Notiziario Antiproibizionista - Radio Radicale

Notiziario Antiproibizionista - Radio Radicale La pagina ufficiale della storica rubrica di Radio Radicale in onda il lunedì alle 13. I vostri com

Il dibattito politico, la ricerca scientifica, il mercato criminale, le iniziative antiproibizioniste per una nuova politica sulle sostanze piscoattive legali e illegali. La trasmissione va in onda sulle frequenze di Radio Radicale il lunedì alle 13. Le registrazioni sono disponibili su www.radioradicale.it nella sezione delle Rubriche.

07/07/2025

LA NOTA ANTIPROIBIZIONISTA
di Roberto Spagnoli
7 luglio 2025

Sovraffollamento intollerabile, incontenibile aumento dei suicidi, inammissibile condizione delle strutture, vecchie e senza il minimo rispetto di quanto indicato dalla Costituzione che prevede il recupero e la risocializzazione. Una vera e propria “emergenza nazionale” che viene da lontano e pone l'Italia agli ultimi posti in Europa. E’ il durissimo atto d’accusa pronunciato dal presidente della repubblica Sergio Mattarella sullo stato del sistema carcerario e la necessità di agire in varie direzioni: un monito rivolto all'inerzia della politica che continua a pensare al carcere solo come “luogo di custodia”.

«I luoghi di detenzione - ha affermato Mattarella - non devono trasformarsi in palestra per nuovi reati, in palestra di addestramento al crimine, ma devono essere effettivamente rivolti al recupero di chi ha sbagliato. Ogni detenuto recuperato equivale a un vantaggio di sicurezza per la collettività oltre ad essere un obiettivo costituzionale». Il presidente della repubblica, come di consueto, per parlare ha scelto un'occasione formale: il primo incontro ufficiale con Stefano Carmine De Michele, nuovo capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, nel quale ha lodato il lavoro di coloro che operano all'interno degli istituti, anch'essi vittime dell'inadeguatezza del sistema penale.

Le gravi carenze elencate dal presidente della repubblica sono quelle che da anni vengono portate all’attenzione di chi ha la responsabilità di porvi rimedio, senza però alcun risultato: sovraffollamento grave e ormai insostenibile, strutture fatiscenti e bisognose di misure urgenti di manutenzione e ristrutturazione, accesso sanitario inadeguato, in particolare per i detenuti affetti da problemi di salute mentale, carente presenza di educatori e operatori e mancanza di spazi per la socialità. Questi problemi, ha detto Mattarella, si risolvono solo aprendo il portafoglio con investimenti lungimiranti.

Da ultimo, ma non ultimo, il presidente ha denunciato l'inaccettabile numero di suicidi che da troppo tempo non dà segni di arresto. «Si tratta - ha detto rivolgendosi al capo del Dap - di una vera emergenza sociale sulla quale occorre interrogarsi per porre fine immediatamente a tutto questo. Deve essere fatto per rispetto dei valori della Costituzione, per rispetto del vostro lavoro e della storia della polizia penitenziaria».

Non è la prima volta che il presidente Mattarella solleva la questione dello stato del sistema carcerario: quest’anno lo ha fatto già in altre quattro occasioni. Lo fece anche in Parlamento, nel discorso di insediamento per il suo secondo mandato. Tutti i suoi richiami, i suoi moniti, le sue esortazioni sono però rimaste fino ad oggi senza risposta. Di fronte all’ennesimo atto di accusa, così energico, preciso e circostanziato, suonano alquanto imbarazzanti le risposte venute da esponenti del Governo e della maggioranza.

Il sottosegretario alla Giustizia Del Mastro ha parlato di investimenti da «centinaia di milioni di euro» per la ristrutturazione delle carceri e il recupero di «circa 7.000 dei 10.000 posti detentivi mancanti», cercando poi di spostare il discorso facendo polemica con l’opposizione accusata di «tirare per la giacca il presidente della repubblica» e «farsi interprete del suo pensiero».

Il ministro Nordio, da parte sua, ha assicurato “grande attenzione” alle parole del capo dello Stato affermando che il Governo sta già facendo abbastanza. Prioritari sono la prevenzione di autolesionismo e suicidi (con la promessa di un intervento «per il sostegno psicologico»). Poi ha ricordato gli interventi già avviati, per il lavoro dei detenuti e l’aumento del personale addetto a prevenzione e controllo. Per ridurre il sovraffollamento Nordio ha indicato tre strategie: detenzione differenziata per i tossicodipendenti, espiazione della pena nei Paesi d’origine per gli stranieri, strutture per chi ha diritto alle misure alternative, ma manca di supporto socioeconomico.

E ancora, la riforma della custodia preventiva per i reati non legati alla criminalità organizzata (visto che oltre il 20 per cento dei detenuti è in attesa di giudizio e molti vengono poi assolti) e la creazione del Commissario straordinario per l’edilizia carceraria, che garantirà presto «un ampliamento efficace delle strutture detentive».

Belle intenzioni, certo, che però riguardano il futuro, mentre l’emergenza è ora e richiede misure immediate di fronte ad una realtà descritta impietosamente dai numeri e dai dati sullo stato delle carceri, il sovraffollamento, i suicidi, le carenze strutturali, la mancanza di agenti di polizia e di personale. Il Governo, di cui Nordio e Del Mastro fanno parte, fin dall’inizio ha fatto approvare leggi che hanno introdotto molti nuovi reati e inasprito le pene per molti di quelli già esistenti. Ed è riuscito a provocare il sovraffollamento anche negli istituti penali minorili che fino ad ora ne erano rimasti esenti.

Il drammatico problema delle condizioni di vita dei detenuti descritto dal presidente della repubblica richiede misure urgenti che hanno un nome e un cognome: si chiamano amnistia, indulto, aumento delle alternative alla detenzione e delle misure premiali come la liberazione anticipata speciale. Dopo di che servono interventi strutturali: da un lato “aprendo il portafoglio”, come ha detto Mattarella, e dall’altro mettendo mano con urgenza alle leggi che questo degrado hanno prodotto, prima di tutte e soprattutto quella sulle droghe.

In questo ambito, invece, il Governo è andato in senso opposto alle evidenze e in controtendenza rispetto a quanto avviene in molti altri paesi europei e del mondo, continuando la sua “guerra alla droga” anche attraverso il nuovo Codice della strada, colpendo il consumo personale, anche negando la messa alla prova per i fatti di lieve entità, come il piccolo spaccio, misura questa per fortuna bocciata dalla Corte Costituzionale.

Il presidente della repubblica ha chiesto di porre fine alla situazione e di farlo immediatamente. O si interviene, immediatamente e a fondo, o tutto resterà come prima e peggiorerà ancora, fino al prossimo monito del presidente, fino al prossimo annuncio del Governo, di giorno in giorno, di suicidio in suicidio.



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LA NOTA ANTIPROIBIZIONISTAdi Roberto Spagnoli16 giugno 2025Poco più di tre anni fa moriva Walter De Benedetto. Era il 9 ...
16/06/2025

LA NOTA ANTIPROIBIZIONISTA
di Roberto Spagnoli
16 giugno 2025

Poco più di tre anni fa moriva Walter De Benedetto. Era il 9 maggio 2022. Aveva 50 anni. Circa due anni mezzo prima, nell’ottobre 2019, era diventato protagonista suo malgrado di una vicenda giudiziaria. Un caso che ha fatto rumore perché Walter, malato di artrite reumatoide dall’età di quindici anni, a partire dalla sua vicenda ha combattuto con coraggio e determinazione la battaglia per l'accesso ai farmaci cannabinoidi e per una legge sulle droghe equa e ragionevole.

Viveva in campagna vicino ad Arezzo. Aveva grandi difficoltà a muoversi e soffriva dolori fortissimi che poteva alleviare grazie al Bedrocan, un farmaco cannabinoide che otteneva attraverso il servizio sanitario. Tuttavia, con l’aggravarsi della malattia, la dose prescritta era diventata insufficiente. Non avendo ottenuto l’adeguamento della terapia, nonostante le ripetute richieste, aveva deciso di fare da solo. Per non ricorrere al mercato nero, si era messo a coltivare piante di cannabis in casa. Ma qualcuno ha fatto la spia e un giorno sono arrivati i carabinieri e nei suoi confronti sono scattate le accuse di coltivazione di sostanza stupefacente, detenzione e spaccio.

Walter De Benedetto, però, non si è dato per vinto. Ha fatto del suo un caso politico, quello dei tanti, troppi cittadini che non riescono ad accedere ai farmaci cannabinoidi, nonostante siano autorizzati del 2007, e si vedono privati del diritto alle cure senza ricevere risposte concrete dai pubblici poteri. Ha scritto al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, si è fatto ricevere dall’allora Presidente della Camera, Roberto Fico, è stato sostenuto da varie associazioni e migliaia di cittadini che hanno sottoscritto un appello. In suo favore è stato organizzato anche un digiuno collettivo.

Nel maggio 2021, un anno prima della sua morte, il tribunale di Arezzo lo ha assolto perché “il fatto non sussiste”. Una sentenza importante perché ha riconosciuto che la coltivazione era per uso personale per finalità terapeutiche e ha stabilito che nel suo caso l’elevata quantità era giustificata dall'esigenza di lenire i gravi dolori provocati dalla malattia, andando così oltre la sentenza delle sezioni unite penali della Corte di Cassazione che aveva aperto alla non rilevanza penale della piccola coltivazione domestica.

Perché parlo di Walter De Benedetto? Perché quel 3 ottobre 2019, quando a casa sua sono arrivati i carabinieri, Walter non era solo. C’era Marco, uno dei suoi amici più cari, sorpreso dentro alla serra dell'amico mentre stava annaffiando le piante di cannabis. Operaio, incensurato, sconosciuto alle forze dell’ordine, ha spiegato agli inquirenti che non aveva mai avuto a che fare con la detenzione e lo spaccio di droghe e stava solo aiutando Walter a curare le piante.

Nell’udienza del 7 febbraio 2020 la giudice Giulia Soldini gli ha concesso l’affido in prova. In seguito, però, Soldini è passata all’ufficio del Gip e il caso è stato affidato a un altro magistrato, Filippo Ruggero, che a settembre 2020 si è riservato di concedere la messa in prova al termine del processo col rito abbreviato celebrato nel dicembre successivo. Gli avvocati Cristiano Cazzavacca e Osvaldo Fratini hanno sostenuto la non punibilità di Marco per la particolare tenuità del fatto. Il pm Bernardo Albergotti ha chiesto invece la la pena di un anno. Il giudice Ruggero ha accolto la richiesta dell’accusa, ma è andato oltre e ha condannato Marco ad un anno, due mesi e 20 giorni.

Walter è stato assolto con formula piena perché, ha scritto il gup, «sarebbe paradossale - oltre che contrario ad ogni forma di umanità e di giustizia - che l'imputato debba essere punito per aver coltivato piante di cannabis con l'unico scopo di tutelare la propria salute e garantirsi in tal modo condizioni di vita più dignitose». Marco, invece, non solo è stato ritenuto colpevole di “coltivazione non autorizzata di sostanza stupefacente”, ma secondo il giudice i quantitativi di cannabis erano “sproporzionati ed esagerati rispetto all'esigenza di un consumo personale di De Benedetto” e la coltivazione sarebbe caratterizzata da “modalità industriose” e “laboriosità e operosità costante”.

Secondo il principio del “pericolo presunto” una condotta è ritenuta pericolosa senza che sia necessario provare che essa abbia effettivamente creato un “pericolo concreto”. A prescindere dalle circostanze specifiche Marco avrebbe potuto ledere il bene giuridico tutelato dalla norma e quindi il giudice Ruggero lo ha condannato. A Marco sono state negate anche l’ipotesi di lieve entità del reato e la sospensione del processo con la messa alla prova. E pazienza se ciò appare “contrario ad ogni forma di umanità e di giustizia”, oltre che paradossale, visto che Walter De Benedetto coltivava cannabis solo per tutelare la propria salute e garantirsi condizioni di vita più dignitose e la quantità era giustificata dalla necessità di lenire i gravi dolori provocati dalla malattia, come ha stabilito il giudice che lo ha assolto.

Solo in questi giorni è stata finalmente fissata la data del processo d'appello di Marco che si terrà a Firenze: 3 febbraio 2026, cioè ad anni di distanza dai fatti e dal processo di primo grado. Una vicenda interminabile, un tunnel di cui non si riesce a vedere l’uscita. Ad Arezzo per Walter c'è stato un giudice. Per Marco no. Riuscirà a trovarlo a Firenze? Forse sì, lo speriamo e ce lo auguriamo. Ma intanto resta una politica che da una parte ostacola il diritto dei malati all’accesso ai farmaci cannabinoidi e dall’altra con il nuovo Codice della strada li punisce se li usano e risultano positivi ai test.

Una politica che invece di colpire a fondo le mafie delle droghe che si arricchiscono e diventano sempre più potenti grazie al mercato nero generato dal proibizionismo, colpisce i soggetti più deboli e indifesi. La “guerra alla droga” continua, una sconfitta dopo l’altra.

Le vicende giudiziarie di Walter De Benedetto e del suo amico Marco mostrano gli effetti di una politica delle droghe che invece di colpire le mafie che si arricchiscono e diventano sempre più potenti grazie al mercato nero generato dal proibizionismo, si accanisce sui soggetti più deboli e indife...

26/05/2025

LA NOTA ANTIPROIBIZIONISTA
di Roberto Spagnoli
26 maggio 2025

Oggi, alla Camera dei deputati, arriva il decreto cosiddetto “sicurezza”. La scorsa settimana le commissioni Affari costituzionali e Giustizia, dopo che il centrodestra ha ritirato i propri emendamenti, hanno esaminato meno della metà di quelli delle opposizioni che si sono viste ridotte anche le dichiarazioni di voto dei propri rappresentanti. Quindi la nomina dei relatori, ultimo passaggio necessario per portare il testo in aula dove il governo Meloni oggi porrà la fiducia. Il decreto sarà quindi convertito in legge senza essere stato discusso a fondo.

L’articolo 18 del decreto colpisce il settore della canapa, una delle filiere agroindustriali più promettenti del nostro Paese. Il divieto della commercializzazione delle infiorescenze sta per mandare in fumo un comparto che negli ultimi anni ha visto in Italia un crescente sviluppo. Il settore della cannabis “light” (cioè priva di effetto drogante), secondo un recentissimo studio, da solo ha un impatto economico diretto di quasi un miliardo di euro, con un altro miliardo aggiuntivo di impatto indiretto e la creazione di ventiduemila posti di lavoro a tempo pieno.

Contro l’articolo 18 del decreto si sono mosse le organizzazioni agricole e le associazioni di settore. Ai microfoni di Radio Radicale, il sottosegretario agli Interni Nicola Molteni, ha cercato di spiegare che «c’è una norma, l’articolo 18, che equipara la cannabis light alla cannabis normale. Questo è già legge e nel momento in cui il decreto sarà convertito la norma dovrà essere applicata. E’ un tema prettamente di commercializzazione. L’articolo 18 è solo uno dei trentotto articoli che sono scritti in questo decreto legge». Come dire? Quella del sottosegretario appare un’arrampicata sugli specchi.

«E’ un tema prettamente di commercializzazione», sostiene Molteni, riprendendo quanto affermato dal Dipartimento per le politiche antidroga che in un comunicato del 29 aprile ha cercato di giustificare l’articolo 18 sostenendo che esso non vieterebbe la coltivazione della canapa industriale e che si limiterebbe a “ribadire” quanto già previsto dalla legge 242 del 2016 e sancito dalla Corte di Cassazione nel 2019. Una posizione quanto meno discutibile, smentita dalle associazioni di settore e dalle organizzazioni del mondo agricolo oltre che dall’evidenza.

Ricordiamolo ancora una volta. Il decreto vieta la vendita delle infiorescenze per usi diversi da quelli indicati dalla legge 242 relativa al sostegno e alla promozione della coltivazione e della filiera produttiva delle varietà di canapa indicate dalla direttiva europea del 2002. La legge regola la canapa con un livello di Thc (il principio psicoattivo) inferiore allo 0,6 per cento ovvero sotto la soglia del cosiddetto “effetto drogante”, ma non cita il commercio e la vendita delle infiorescenze. In questa carenza della legge si inserisce il decreto che colpisce con le sanzioni previste per le sostanze illegali anche le infiorescenze senza effetti psicoattivi. Le infiorescenze contengono una quantità di Thc inferiore a quella che provoca il cosiddetto “effetto drogante” e sono ricche di cannabidiolo (Cbd) che ha diversi effetti benefici. Dunque, stiamo parlando di qualcosa che droga non è.

La cosa singolare è che il decreto “sicurezza” è in contrasto con la stessa legge sulle droghe, oltre che la Convenzione unica sugli stupefacenti del 1961, le sentenze della Corte di giustizia europea e ignora sia i pronunciamenti della Corte di Cassazione che la consolidata giurisprudenza in materia. C’è, inoltre la normativa europea (che classifica la canapa come “prodotto agricolo” e “pianta industriale” senza alcuna distinzione tra le varie parti) e la giurisprudenza comunitaria in materia di libera circolazione delle merci prodotte legalmente all’interno dell’Unione a cui l’Italia non può opporsi.

Poiché le infiorescenze coprono un terzo della pianta e insieme agli estratti di Cbd rappresentano una buona parte dei prodotti in vendita, è evidente che vietare il commercio significa privare agricoltori e produttori della maggiore fonte di reddito e, più in generale, scoraggiare la coltivazione. Dunque, con buona pace del sottosegretario, non è un tema “prettamente di commercializzazione”: a farne le spese è l’intero comparto della canapa industriale. Quello italiano, che esporta buona parte della sua produzione, chiuderà i battenti, ma non potremo impedire l’importazione di prodotti esteri, con tanti saluti al “made in Italy”.

Cosa c’entri tutto questo con la sicurezza è davvero difficile da capire. La sicurezza è un concetto complesso che si applica ad ambiti e contesti diversi: c’è la sicurezza sociale, la sicurezza sanitaria, quella ambientale, dei luoghi di lavoro, la sicurezza informatica, antincendio, quella stradale. In inglese si traduce in due concetti diversi: “safety” e “security”. Da noi la declinazione pare sia sempre e solo la seconda, quella “securitaria”. Sicurezza intesa come salvaguardia dell’ordine pubblico, repressione del dissenso, criminalizzazione delle devianze, vere o presunte che siano.

Il decreto cosiddetto “sicurezza” contiene molte norme, non solo quella sulla canapa. I contenuti del provvedimento presentano più di un profilo di incostituzionalità e hanno sollevato i rilievi del Quirinale e agli allarmi del Consiglio d’Europa e dei relatori speciali dell’Onu sui diritti umani. Nonostante ciò è stato imposto, senza alcuna ragione di necessità ed urgenza, obbligando ad accantonare l’analogo disegno di legge già in discussione. Il successivo esame del decreto è stato pressoché annullato. Di fatto è stato limitato il potere legislativo del Parlamento. La sua approvazione aprirà ora la strada a ricorsi alla Corte Costituzionale e alle giurisdizioni sovranazionali e, probabilmente, sarà progressivamente demolito. Nel frattempo avrà però provocato danni e conseguenze negative con costi rilevanti.

E’ davvero uno strano paese quello che da una parte in nome della “guerra alla droga” distrugge il settore della canapa industriale e persegue i consumatori di cannabis, ma dall’altra guadagna sul gioco d’azzardo che per qualcuno è un passatempo innocuo, ma per altri può diventare una dipendenza. La dipendenza da gioco, a sua volta, spesso è legata al tabagismo e al consumo problematico di alcol. Droghe pesanti sulle quali lo Stato ricava altri guadagni attraverso imposte e tasse. Forse qualche riflessione sarebbe il momento di cominciare a farla.



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LA NOTA ANTIPROIBIZIONISTAdi Roberto Spagnoli19 maggio 2025«Se siamo qui questa sera è per chiedere conto ad una classe ...
19/05/2025

LA NOTA ANTIPROIBIZIONISTA
di Roberto Spagnoli
19 maggio 2025

«Se siamo qui questa sera è per chiedere conto ad una classe dirigente di donne e di uomini che da farisei ritengono di essere “per bene”, che ritengono di aver a cuore i destini dei loro figli e che invece sono loro che producono questa società, ma non per motivi psicologici. Con le loro leggi, la loro ignoranza, la loro paura, creano morti e assassini e creano la premessa perché l'industria della morte, dell'eroina, l'industria del suicidio e dell'assassinio sia quello che domini nel loro tempo per poter contrapporre il loro stato autoritario contro una società in preda, secondo loro, a manie omicide o suicide».

Sono parole di Marco Pannella. Le pronunciò il 6 ottobre 1979 nel corso di una manifestazione del Partito radicale a Roma, in piazza Navona, contro il proibizionismo, per la legalizzazione di hashish e ma*****na e per la liberazione di Angiolo Bandinelli e Jean Fabre. Bandinelli, consigliere comunale a Roma, il 4 ottobre era stato arrestato per aver compiuto una disobbedienza civile fumando uno spinello durante una seduta del Consiglio comunale. Il giorno successivo Fabre, segretario del partito era stato arrestato per aver compiuto un’azione analoga nel corso di una conferenza stampa.

Pannella ci ha lasciato nove anni fa, il 19 maggio del 2016. Fin dalla seconda metà degli anni Sessanta si era posto il problema della diffusione delle droghe, proponendo di governare il fenomeno con una regolamentazione legale e denunciando la criminalizzazione dei consumatori, soprattutto giovani: “2 grammi di hashish, 2 anni di galera” era lo slogan. La prima presa di posizione pubblica sul tema fu l’articolo che comparve il 16 gennaio 1973 su “Il Messaggero” a seguito dell'arresto di diciassette studenti, colpevoli di aver fumato droghe leggere. L’intervento aprì sulle pagine del quotidiano un ampio dibattito sui giovani e le droghe.

Dinanzi alla criminalizzazione dei consumatori, sbandierata come vittoria della moralità pubblica, scrisse Pannella, «non sono, non siamo disposti ad assistere inerti». Annunciò quindi l’intenzione di intraprendere azioni dirette nonviolente di disobbedienza civile. La cosa avvenne nel luglio 1975: per sbloccare la riforma della legge sulle droghe ferma in Parlamento, nel corso di una conferenza stampa, Pannella fumò pubblicamente uno spinello, venne arrestato e trascorse una decina di giorni in carcere. La legge fu poi approvata nel dicembre successivo: non era quella che i radicali avrebbero voluto, ma conteneva alcune innovazioni rispetto alla precedente del 1954.

Nell’articolo del Messaggero Pannella precisò di non avere motivi di specifica stima per chi fumava hashish. «Riteniamo anzi vi siano orizzonti sufficientemente vasti, fisici e morali, da esplorare e percorrere, per non aver bisogno di evasioni o di altri “viaggi” [...] Ma le attuali persecuzioni conducono al rischio di un flagello. Decine di migliaia di ragazzi criminalizzati, traumatizzati, segnati per tutta la vita dall'unica, cieca e ottusa violenza di tutto questo affare: quella delle istituzioni, del partito di regime». E’ un concetto che, lo stesso anno, Pannella riprese per la prefazione del libro “Underground a pugno chiuso” di Andrea Valcarenghi.

Per Pannella la questione non era l’erba in sé. Da accanito fumatore di tabacco gli pareva logico fumarne di meno nociva, se piace, e non pagarla troppo cara, sul mercato, in famiglia e in società, senza finire in carcere. La questione era impegnarsi senza riserve «per disarmare boia e carnefici di Stato, tenutari di quel casino che chiamano l’Ordine, i quali per vivere e sentirsi vivi hanno bisogno di comandare, proteggere, obbedire, torturare, arrestare, assolvere o ammazzare, e tentano l'impossibile operazione di trasferire i loro demoni interni (di impotenti, di repressi, di frustrati) nel corpo di chi ritengono diverso da loro e che, qualche volta (per fortuna!), lo è davvero».

Marco Pannella è stato il primo politico italiano a comprendere che il proibizionismo avrebbe aggravato il problema della diffusione delle sostanze illecite diventando un rimedio peggiore del male, costringendo le persone che usano droghe all’illegalità, generando un mercato nero che avrebbe rappresentato un’inesauribile fonte di guadagno per le mafie, scaricando sull'intera società i costi sanitari, sociali, politici ed economici. Decenni di “guerra alla droga” lo dimostrano: imposta per motivi ideologici e moralistici, senza alcuna base scientifica e ampiamente smentita dalle evidenze e dalla storia, ha “drogato” il diritto, le leggi e la convivenza civile.

Il 2 marzo 2008, a Radio Radicale, in una delle conversazioni domenicali con Massimo Bordin, Pannella disse: «Io non rivendico il diritto di assumere. Io dico che dinanzi alla facoltà patente, devo riuscire ad inserire nella consapevolezza, ma anche nelle leggi e nel costume, il senso della non necessità di quello e semmai della necessità di altro. La speranza è di consentire quella che è una facoltà insopprimibile, se no diventa mercato nero di tutto. Se tu vuoi vietare l'esercizio di una facoltà umana che per qualsiasi motivo è praticata a livello di massa, tu fallirai e sarai costretto all'illusione autoritaria del potere che colpisce il “colpevole” e lo colpisce a morte».

In queste parole c’è il senso dell'antiproibizionismo pannelliano: non un astratto e velleitario “vietato vietare”. La libertà si afferma con la consapevolezza e la responsabilità delle proprie scelte e delle azioni che ne derivano, Compito delle leggi, dunque, non è imporre ai cittadini cosa è “giusto” e cosa è “sbagliato”, ma governare i fenomeni sociali riducendo al minimo i rischi e i danni sia per le persone, sia per la società nel suo complesso. Per citare la frase di Albert Camus che amo molto, «il ruolo della politica è far funzionare le cose, non risolvere i nostri problemi interiori».


Il 19 maggio del 2016 moriva Marco Pannella. E’ stato tra i primi a comprendere che il proibizionismo sarebbe stato un rimedio peggiore del male. Decenni di "guerra alla droga" lo dimostrano. L’antiproibizionismo pannelliano non è stato un astratto e velleitario "vietato vietare", ma la ricerca...

LA NOTA ANTIPROIBIZIONISTAdi Roberto Spagnoli12 maggio 2025Perché una persona sia punibile per guida sotto l’effetto di ...
12/05/2025

LA NOTA ANTIPROIBIZIONISTA
di Roberto Spagnoli
12 maggio 2025

Perché una persona sia punibile per guida sotto l’effetto di droghe è necessaria “una correlazione temporale tra l’assunzione e la guida, che si concretizza in una perdurante influenza della sostanza
stupefacente o psicotropa in grado di esercitare effetti negativi sull’abilità alla guida”. E’ quanto si legge in una circolare dei ministeri dell'Interno e della Salute, inviata a prefetti e questori in seguito all'entrata in vigore del nuovo Codice della strada che ha introdotto sanzioni pesanti per chi risulti positivo ad un test antidroga, anche se non è sotto l’effetto della sostanza.

La stretta punitiva è stata fortemente voluta e ottenuta dal ministro dei Trasporti Salvini, riguarda solo le sostanze vietate e, di fatto, ha cancellato la depenalizzazione del consumo personale di droghe ottenuta con il referendum radicale del 1993. Ora la circolare ministeriale precisa che è necessario provare “che la sostanza stupefacente o psicotropa sia stata assunta in un periodo di
tempo prossimo alla guida del veicolo, tale da far presumere che la sostanza produca ancora i suoi effetti nell'organismo durante la guida”.

Può sembrare che cambi qualcosa, ma non cambia nulla. A scanso di equivoci il ministero di Salvini ha tenuto subito a precisare che la circolare non contraddice le novità del Codice. Infatti, la circolare dell’11 aprile 2025 conferma la stretta: è punibile anche chi ha assunto sostanze vietate giorni prima di mettersi alla guida e non serve essere sotto l’effetto di una sostanza. Continua ad essere sufficiente la presenza nell'organismo di principi attivi delle sostanze stupefacenti o psicotrope: lo stato di alterazione viene presunto sulla base di test della saliva o del sangue.

Nessun passo indietro, nessuna modifica della normativa vigente (anche perché una circolare ministeriale non lo può fare). Il nuovo Codice della strada può continuare a colpire chi ha assunto una sostanza anche se non è più in stato di alterazione psicofisica e guida in modo corretto. Un accanimento autoritario che non c’entra nulla con la sicurezza stradale, ma calpesta il principio di offensività, il principio di eguaglianza e il diritto alle cure. Anche i malati che assumono farmaci cannabinoidi possono, infatti, essere vittime della “guerra alla droga”.

A proposito di malati vittime della “guerra alla droga”. Tre anni fa moriva Walter De Benedetto. Aveva 49 anni. Da tempo era malato di una grave forma di artrite reumatoide. Aveva voluto fare della sua condizione una battaglia politica ed era diventato uno dei simboli della lotta per il diritto all’accesso ai farmaci cannabinoidi. Nell'aprile del 2021 era stato assolto perché il fatto non sussiste per aver coltivato cannabis nella propria abitazione per sopperire alla insufficiente fornitura da parte del servizio sanitario delle medicine necessarie ad alleviare le sofferenze causate dalla sua malattia.

Una domanda per il governo in prima linea nella “guerra alla droga”, come ha sostenuto il sottosegretario Mantovano all’Onu, il governo che “lucido sì o lucido no, la patente te la tolgo lo stesso”, come ha dichiarato il ministro Salvini: che fine ha fatto la produzione italiana di farmaci cannabinoidi insufficiente a coprire la domanda? Verrà emanata una circolare per i pazienti che si curano con questi farmaci e rischiamo di finire nei guai a causa del Codice della strada? Si parlerà di tutto questo alla Conferenza nazionale annunciata per il prossimo novembre?

Sarebbe interessante avere delle risposte anche sul decreto cosiddetto “sicurezza” che ha messo fuorilegge la cannabis “light” e sta mandando in fumo l’intera filiera della canapa industriale. Il settore della cannabis light ha un impatto economico diretto di quasi un miliardo di euro, con un altro miliardo aggiuntivo di impatto indiretto, e la creazione di 22mila posti di lavoro a tempo pieno. Sono le stime appena aggiornate del mercato italiano messe a punto in uno studio presentato lo scorso 2 aprile alla sala stampa della Camera.

Un documento di oltre 130 pagine, realizzato da Mpg Consulting, per conto dell’associazione Canapa Sativa Italia, relativo alle sole infiorescenze. Numeri che, in un momento economico tanto delicato come quello che stiamo attraversando, avrebbero imposto un’attenta riflessione, come richiesto non solo dai produttori e dai commercianti dei derivati della canapa, ma anche dalle più grandi associazioni agricole come Confagricoltura, Cia, Copagri e Coldiretti. Una richiesta alla quale il governo e la maggioranza hanno opposto il totale silenzio.

Prima mi chiedevo se di tutto questo si parlerà alla prossima Conferenza nazionale. Temo di no. La Conferenza nazionale del 2021 fu preceduta da tavoli preparatori aperti al confronto, approvò documenti innovativi sulle politiche delle droghe ed elaborò il Piano nazionale. Tutti documenti rimasti lettera morta e sono stati completamente ignorati dal governo Meloni. Infatti, dalla preparazione della nuova Conferenza sono state escluse tutte le voci non allineate ai dettami della “guerra alla droga”, i cui fallimenti continuiamo a pagare tutti i giorni.

La circolare ministeriale emanata l’11 aprile in seguito all'entrata in vigore del nuovo Codice della strada, che ha introdotto sanzioni pesanti per chi è positivo ad un test antidroga, non cambia nulla. La stretta repressiva rimane: è sufficiente la presenza nell'organismo dei principi attivi, ...

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