22/10/2025
LA NOTA ANTIPROIBIZIONISTA
di Roberto Spagnoli
20 ottobre 2025
Il Consiglio dei ministri ha approvato la legge di bilancio per il 2026. La manovra vale poco meno di 19 miliardi di euro, è più leggera delle precedenti, e prevede nuove misure per la famiglia e la natalità, il taglio dell'Irpef per il ceto medio, 2 miliardi per dare slancio ai salari, interventi per le imprese, risorse per la sanità e altre misure. Deve affrontare una situazione non facile e si discute, dunque, intorno alla questione delle coperture, cioè dove trovare i soldi necessari. Si discute, molto, ma nessuno osa toccare uno dei tabù più costosi e ipocriti del nostro tempo: il proibizionismo sulle droghe.
Il proibizionismo è una macchina di sprechi. Da un lato genera un mercato nero che produce un immenso flusso di denaro che alimenta la criminalità organizzata, corrompe le istituzioni, inquina interi territori. Dall’altro, genera costi pubblici enormi: polizia, tribunali, carceri. Una macchina impegnata a inseguire e punire consumatori e piccoli spacciatori, mentre i grandi trafficanti restano intoccabili (e quando vengono toccati continuano a fare affari anche dall’interno del carcere). È un sistema che punisce i deboli e arricchisce i forti, un’ingiustizia mascherata da tutela della salute e della sicurezza.
Ogni anno lo Stato rinuncia ai miliardi che potrebbero provenire dalla legalizzazione e dalla tassazione delle sostanze oggi proibite, come si fa con alcol e tabacco. Secondo varie stime il mercato della cannabis da solo in Italia muove tra i 6 e i 10 miliardi di euro. Legalizzarlo significherebbe incassare diversi miliardi l’anno in imposte, senza contare i risparmi derivanti dalla riduzione dei costi in tema di sicurezza, quelli sanitari e giudiziari. Con quelle risorse si potrebbero finanziare programmi di informazione e prevenzione degli abusi, politiche attive di riduzione dei danni, presa in carico dei soggetti vulnerabili, rafforzamento dei servizi per la cura delle dipendenze per chi ne soffre.
Basterebbe guardare ai Paesi che hanno avuto il coraggio di cambiare strada e hanno scelto la via della regolamentazione. Hanno tolto dalle mani della criminalità la produzione e la vendita delle sostanze proibite, introducendo controlli sulla loro composizione e qualità, tassazione e politiche sanitarie più efficaci. I risultati sono evidenti: aumento delle entrate fiscali, riduzione del mercato nero, diminuzione dei reati collegati al traffico, calo delle overdose. E nel caso della cannabis, per esempio, creazione di nuove imprese e di posti di lavoro
L’Italia, invece, resta ferma a un modello repressivo e punitivo che criminalizza il consumo, stigmatizza le persone che usano droghe, espone i giovani a rischi anche gravi per la loro salute, compromette la sicurezza di tutti i cittadini, chiude le porte al dibattito scientifico, al confronto politico e lascia campo libero alle mafie. È come se lo Stato, per paura di “approvare il vizio”, avesse scelto di tollerare il crimine, prigioniero di un moralismo che confonde la morale con la legge e della paura di perdere il consenso. Ma con la paura e il moralismo non si pagano le pensioni, non si finanziano gli ospedali, non si migliora la vita delle persone.
L’approccio antiproibizionista riconosce una verità semplice: le droghe esistono e continueranno a esistere, indipendentemente dalle leggi. L’unica scelta responsabile è la legalizzazione, cioè governare l’uso delle sostanze in modo razionale, prevenendo i rischi, limitando i danni, proteggendo la salute pubblica, riducendo i costi sociali e sottraendo risorse alla criminalità. Legalizzare e regolare le droghe non è un’utopia libertaria, ma un atto di responsabilità economica, sociale e sanitaria.
Il proibizionismo è diventato, di fatto, la più grande alleanza tra Stato e criminalità organizzata, un patto di ipocrisia che si regge sulla paura e sull’ignoranza. Continuare su questa strada, oggi, significa, di fatto, difendere interessi criminali. Si preferisce non vedere l’enorme pozzo di risorse che giace sotto il tappeto del moralismo. Ogni euro che oggi finisce nelle tasche dei clan criminali potrebbe invece finanziare scuole, ospedali, assistenza, ricerca. Ogni giovane condannato per un “reato di droga” potrebbe essere un cittadino libero e produttivo. Ogni grammo tolto al mercato nero sarebbe un colpo inferto alle mafie e un passo verso uno Stato più giusto e più forte. Rifiutarsi di affrontare la questione della legalizzazione è una scelta ideologica economicamente irrazionale e politicamente miope.
La legge di bilancio approvata dal Governo che ora il Parlamento dovrà discutere e votare non è solo un insieme di cifre: è il racconto di cosa uno Stato sceglie di essere. Se continuiamo a scegliere la via del proibizionismo, scegliamo la povertà, la paura, l’illegalità, l’insicurezza. Se invece scegliamo la legalizzazione e la regolamentazione, scegliamo la libertà, la salute, l’equità sociale, una giustizia giusta. La domanda, allora, non è se possiamo permetterci di legalizzare le droghe. La domanda vera è: quanto ancora possiamo permetterci di non farlo?
Come ogni anno si discute della legge di bilancio e dove trovare i soldi necessari, ma nessuno osa toccare uno dei tabù più costosi e ipocriti: il proibizionismo sulle droghe. L’Italia resta ferma a un modello repressivo e punitivo che genera il mercato nero e lascia alle narcomafie i miliardi c...