è finalmente mosso. La crepa nel regime iraniano si allarga. E mentre in molte capitali si discute su come accompagnare il cambiamento, in Italia ancora c’è chi chiede cautela. Perché in fondo, qui, la libertà degli altri fa sempre un po’ paura. Chi oggi si rifiuta di sostenere chi lotta – chi trova più comodo condannare Israele che ascoltare i dissidenti – ha già scelto la parte sbagliata della storia, per l’ennesima volta. E alla fine non sarà la guerra a giudicarci. Sarà la libertà degli altri a ricordare chi ha avuto il coraggio di meritarla. E chi no.