Notiziario Antiproibizionista - Radio Radicale

Notiziario Antiproibizionista - Radio Radicale La pagina ufficiale della storica rubrica di Radio Radicale in onda il lunedì alle 13. I vostri com

Il dibattito politico, la ricerca scientifica, il mercato criminale, le iniziative antiproibizioniste per una nuova politica sulle sostanze piscoattive legali e illegali. La trasmissione va in onda sulle frequenze di Radio Radicale il lunedì alle 13. Le registrazioni sono disponibili su www.radioradicale.it nella sezione delle Rubriche.

LA NOTA ANTIPROIBIZIONISTAdi Roberto Spagnoli20 ottobre 2025Il Consiglio dei ministri ha approvato la legge di bilancio ...
22/10/2025

LA NOTA ANTIPROIBIZIONISTA
di Roberto Spagnoli
20 ottobre 2025

Il Consiglio dei ministri ha approvato la legge di bilancio per il 2026. La manovra vale poco meno di 19 miliardi di euro, è più leggera delle precedenti, e prevede nuove misure per la famiglia e la natalità, il taglio dell'Irpef per il ceto medio, 2 miliardi per dare slancio ai salari, interventi per le imprese, risorse per la sanità e altre misure. Deve affrontare una situazione non facile e si discute, dunque, intorno alla questione delle coperture, cioè dove trovare i soldi necessari. Si discute, molto, ma nessuno osa toccare uno dei tabù più costosi e ipocriti del nostro tempo: il proibizionismo sulle droghe.

Il proibizionismo è una macchina di sprechi. Da un lato genera un mercato nero che produce un immenso flusso di denaro che alimenta la criminalità organizzata, corrompe le istituzioni, inquina interi territori. Dall’altro, genera costi pubblici enormi: polizia, tribunali, carceri. Una macchina impegnata a inseguire e punire consumatori e piccoli spacciatori, mentre i grandi trafficanti restano intoccabili (e quando vengono toccati continuano a fare affari anche dall’interno del carcere). È un sistema che punisce i deboli e arricchisce i forti, un’ingiustizia mascherata da tutela della salute e della sicurezza.

Ogni anno lo Stato rinuncia ai miliardi che potrebbero provenire dalla legalizzazione e dalla tassazione delle sostanze oggi proibite, come si fa con alcol e tabacco. Secondo varie stime il mercato della cannabis da solo in Italia muove tra i 6 e i 10 miliardi di euro. Legalizzarlo significherebbe incassare diversi miliardi l’anno in imposte, senza contare i risparmi derivanti dalla riduzione dei costi in tema di sicurezza, quelli sanitari e giudiziari. Con quelle risorse si potrebbero finanziare programmi di informazione e prevenzione degli abusi, politiche attive di riduzione dei danni, presa in carico dei soggetti vulnerabili, rafforzamento dei servizi per la cura delle dipendenze per chi ne soffre.

Basterebbe guardare ai Paesi che hanno avuto il coraggio di cambiare strada e hanno scelto la via della regolamentazione. Hanno tolto dalle mani della criminalità la produzione e la vendita delle sostanze proibite, introducendo controlli sulla loro composizione e qualità, tassazione e politiche sanitarie più efficaci. I risultati sono evidenti: aumento delle entrate fiscali, riduzione del mercato nero, diminuzione dei reati collegati al traffico, calo delle overdose. E nel caso della cannabis, per esempio, creazione di nuove imprese e di posti di lavoro

L’Italia, invece, resta ferma a un modello repressivo e punitivo che criminalizza il consumo, stigmatizza le persone che usano droghe, espone i giovani a rischi anche gravi per la loro salute, compromette la sicurezza di tutti i cittadini, chiude le porte al dibattito scientifico, al confronto politico e lascia campo libero alle mafie. È come se lo Stato, per paura di “approvare il vizio”, avesse scelto di tollerare il crimine, prigioniero di un moralismo che confonde la morale con la legge e della paura di perdere il consenso. Ma con la paura e il moralismo non si pagano le pensioni, non si finanziano gli ospedali, non si migliora la vita delle persone.

L’approccio antiproibizionista riconosce una verità semplice: le droghe esistono e continueranno a esistere, indipendentemente dalle leggi. L’unica scelta responsabile è la legalizzazione, cioè governare l’uso delle sostanze in modo razionale, prevenendo i rischi, limitando i danni, proteggendo la salute pubblica, riducendo i costi sociali e sottraendo risorse alla criminalità. Legalizzare e regolare le droghe non è un’utopia libertaria, ma un atto di responsabilità economica, sociale e sanitaria.

Il proibizionismo è diventato, di fatto, la più grande alleanza tra Stato e criminalità organizzata, un patto di ipocrisia che si regge sulla paura e sull’ignoranza. Continuare su questa strada, oggi, significa, di fatto, difendere interessi criminali. Si preferisce non vedere l’enorme pozzo di risorse che giace sotto il tappeto del moralismo. Ogni euro che oggi finisce nelle tasche dei clan criminali potrebbe invece finanziare scuole, ospedali, assistenza, ricerca. Ogni giovane condannato per un “reato di droga” potrebbe essere un cittadino libero e produttivo. Ogni grammo tolto al mercato nero sarebbe un colpo inferto alle mafie e un passo verso uno Stato più giusto e più forte. Rifiutarsi di affrontare la questione della legalizzazione è una scelta ideologica economicamente irrazionale e politicamente miope.

La legge di bilancio approvata dal Governo che ora il Parlamento dovrà discutere e votare non è solo un insieme di cifre: è il racconto di cosa uno Stato sceglie di essere. Se continuiamo a scegliere la via del proibizionismo, scegliamo la povertà, la paura, l’illegalità, l’insicurezza. Se invece scegliamo la legalizzazione e la regolamentazione, scegliamo la libertà, la salute, l’equità sociale, una giustizia giusta. La domanda, allora, non è se possiamo permetterci di legalizzare le droghe. La domanda vera è: quanto ancora possiamo permetterci di non farlo?


Come ogni anno si discute della legge di bilancio e dove trovare i soldi necessari, ma nessuno osa toccare uno dei tabù più costosi e ipocriti: il proibizionismo sulle droghe. L’Italia resta ferma a un modello repressivo e punitivo che genera il mercato nero e lascia alle narcomafie i miliardi c...

La continua strumentalizzazione del termine "guerra" serve ad affermare il dominio e giustificare la violenza, sia inter...
10/10/2025

La continua strumentalizzazione del termine "guerra" serve ad affermare il dominio e giustificare la violenza, sia internamente contro le città americane, sia esternamente contro persone che il governo definisce "narcoterroristi".
Nell'articolo si parla di Usa ma il discorso può essere esteso a molti altri Paesi, inclusa la civile Europa. Il linguaggio bellico giustifica azioni intraprese per motivi politici e mina lo stato di diritto.
Il mondo ha bisogno di ripensare il linguaggio della guerra, inclusa quella alla droga.

Mentre sempre più Paesi europei adottano normative sulla cannabis, l'Unione Europea sta lanciando un kit di strumenti pe...
10/10/2025

Mentre sempre più Paesi europei adottano normative sulla cannabis, l'Unione Europea sta lanciando un kit di strumenti per aiutare i responsabili politici nazionali a sviluppare la propria legislazione sull'uso ricreativo. Così facendo, si allinea al panorama in evoluzione della cannabis nel continente.

Impatto legalizzazione cannabis Germania. I dati del primo rapporto ufficiale
10/10/2025

Impatto legalizzazione cannabis Germania. I dati del primo rapporto ufficiale

LA NOTA ANTIPROIBIZIONISTA di Roberto Spagnoli6 ottobre 2025Cocaina, crack, ketamina, psicofarmaci. La fotografia dei co...
08/10/2025

LA NOTA ANTIPROIBIZIONISTA
di Roberto Spagnoli
6 ottobre 2025

Cocaina, crack, ketamina, psicofarmaci. La fotografia dei consumi di sostanze in Italia racconta una realtà ben diversa da quella che spesso anima il dibattito politico e mediatico. Non siamo più di fronte a un fenomeno marginale, né a un problema che riguarda soltanto alcune fasce sociali. I dati indicano un aumento significativo tra i più giovani, con una crescita particolarmente rapida tra le ragazze. E mentre il quadro si complica, le risposte della politica restano sostanzialmente immutate: norme repressive, retorica moralistica e investimenti insufficienti per la prevenzione e la riduzione dei rischi e dei danni.

L’evoluzione delle sostanze riflette trasformazioni culturali e sociali profonde. La diffusione della cocaina, in particolare nelle sue forme più economiche e aggressive come il crack, si lega alle disuguaglianze sociali e alla precarietà. L’uso non medico di psicofarmaci tra adolescenti e giovani adulti segnala un crescente disagio che fatica a trovare risposte. La ketamina intercetta i contesti ricreativi, con effetti non trascurabili sulla salute psicofisica. Sono segnali che raccontano un Paese in difficoltà, dove il consumo di sostanze è spesso un sintomo più che una causa.

Il proibizionismo, tuttavia, continua a essere la lente principale con cui guardiamo al fenomeno. Una lente che distorce, perché criminalizza i consumatori senza intaccare l’offerta. Le droghe non sono mai state così facilmente reperibili e a costi accessibili, segno che la “guerra” condotta da decenni è stata persa. A farne le spese non sono i grandi trafficanti, ma i ragazzi fermati per piccole quantità, le persone marginalizzate che vivono in strada, gli utenti dei servizi che incontrano più stigma che sostegno. Altri Paesi hanno intrapreso strade diverse. L’Italia, invece, resta bloccata in un paradigma che non funziona.

Le conseguenze sono evidenti: i servizi pubblici per le dipendenze (Serd) lavorano con risorse limitate e c’è chi alimenta una artificiosa contrapposizione con le organizzazioni del privato sociale; la riduzione del danno è inserita nei Livelli essenziali di assistenza (Lea) ma non adeguatamente sostenuta ed è diffusa a macchia di leopardo; le campagne di prevenzione usano un lessico lontano dalla lingua delle nuove generazioni. Proprio i giovani che a parole stanno a cuore al Governo non hanno bisogno di slogan, ma di informazioni affidabili, contesti sicuri, spazi di ascolto. Riconoscere questa domanda significherebbe cambiare prospettiva: non negare l’esistenza dei consumi, ma ridurne i rischi e i possibili danni.

Contrariamente a quanto sostiene una certa propaganda, la prospettiva antiproibizionista non vuol dire banalizzare le sostanze, né ignorarne i pericoli. Al contrario, significa trattare il fenomeno per ciò che è: riconoscere che le persone consumano sostanze, per ragioni diverse e in contesti diversi. Una realtà molteplice e complessa nei suoi vari aspetti sociali, sanitari, culturali e degli stili di vita che non può essere gestita con il codice penale. Significa ragionare su forme di regolamentazione differenziata, che sottraggano spazio ai mercati criminali e offrano strumenti di tutela della salute pubblica. Significa investire in prevenzione, informazione scientifica e servizi capaci di intercettare il disagio prima che diventi emergenza. La politica deve partire da qui.

Di fronte a consumi che cambiano rapidamente, perseverare con politiche pensate quaranta, cinquanta o sessant’anni fa non è solo inefficace e controproducente, ma rischioso. Il nemico non sono le droghe. Il nemico è una politica miope, vecchia e irresponsabile che si ostina a vietare, reprimere, criminalizzare e punire. L’alternativa esiste ed è ragionevole, praticabile, sostenuta dalle evidenze.

Continuare a ignorarla, per timore di aprire un dibattito maturo, significa condannare il Paese a ripetere gli stessi errori. Non è questione di ideologia, ma di pragmatismo. L’obiettivo deve essere la salute delle persone, consumatori e no, e della società nel suo complesso. Parlare di droghe senza timori, senza moralismi e senza tabù è il primo passo per costruire politiche eque, efficaci, sostenibili all’altezza della realtà che viviamo.

La fotografia dei consumi di sostanze in Italia racconta una realtà ben diversa da quella che anima il dibattito politico e mediatico. L'evoluzione delle sostanze riflette trasformazioni culturali e sociali profonde. Il proibizionismo, tuttavia, continua a essere la lente con cui guardiamo al fenom...

LA NOTA ANTIPROIBIZIONISTAdi Roberto Spagnoli29 settembre 2025C’è una costante nella politica del governo Meloni: quando...
29/09/2025

LA NOTA ANTIPROIBIZIONISTA
di Roberto Spagnoli
29 settembre 2025

C’è una costante nella politica del governo Meloni: quando si parla di droghe, la risposta è sempre e solo repressione. Dal decreto anti-rave al più recente decreto sicurezza, passando per il nuovo Codice della strada, l’impianto resta lo stesso: moltiplicare reati e aggravanti, inasprire le pene, trasformare il consumo e i contesti giovanili in una questione di ordine pubblico. È un copione vecchio, già visto, che non ha mai ridotto né l’offerta, né la domanda di sostanze, ma che continua a provocare il sovraffollamento delle carceri e a marginalizzare migliaia di persone.

Ma i grandi trafficanti, che operano su scala internazionale e dispongono di mezzi potenti, questa politica li colpisce solo parzialmente. A farne le spese sono piuttosto i consumatori: i giovani che frequentano i rave, chi fuma uno spinello o chi convive con una dipendenza. La conseguenza è paradossale: mentre le organizzazioni criminali prosperano, i consumatori vengono stigmatizzati e lasciati in balia del mercato nero mentre i più vulnerabili sono sospinti sempre più ai margini. È l’eterna illusione di brandire il codice penale per controllare i fenomeni sociali e i problemi che ne derivano.

Non sorprende, quindi, che l’attuale governo rifiuti di valorizzare la riduzione del danno, ossia quell’insieme di politiche e di strumenti che hanno dimostrato di salvare vite senza incentivare l’uso di sostanze. Ridurre i rischi e i danni non significa incoraggiare il consumo, ma limitarne le conseguenze negative: prevenire le overdose, contenere la diffusione di HIV ed epatiti, fornire siringhe sterili per l’eroina o pipe per il crack e spazi sicuri per il consumo, garantire programmi di drug checking che permettano ai consumatori di sapere cosa stanno assumendo.

Le principali organizzazioni internazionali lo affermano da anni. L’Organizzazione mondiale della sanità è stata la prima agenzia delle Nazioni Unite a fare propria la strategia di riduzione del danno per proteggere la salute e i diritti delle persone che usano droghe. Le Nazioni Unite negli ultimi anni hanno più volte ribadito che politiche efficaci sulle droghe devono essere radicate nella scienza, nella ricerca, nel pieno rispetto dei diritti umani, nella compassione e in una profonda comprensione delle implicazioni sociali, economiche e sanitarie del consumo di sostanze.

Esempi concreti che confermano queste posizioni non mancano. Pensiamo alla Svizzera, dove i programmi di somministrazione controllata di eroina in atto da oltre trent’anni hanno ridotto drasticamente le overdose, le infezioni da HIV e la criminalità legata alla dipendenza. In Portogallo, la depenalizzazione accompagnata da servizi di riduzione del danno ha portato a un drastico calo delle morti e a un miglior rapporto tra consumatori e sistema sanitario. In altri Stati europei politiche pragmatiche hanno prodotto esiti positivi in termini di salute pubblica e sicurezza.

L’Italia, al contrario, resta intrappolata in un paradigma punitivo che non solo ignora queste evidenze, ma contraddice apertamente le raccomandazioni delle autorità internazionali. Il massimo che questo governo ha fatto finora è pensare di trasferire i detenuti che soffrono di una dipendenza in comunità terapeutiche trasformate in carceri a custodia attenuata. Un provvedimento sbagliato che per ora è rimasto un annuncio. È il paradosso della politica italiana: si varano norme di principio senza costruire le condizioni materiali perché funzionino. Così il carcere resta il destino prevalente, nonostante sia il luogo meno adatto per chi ha problemi di dipendenza.

Intanto, il messaggio politico resta invariato: “tutta la droga è uguale”. Una formula semplice, di grande presa mediatica, ma priva di basi scientifiche. Mettere tutte le sostanze sullo stesso piano, ignorando le diverse caratteristiche e i diversi effetti, significa ignorare le differenti conseguenze e i differenti rischi, impedendo politiche mirate ed efficaci. Significa anche negare la possibilità di avviare un dibattito serio sulla legalizzazione e la regolamentazione delle varie sostanze, come hanno già fatto diversi Paesi occidentali e come altri si apprestano a fare.
In Italia milioni di persone consumano sostanze, ma lo Stato preferisce voltarsi dall’altra parte e trattarle come criminali. È più comodo evocare il fantasma del lassismo che affrontare la realtà. Il proibizionismo ha fallito ovunque: ha prodotto più crimine, più mercato nero e meno salute. Continuare a inseguirlo significa provocare danni e condannare il nostro Paese a un ritardo culturale e politico enorme.

Bisogna mettere le persone al centro. Un paradigma repressivo, punitivo, patologizzante e anche morale porta a reificare le persone e disumanizzarle facendo vedere, al loro posto, dei problemi. I giovani, gli stranieri, i poveri, i devianti, non sono più visti come persone, ma come problemi da eliminare.

Serve il coraggio di cambiare le politiche delle droghe: è necessario basarsi sulla ricerca e sulle evidenze, imparare dalle esperienze positive di altri Paesi, investire in prevenzione, riduzione del danno e regolamentazione legale, seguendo le raccomandazioni dell’OMS e delle Nazioni Unite, coinvolgere le persone che usano droghe. Ma la destra di governo preferisce gridare al lassismo, rivendicare il pugno duro e invocare la “guerra alla droga”. Peccato che, dietro questa facciata muscolare, restino solo inefficacia, stigma e sofferenza.



C’è una costante nella politica del governo Meloni: quando si parla di droghe, la risposta è sempre e solo repressione. Non sorprende, quindi, che rifiuti di valorizzare la riduzione del danno. L’Italia resta così intrappolata in un paradigma punitivo che ignora queste evidenze e contraddice ...

LA NOTA ANTIPROIBIZIONISTAdi Roberto Spagnoli22 settembre 2025Cominciamo la settimana con una nuova, grande vittoria del...
22/09/2025

LA NOTA ANTIPROIBIZIONISTA
di Roberto Spagnoli
22 settembre 2025

Cominciamo la settimana con una nuova, grande vittoria della “guerra alla droga”. La cocaina sta invadendo la Norvegia. Negli ultimi anni i sequestri hanno raggiunto quantità mai toccate prima. Al porto di Oslo la gru scaricano container dalle navi mercantili sotto la sorveglianza delle bande criminali svedesi che stanno prendendo piede nel paese. Il punto di svolta è stata la pandemia di Covid. Da più parti sono stati lanciati segnali d'allarme, ma ci è voluto del tempo prima che la classe politica reagisse e ora il consumo di cocaina sta diventando una normalità in vari contesti sociali. E le autorità sono del tutto impreparate.

I servizi doganali non hanno risorse e attrezzature sufficienti per far fronte alla situazione e hanno subito tagli di bilancio. Molti agenti e funzionari andranno in pensione nei prossimi anni e non saranno rimpiazzati in modo adeguato. La sindaca di Oslo, Anne Lindboe, conservatrice, ha riconosciuto che il porto della capitale è diventato "uno dei preferiti in Europa dalla criminalità organizzata" e che le attuali misure di controllo e sicurezza sono insufficienti. Ma la cocaina arriva anche attraverso altri punti lungo la costa, attraverso gli aeroporti e, con ogni mezzo, attraverso gli oltre 1.600 chilometri di confine terrestre con la Svezia.

L'aumento dell'afflusso di cocaina in Norvegia si riflette in numerose statistiche. In un suo recente rapporto la polizia norvegese ammette che le organizzazioni criminali svedesi operano in tutto il paese. La Danimarca aveva annunciato lo scorso anno che avrebbe rafforzato i controlli di polizia al confine con la Svezia e anche l'Islanda sta affrontando una crisi, con diversi sequestri negli ultimi mesi che non hanno precedenti nella storia dell’isola, sia in termini di quantità che di purezza della sostanza.

Un’altra grande vittoria della “guerra alla droga”, ma a vincere, per l’ennesima volta sono i trafficanti, non i generali degli eserciti antidroga. Trafficanti che, da abili imprenditori quali sono, vanno sempre alla ricerca di nuovi mercati sui quali immettere nuove sostanze, pronti a soddisfare ogni tipo di richiesta, con ogni tipo di droga, a prezzi adatti ad ogni clientela, perché nessun potenziale consumatore resti escluso. Così adesso in Africa arriva il kush. Non si tratta della varietà di cannabis, una delle più note, che prende il nome dall'Hindu Kush, la catena montuosa dalla quale è originaria

Parliamo di una miscela molto aggressiva di diverse sostanze in continua evoluzione che viene fumata e si sta diffondendo nell’Africa occidentale dal Senegal, alla Guinea, alla Sierra Leone dove è stata individuata per la prima volta nel 2016. Fino a poco tempo fa non si sapeva molto sulla sua composizione che può variare da luogo a luogo. Dai test realizzati per un rapporto pubblicato nel febbraio scorso dall’Iniziativa globale contro la criminalità organizzata transnazionale (Gi-Toc) emerge che contiene oppioidi sintetici più potenti del fentanyl, un cannabinoide sintetico più potente del Thc, ai quali si aggiungono altre sostanze. In Sierra Leone e Liberia i governi hanno già dichiarato l'emergenza sanitaria a causa degli elevati livelli di consumo.

I diversi componenti chimici che compongono il kush arrivano in Africa nascosti nei carichi delle navi, ma una parte arriva per posta. Tutte le varie sostanze che lo compongono possono essere comprate online. In base alle ricerche i primi carichi sarebbero stati importati premiscelati dal Regno Unito e nel marzo 2024 un sequestro di trecento chili di kush nel porto di Rotterdam ha confermato che anche i Paesi Bassi sono coinvolti nel traffico, così come la Cina. L'ultimo rapporto dell'Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine (Unodc), presentato lo scorso giugno, ha messo in guardia contro l'emergere del kush e gli enormi danni che causa, nonché contro la trasformazione dell'Africa occidentale in uno dei principali punti di transito della cocaina verso l'Europa e l'aumento del suo consumo nella regione.

La “guerra alla droga” continua. Le vittorie non si contano. Sempre, però, a favore dei trafficanti. Che non si fermano, non conoscono frontiere e non si lasciano impaurire da eserciti e polizie. Anzi mettono in bilancio le perdite, forti del fatto che i guadagni saranno sempre in grado di compensarle ampiamente, con tanto di interessi. Decenni di sconfitte e di fallimenti delle politiche proibizioniste dovrebbero indurre a ripensare le politiche delle droghe, a individuare strade diverse sulla base delle evidenze. Diversi paesi del mondo hanno cominciato a farlo e non da oggi. Altri no, Italia compresa, Come si dice, non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire. Una sconfitta dietro l’altra.

Dalla Norvegia invasa dalla cocaina, all’Africa occidentale dove dilaga il kush, la “guerra alla droga” continua, ma a vincere sono sempre i trafficanti. Che non conoscono frontiere, non si lasciano impaurire da eserciti e polizie e aprono nuovi mercati sui quali immettono nuove sostanze a pre...

LA NOTA ANTIPROIBIZIONISTA di Roberto Spagnoli1 settembre 2025Quelle che chiamiamo “droghe” fanno parte della storia uma...
01/09/2025

LA NOTA ANTIPROIBIZIONISTA
di Roberto Spagnoli
1 settembre 2025

Quelle che chiamiamo “droghe” fanno parte della storia umana. Da millenni gli esseri umani usano sostanze psicoattive: per motivi religiosi, per curarsi, per cercare altre dimensioni della coscienza, per piacere personale. Il problema è che la nostra società, votata al successo e al profitto, da un certo momento in poi non ha più accettato che gli individui potessero sottrarsi al controllo. Una società, per dirsi civile, dovrebbe riconoscere la complessità dell’esistenza e degli individui. Invece inventa la devianza per neutralizzare chi non si conforma, chi non si allinea. Il proibizionismo ha qui la sua ragion d’essere.

Ho preso in prestito, parafrasandolo, un pensiero di Franco Basaglia che credo ben si adatti alla politica delle droghe come si è andata delineando negli ultimi cento anni. Da migliaia di anni l’umanità conosce e consuma sostanze psicoattive, ma alcune di queste sono diventate il problema che conosciamo oggi perché, contro ogni evidenza, sono state proibite. Senza alcun fondamento scientifico sono state considerate diverse dalle altre, intrinsecamente negative, il cui uso è sempre incontrollabile e destinato a produrre una dipendenza che conduce alla morte.

Negli ultimi anni qualcosa ha cominciato a cambiare, ma non da noi. Mentre alle Nazioni Unite e all’Organizzazione mondiale della sanità si è cominciato a mettere in discussione seriamente la “guerra alla droga” e in molte parti del mondo (in Europa, negli Stati Uniti, ma anche in Africa e in Asia) diversi Paesi hanno cominciato a rivedere le loro politiche sulle droghe, a cominciare dalla cannabis, in Italia abbiamo assistito ad una vera e propria regressione culturale che rifiuta quanto acquisito nel corso degli anni e nega, ripetutamente e pervicacemente, ogni evidenza e ogni acquisizione scientifica.

L’ultimo esempio, in ordine di tempo, è la questione della distribuzione di pipette per l’assunzione di crack avviata a Bologna. E’ una pratica, analoga alla distribuzione di siringhe sterili alle persone che usano eroina, attuata in molte situazioni all’estero ma anche in Italia, in città amministrate sia dalla sinistra che dalla destra. Si chiama “riduzione del danno”. La disponibilità di strumenti sicuri per l’assunzione di sostanze riduce comportamenti rischiosi, danni fisici e psicologici, e favorisce il contatto con i servizi.

Il rapporto fiduciario fra operatori e persone che usano droghe (e per favore smettiamola, una volta per tutte di parlare di “toosicodipendenti”, di “tossicomani” o, peggio, di “tossici”), in particolare coloro che hanno sviluppato un consumo problematico o una dipendenza ed in situazioni di emarginazione, è un aspetto fondamentale per porre le basi di un recupero della persona. Che, contrariamente ad una certa propaganda non corrisponde necessariamente all’astinenza: l’esperienza dimostra che prendere il controllo dei propri consumi consente di riprendere in mano anche la propria vita.

Bisogna spostare il punto di vista dalle sostanze alla persona che le assume, alle condizioni e ai contesti in cui ciò avviene. Occorre uscire dall'approccio patologico per cui il consumatore è inevitabilmente un soggetto debole e la persona dipendente un malato e un deviante da consegnare all'istituzione perché venga rieducato e guarito ed esca dal “tunnel della droga”. La “droga”, una definizione generica sotto la quale, in un tutt’uno indistinto, vengono messe sostanze molto diverse fra loro, per effetti e conseguenze, diventa la maschera dietro la quale nascondere, per interesse e convenienza, una politica impotente e fallimentare.

Per nascondere l’impotenza e il fallimento della “guerra alla droga” si alimenta la paura e si agita il mantra della “sicurezza” proponendosi come i difensori del “bene”. Vietare, reprimere e punire. Pretendere di salvare l’anima perché non si riesce a proteggere il corpo, facendo finta di non vedere che proprio le politiche proibizioniste producono insicurezza, marginalizzazione, degrado urbano, danni sociali e sanitari che ricadono su tutta la società.

Franco Basaglia non è stato un antipsichiatra, non ha mai negato l’esistenza della malattia mentale. Ha cercato la terapia e la cura, nella parola, nell'ascolto e nel dialogo col paziente. Lo stesso deve avvenire per quanto riguarda le sostanze psicoattive (legali e illegali). Parola, ascolto e dialogo.

Ringrazio Marco Steiner che ha ricordato il pensiero di Franco Basaglia e mi ha stimolato questa riflessione.

Quelle che chiamiamo "droghe" da millenni fanno parte della storia umana, ma ad un certo momento, contro ogni evidenza, senza alcun fondamento, alcune di esse sono state proibite e sono diventate il problema che conosciamo oggi. Parafrasando Franco Basaglia: una società, per dirsi civile, dovrebbe ...

07/07/2025

LA NOTA ANTIPROIBIZIONISTA
di Roberto Spagnoli
7 luglio 2025

Sovraffollamento intollerabile, incontenibile aumento dei suicidi, inammissibile condizione delle strutture, vecchie e senza il minimo rispetto di quanto indicato dalla Costituzione che prevede il recupero e la risocializzazione. Una vera e propria “emergenza nazionale” che viene da lontano e pone l'Italia agli ultimi posti in Europa. E’ il durissimo atto d’accusa pronunciato dal presidente della repubblica Sergio Mattarella sullo stato del sistema carcerario e la necessità di agire in varie direzioni: un monito rivolto all'inerzia della politica che continua a pensare al carcere solo come “luogo di custodia”.

«I luoghi di detenzione - ha affermato Mattarella - non devono trasformarsi in palestra per nuovi reati, in palestra di addestramento al crimine, ma devono essere effettivamente rivolti al recupero di chi ha sbagliato. Ogni detenuto recuperato equivale a un vantaggio di sicurezza per la collettività oltre ad essere un obiettivo costituzionale». Il presidente della repubblica, come di consueto, per parlare ha scelto un'occasione formale: il primo incontro ufficiale con Stefano Carmine De Michele, nuovo capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, nel quale ha lodato il lavoro di coloro che operano all'interno degli istituti, anch'essi vittime dell'inadeguatezza del sistema penale.

Le gravi carenze elencate dal presidente della repubblica sono quelle che da anni vengono portate all’attenzione di chi ha la responsabilità di porvi rimedio, senza però alcun risultato: sovraffollamento grave e ormai insostenibile, strutture fatiscenti e bisognose di misure urgenti di manutenzione e ristrutturazione, accesso sanitario inadeguato, in particolare per i detenuti affetti da problemi di salute mentale, carente presenza di educatori e operatori e mancanza di spazi per la socialità. Questi problemi, ha detto Mattarella, si risolvono solo aprendo il portafoglio con investimenti lungimiranti.

Da ultimo, ma non ultimo, il presidente ha denunciato l'inaccettabile numero di suicidi che da troppo tempo non dà segni di arresto. «Si tratta - ha detto rivolgendosi al capo del Dap - di una vera emergenza sociale sulla quale occorre interrogarsi per porre fine immediatamente a tutto questo. Deve essere fatto per rispetto dei valori della Costituzione, per rispetto del vostro lavoro e della storia della polizia penitenziaria».

Non è la prima volta che il presidente Mattarella solleva la questione dello stato del sistema carcerario: quest’anno lo ha fatto già in altre quattro occasioni. Lo fece anche in Parlamento, nel discorso di insediamento per il suo secondo mandato. Tutti i suoi richiami, i suoi moniti, le sue esortazioni sono però rimaste fino ad oggi senza risposta. Di fronte all’ennesimo atto di accusa, così energico, preciso e circostanziato, suonano alquanto imbarazzanti le risposte venute da esponenti del Governo e della maggioranza.

Il sottosegretario alla Giustizia Del Mastro ha parlato di investimenti da «centinaia di milioni di euro» per la ristrutturazione delle carceri e il recupero di «circa 7.000 dei 10.000 posti detentivi mancanti», cercando poi di spostare il discorso facendo polemica con l’opposizione accusata di «tirare per la giacca il presidente della repubblica» e «farsi interprete del suo pensiero».

Il ministro Nordio, da parte sua, ha assicurato “grande attenzione” alle parole del capo dello Stato affermando che il Governo sta già facendo abbastanza. Prioritari sono la prevenzione di autolesionismo e suicidi (con la promessa di un intervento «per il sostegno psicologico»). Poi ha ricordato gli interventi già avviati, per il lavoro dei detenuti e l’aumento del personale addetto a prevenzione e controllo. Per ridurre il sovraffollamento Nordio ha indicato tre strategie: detenzione differenziata per i tossicodipendenti, espiazione della pena nei Paesi d’origine per gli stranieri, strutture per chi ha diritto alle misure alternative, ma manca di supporto socioeconomico.

E ancora, la riforma della custodia preventiva per i reati non legati alla criminalità organizzata (visto che oltre il 20 per cento dei detenuti è in attesa di giudizio e molti vengono poi assolti) e la creazione del Commissario straordinario per l’edilizia carceraria, che garantirà presto «un ampliamento efficace delle strutture detentive».

Belle intenzioni, certo, che però riguardano il futuro, mentre l’emergenza è ora e richiede misure immediate di fronte ad una realtà descritta impietosamente dai numeri e dai dati sullo stato delle carceri, il sovraffollamento, i suicidi, le carenze strutturali, la mancanza di agenti di polizia e di personale. Il Governo, di cui Nordio e Del Mastro fanno parte, fin dall’inizio ha fatto approvare leggi che hanno introdotto molti nuovi reati e inasprito le pene per molti di quelli già esistenti. Ed è riuscito a provocare il sovraffollamento anche negli istituti penali minorili che fino ad ora ne erano rimasti esenti.

Il drammatico problema delle condizioni di vita dei detenuti descritto dal presidente della repubblica richiede misure urgenti che hanno un nome e un cognome: si chiamano amnistia, indulto, aumento delle alternative alla detenzione e delle misure premiali come la liberazione anticipata speciale. Dopo di che servono interventi strutturali: da un lato “aprendo il portafoglio”, come ha detto Mattarella, e dall’altro mettendo mano con urgenza alle leggi che questo degrado hanno prodotto, prima di tutte e soprattutto quella sulle droghe.

In questo ambito, invece, il Governo è andato in senso opposto alle evidenze e in controtendenza rispetto a quanto avviene in molti altri paesi europei e del mondo, continuando la sua “guerra alla droga” anche attraverso il nuovo Codice della strada, colpendo il consumo personale, anche negando la messa alla prova per i fatti di lieve entità, come il piccolo spaccio, misura questa per fortuna bocciata dalla Corte Costituzionale.

Il presidente della repubblica ha chiesto di porre fine alla situazione e di farlo immediatamente. O si interviene, immediatamente e a fondo, o tutto resterà come prima e peggiorerà ancora, fino al prossimo monito del presidente, fino al prossimo annuncio del Governo, di giorno in giorno, di suicidio in suicidio.



https://www.radioradicale.it/scheda/763988/la-nota-antiproibizionista

Indirizzo

Via Principe Amedeo 2
Rome
00185

Notifiche

Lasciando la tua email puoi essere il primo a sapere quando Notiziario Antiproibizionista - Radio Radicale pubblica notizie e promozioni. Il tuo indirizzo email non verrà utilizzato per nessun altro scopo e potrai annullare l'iscrizione in qualsiasi momento.

Contatta L'azienda

Invia un messaggio a Notiziario Antiproibizionista - Radio Radicale:

Condividi

Notiziario Antiproibizionista

Il dibattito politico, la ricerca scientifica, il mercato criminale, le iniziative antiproibizioniste per una nuova politica sulle sostanze piscoattive legali e illegali. La trasmissione va in onda sulle frequenze di Radio Radicale il lunedì alle 13. Le registrazioni delle puntata sono disponibili su www.radioradicale.it nella sezione delle Rubriche.