Conflitti E Strategie

Conflitti E Strategie Sito di analisi geopolitica, politica ed economica.

Analisi dei capitalismi nella fase multipolare tramite le analisi del sito "Conflitti e Strategie", nato dall'esperienza filosofica ed economica di Gianfranco La Grassa.

26/10/2025

Qualche insegnamento di La Grassa

Uno dei più grandi insegnamenti che ci ha lasciato Gianfranco La Grassa è stato, senza dubbio, il suo anti-umanesimo di approccio scientifico. Nel suo pensiero l’uomo non occupa il centro di un mondo migliore, dotato di qualità che lo renderebbero superiore in natura. Non c’è l’Uomo con la U maiuscola, colui che deve incarnare i grandi valori morali, l’essere naturalmente buono che viene prima delle altre creature.
L’uomo, in quanto animale particolare, si è distinto dagli altri esseri per una specifica natura sociale che non ha nulla a che vedere con categorie come il buono o il cattivo, anzi, se possibile, può arrivare ad essere una bestiaccia senza paragoni. La differenza tra la bestia uomo e le altre bestie sta semplicemente nella capacità di produrre un plusprodotto, grazie a una conformazione cerebrale che gli permette di pensare, cosa che altri animali non possono fare. Da quel plusprodotto nascono mille implicazioni, nasce la storia.
Ed è questo plusprodotto, e la lotta per la sua appropriazione, a generare un tipo di società e di conflitti del tutto peculiari e sconosciuti al mondo animale. Questa è la caratteristica dell’uomo, essere dotato di pensiero che però non raggiunge mai quegli scopi immaginati, verità, ragione, spiritualità, che sono soltanto credenze costruite attorno alle sue abitudini sociali, caratteristiche della sua esistenza fisica.
Il pensiero di La Grassa si inserisce a pieno titolo nella scienza politica più autentica, quella che da Machiavelli arriva fino a noi. Quante volte ci ha ripetuto che, per comprendere la politica, ma anche discipline come l’economia, il testo di riferimento fosse “Della guerra” di Clausewitz? E quante volte si era infuriato contro quei filosofi falsamente marxisti che volevano fare di Marx un pensatore umanistico, un teorico dell’alienazione, o che lo riducevano a un “classico minore” che avrebbe “anticipato la globalizzazione” in chiave meramente economicistica, prevedendo la mercificazione di tutto, anche delle coscienze.
La Grassa ci teneva lontani da simili balle moralistiche e da pseudo-scienze. Ci invitava invece a leggere e interpretare la logica dei conflitti che permea la realtà, un conflitto inesauribile, storicamente generato dalla necessità di appropriarsi del plusprodotto che l’essere umano è in grado di produrre e che chi controlla può usare per dominare la società. Naturalmente questo sguardo va oltre la mera materialità delle cose, perché interpreta i rapporti sociali che da quella materialità discendono.
Quanto siamo ancora indietro rispetto a queste acquisizioni del pensiero lagrassiano. Ancora oggi cadiamo nelle truffe e nelle baruffe ideologiche che autentici predoni e falsi rivoluzionari usano per contendersi la verità, ingannando moralisticamente i dominati. Non ci sono guerre per la verità o per la superiorità morale, ci sono conflitti per il dominio, che emergono dalle viscere della società perché chi detiene il potere non intende cederlo e chi lo contesta vuole prenderne il posto.
Anche qui non dobbiamo però indulgere al moralismo. Se prendiamo in modo scientifico queste relazioni conflittuali, vediamo che sono necessarie non perché esistano buoni o cattivi, ma perché ogni gruppo tende ad affermare una propria idea di società che si scontra con quella altrui. Da qui nascono i conflitti, la realtà è un flusso continuo di mutamenti che modificano costantemente le prospettive, nonostante la stabilità che gli esseri umani tentano di conferire alle proprie costruzioni storiche.
Calando questo ragionamento nell’oggi, per quel che ci riguarda come porzione di società occidentale, constatiamo che in Italia le nostre classi dominanti sono divenute succursali ancora più servili di una prepotenza straniera, in relativo declino, che sta trascinando il nostro paese verso lo sfaldamento pur di preservarsi anche in una modalità ridotta. Queste classi traditrici, soprattutto quando si dichiarano sovraniste o tese al bene comune (o peggio comunistico)che sopravvivono ormai solo per spolpare il proprio popolo e la propria nazione, devono essere superate per aprirci possibilità negli scenari epocali che mutano rapidamente.
Queste élite putrescenti, con i loro concetti logori di democrazia, diritti e libertà, ci stanno indebolendo come società e aggravano la nostra subordinazione a un ordine in decomposizione. Per questo devono essere sconfitte e sostituite, non perché noi possediamo la verità in tasca o portiamo in dono un mondo migliore, ma perché necessitiamo di una nuova forza che diventi forza nuova, capace di abbattere il vecchiume putrescente che ci sta distruggendo. Come Marx non offriamo ricette per le osterie del futuro ma sappiamo che se continua così di questo pauvre pays non resteranno nemmeno le macerie.

"Tuttavia, pur in un contesto totalmente mutato, e dunque senza attese rivoluzionarie, che cosa si crede cerchino di ottenere le ultime Marx rénaissances, che vorrebbero riscoprire il grande pensatore – comunque rivoluzionario nell’epoca in cui visse e operò, soprattutto con la sua teoria - quale banale anticipatore della “globalizzazione”, cioè della generalizzazione del mercato, comunque libero da intralci? Tesi perciò in fondo complementare rispetto al neoliberismo, alla smithiana “mano invisibile”. Ecco a che servono i finti elogiatori di un pensatore già rivoluzionario: a imbalsamarlo, a fargli scoprire “l’acqua calda”, a ridurlo ad un “classico minore”. Si ha a che fare con sostanziali reazionari, non con effettivi elogiatori di Marx; così come simmetricamente reazionari sono quelli che gli fanno scoprire “l’Uomo” tutto proteso alla “Calda Comunità” di intenti (e di sogni che riempiono di gioia i dominanti, nel vedere i finti oppositori dedicarsi al rimbecillimento di alcuni strati giovanili). E citiamo altri ancora, degni compari di “Carlo d’Inghilterra” che annuncia la fine del mondo tra 99 mesi (poteva almeno fare conto tondo a 100!) se tutti - cioè i finti anticapitalisti ingannatori di giovani e inesperti cervelli - non si gettano a capofitto sull’ambientalismo per distogliere l’attenzione dai problemi più impellenti.
Rimango allibito quando vedo alcuni giovani, senz’altro generosi e intelligenti, già rovinati da vecchi tromboni solo in cerca di buoni posticini o forse semplicemente fuori di testa per le delusioni patite. Qui occorre una nuova generazione che faccia infine piazza pulita del vecchio armamentario novecentesco (in realtà, di un secolo fa; in certi casi due); quest’ultimo non deve essere dimenticato, solo utilizzato con assoluta libertà, senza più farsi paralizzare dai “mostri sacri”, intoccabili; e con la sensibilità per l’epoca che sta mutando. La vecchia “lotta di classe”, per favore, in soffitta e in un angolo fuori mano. Idem per C.O. (Classe Operaia). Attenzione massima alla situazione geopolitica, al conflitto multipolare che a mio avviso caratterizzerà almeno i due prossimi decenni; nessun oblio del conflitto per la redistribuzione del reddito, con difesa non del solo lavoro dipendente (salariato degli strati medio-bassi) ma anche dei corrispondenti livelli del lavoro “autonomo”. E speciale attenzione ai settori – economici, politici, culturali – che possano eventualmente favorire una maggiore autonomia del paese (e dell’area della formazione mondiale) in cui siamo situati. Settori che francamente mi sembrano oggi assai deboli, pressoché invisibili; non per questo, però, dobbiamo smettere di “cercarli” poiché ci comportiamo pur sempre da portatori soggettivi, che si assumono la responsabilità di andare anche controcorrente con tutti i possibili rischi di fallimento". (Gianfranco La Grassa)

@@@@

"Tutti gli animali compiono lo sforzo necessario a realizzare lo scopo vitale, da considerarsi però in generale soltanto da un punto di vista puramente biologico. Al massimo, tutti gli animali mettono da parte un certo “di più” in una data stagione per consumarlo in un’altra in cui non ottengono il necessario (per vari motivi). L’essere umano – secondo diverse specie, di cui poi è restata solo quella sapiens (e ancora sapiens) – produce un “di più” proprio “in assoluto”, un “di più” che consente di mutare regimi di vita associata e di scoprire sempre nuove modalità e nuove strumentazioni di ottenere il “da mangiare”.
Tale risultato è ovviamente ottenuto grazie ad un cervello differente dagli altri animali, un cervello dotato di quello che possiamo definire pensiero, ragione. Comunque, un modo d’atteggiarsi non “immediatamente” diretto allo scopo di nutrirsi e riprodursi figliando. C’è capacità, crescente, di ri-flessione sulla propria azione vitale, mutandone le mosse e l’organizzazione, ottenendo così, anche tramite adeguata trasformazione degli strumenti all’uopo necessari, un “di più”, insomma un “plusprodotto”, pur esso sempre crescente. Da qui quindi la speciale storia dell’uomo, che ha carattere evolutivo, cioè trasformativo delle relazioni intercorrenti tra i vari individui e anche di ogni data individualità; e dunque di quello che chiamiamo pensiero o ragione o come preferite. Tutto ciò proprio perché l’animale uomo, dotato di questo particolare lavorio del cervello, non si accontenta (non può accontentarsi) di “mangiare” al solo scopo di riprodurre la sua usuale modalità d’esistenza. Producendo il plusprodotto, sempre più può pensare e accrescerlo; ma sempre più può escogitare nuove modalità e nuovi strumenti per accrescerlo.
Evidentemente, allora, non ci si limita ad accantonarlo in misura sempre maggiore, ma se ne consumano quantità crescenti per quel vivere che possiamo dire quotidiano. Ma ogni processo del genere esige organizzazione, divisione dei compiti, abilità diverse per i diversi strumenti utilizzati. Ed esige, piaccia o non piaccia, una direzione dei processi in questione. E si differenziano le diverse abilità e poi le diverse capacità di comando direzionale e, via via, si vengono formando strutture particolari dei rapporti interindividuali, dei rapporti tra gruppi sociali, ecc. ecc. E la storia evolutiva di queste capacità umane non è dunque disgiunta (non può esserlo) da quella delle strutture dei rapporti sociali.
Ogni miglioramento di quelle che definiamo condizioni di vita (che quindi aumentano via via di “livello”) esige alla fin fine che ci si cominci a chiedere quali sono le caratteristiche dell’ambiente da cui traiamo quanto ci consente di vivere, l’ambiente “naturale” in cui siamo immersi. Dobbiamo conoscerlo per non limitarci ad estrarre da esso ciò che consentirebbe una pura riproduzione della nostra esistenza senza vere trasformazioni, senza crescita del “prodotto” per la vita quotidiana e del “plusprodotto”. E nasce quella conoscenza dell’ambiente a noi “circostante”, che non può che condurre alla sua mutazione (senza la quale non cresce né il “prodotto” né il “plusprodotto”). E alla fine, non troppo presto, nasce quella che chiamiamo scienza. Ma è logico che non possiamo non chiederci chi siamo, come siamo “saltati fuori” conformati secondo specifiche modalità. Prendiamo inoltre piena coscienza che siamo transitori (intanto come individui; come genere e specie si vedrà a tempo debito) e quindi prende vita e aire tutto il pensiero di ciò che potrebbe esserci “dopo”, in una salvifica “altra vita”, e via dicendo. Non posso addentrami in questo, non sono filosofo e non sto scrivendo di questo genere di riflessioni. Nemmeno sono psicologo e dunque non posso nemmeno addentrami in quel tipo di conoscenza che cerca di comprendere com’è “combinato” il nostro cervello soprattutto nei nostri modi di pensare, che spesso si flettono su se stessi e producono anche qui una serie di conseguenze in crescita e variazione.
Debbo tornare al “prodotto necessario” – necessario alla riproduzione della vita quotidiana, ma in continua trasformazione dato il mutare delle relazioni degli individui associati, insomma di quella che definiamo società, soggetta a periodiche mutazioni della forma dei rapporti tra i diversi gruppi di individui – e del “plusprodotto” indispensabile ad accrescere le condizioni di vita, a svolgere conoscenza e scienza, i pensieri su noi stessi e la nostra “sorte futura”, le trasformazioni dei rapporti sociali e anche dei vari modi di pensare e conoscere; e naturalmente a inventare e perfezionare gli strumenti per “produrre” (e “plusprodurre”) sempre di più. Tutto ciò non può avvenire senza la già detta ri-flessione su ogni cosa che stiamo facendo e senza continuo scontro con l’ambiente che ci circonda. Non possiamo lasciarlo al suo “stato naturale”, quello di prima della vita animale, ma soprattutto della vita umana dotata di pensiero e quindi di capacità – che diventa necessità assoluta – di ottenere anche il “plusprodotto”.
Per (tentare di) difendere veramente “l’ambiente”, dovremmo allora eliminare questa “nociva” specie animale, lasciare il mondo terreno agli animali incapaci di pensare e di realizzare un “plusprodotto”. Occorre un suicidio collettivo, sperando di andare tutti insieme nel cosiddetto “al di là”, nell’“altro mondo”, insomma nella supposta e sperata altra dimensione spirituale che dura in eterno senza l’ingombro del corpo e delle sue esigenze, così distruttive della “natura”; che muta essa stessa senza bisogno di aspettare le nostre azioni, le azioni di pigmei che si credono giganti, anzi più ancora Dei! Se qualcuno vuole che si arrivi a questa fine, io sono pronto, mi fregherei le mani al pensiero di andarmene in così numerosa compagnia: “tutti insieme appassionatamente”. Ovviamente scherzo per ironizzare sugli ambientalisti, quelli “gretini” e della “green economy”; in realtà dei personaggi in totale malafede che, influenzando un’umanità in decrescita intellettiva, guadagnano fior di soldi". (Gianfranco La Grassa)

18/10/2025

Il mito originario di una democrazia migliore: Una questione interessante.

Raccolgo il ragionamento dell'amico Gianni, sempre molto stimolante. Non posso che concordare con lui che non esiste, nè sia mai esistita, alcuna arcadia democratica originaria, tanto più se a questa si associa il termine liberale, descritta oggi in una sorta di degenerazione genetica che la stia portando verso una forma di fascio-tecnocrazia. Così pure trovo assai attraente il rovesciamento del concetto corrente di democrazia, associando organicamente ad essa, dominio e sopraffazione, con il loro corollario di distruzione e di morti, piuttosto che interpretare questi, come correntemente si fa, quali accidenti o debolezze della democrazia stessa; la quale, per sua stessa natura, ne rifuggirebbe. In effetti la democrazia non è una categoria dello spirito, ma una prodotto sociale che si determina storicamente. In altre parole è parte di un linguaggio, o se vogliamo, dei molteplici linguaggi di cui le varie società umane, nelle varie epoche, si sono dotate. Era democratica l'Atene di Pericle, dove per vent'anni questi ebbe un potere pressoché assoluto ed incontrastato? Dove si praticava largamente la schiavitù e dove godevano di diritti non tutti gli abitanti della città, ma solo i cittadini riconosciuti come tali? Un'Atene che dominava dispoticamente sulle altre città greche e promuoveva guerre a destra e a manca era una democrazia? Certamente si, seguendo il ragionamento di Gianni, non nonostante guerre e vocazione imperiale, ma insieme a queste o addirittura, grazie a queste. Come dargli torto? Certamente si. Perlappunto, la democrazia non è un moto dell'anima, né un concetto astratto ed astorico, ma un significante che si connette ad altri significanti, formando delle significazioni, cioè delle attribuzioni di senso e valore, storicamente connessi alla vita degli uomini nelle loro specifiche epoche di esistenza. La democrazia non è la semplice copertura di atti di sopraffazione in ogni caso perpetrati, ma è il loro fondamento di senso, la possibilità di affermazione e di durata. La democrazia appartiene ad un linguaggio determinato ed è in esso che va letta. C'è più democrazia nelle beghe di un parlamento o nelle discussioni nel consiglio di affari di una multinazionale? Direi che la risposta venga da sé. Vi è una differenza di democraticità tra le discussioni e le decisioni del gruppo bolscevico ai tempi di Lenin e quelle del gruppo dirigente staliniano? Avrebbe mai potuto l'Unione Sovietica battere la Germania nazista senza l'instaurarsi di un sostanziale dibattito democratico tra Stalin ed i suoi generali? Ma, si potrebbe obiettare, qui si parla di società estese e non di singoli atti sociali. Nel caso io risponderei, balle! Il concetto resta lo stesso e le stesse sono le determinanti del suo funzionamento. Per quanto sia pur vero che la democrazia liberale lancia bombe non nonostante, ma proprio perché democratica, è mio modesto avviso che è tossico lasciare a questa declinazione della democrazia un esclusivo monopolio di significazione perché è in questo preteso monopolio che si struttura la gran parte della sua capacità e volontà di dominio.

18/10/2025

Il mito originario di una democrazia migliore

Analisi a dir poco ingenue continuano ad aleggiare intorno al concetto di democrazia. Provengono, certo, da spiriti che potremmo definire critici, ma ciò non basta a garantire la giustezza del pensiero né la correttezza interpretativa. Le riflessioni che ho letto recentemente di figure come l’ambasciatrice Elena Basile o la filosofa Donatella Di Cesare muovono infatti sempre dal presupposto di un mito dell’origine, ci fu un tempo in cui la democrazia era se non perfetta almeno migliore. Non è così.
Secondo queste analisi, la democrazia sarebbe degenerata negli ultimi decenni a causa del neoliberismo o di altre forme di degradazione, anche tecnocratiche, che l’avrebbero avvicinata a una sorta di fascismo, o tecnofascismo, come lo chiama Di Cesare. In questa prospettiva, la colpa sarebbe sempre di un ritorno della
mentalità fascista che oscurerebbe la presunta bontà e bellezza della democrazia originaria. Balle, il fascismo fu un movimento politico, non una categoria dello spirito che nasce e rinasce a piacimento sotto nuove forme.
Dunque, le cose non stanno come in questa narrazione. Lenin già definiva la democrazia “il miglior involucro per la dittatura”, e anche in letteratura autori attenti hanno descritto la democrazia come un “gioco da banditi”. Perorare oggi il mito di un’Arcadia democratica tradita lungo il percorso storico, che solo più o meno recentemente sarebbe degenerata, significa perdersi dietro un’illusione.
Qualche tempo fa scrissi che democratico è esattamente ciò che accade. La democrazia è il rumore delle bombe che cadono su Gaza, sono le guerre di aggressione americane e occidentali di ieri, di oggi e di domani, sono le oligarchie corrotte e parassitarie europee, è il nostro sistema politico servile e degradante. Democratico era il colonialismo e l'imperialismo, democratica è l'ingerenza umanitaria disumana. La democrazia è tutto questo, con piccole variazioni nel tempo. Osservavo che la democrazia ha sempre commesso gli stessi crimini di qualsiasi sistema forse mistificandoli meglio ma solo perché si è trovata dalla parte dei vincitori. Certi suoi meccanismi ideologici sono ben rodati perché creano maggiori credenze nel popolo, ma questo non cambia la sostanza.
Ecco cosa scrivevo: quando la democrazia censura un pensiero etichettandolo come fake news, e accade sempre più spesso, non è fascista, né nazista, né comunista, è semplicemente se stessa, democrazia pura. Gli scontenti gridano al fascismo, i soddisfatti si dicono immuni dalle dittature del passato, ma la verità è semplice, tutto ciò che accade in democrazia è democratico, anche i soprusi.
Gli americani e i loro servi occidentali “esportano la democrazia” democraticamente, cioè in modo criminale. Se la “più grande democrazia del Medio Oriente”, Israele, distrugge città e massacra civili, è democraticissima, perché la democrazia uccide, violenta, sevizia e stermina. Una democrazia non degenera nel fascismo, nel nazismo o nel comunismo, una democrazia degenera nella democrazia, mostrando il suo vero volto, al di là di moralismi, voti e procedure.
E la libertà di pensiero, di voto, di espressione? Non so che farmene di queste chiacchiere. Si può pensare liberamente anche in una dittatura, il pensiero non si vede e non si sente, e anche quando si imprime da qualche parte, finché non trasmuta in azione non esiste. Il problema nasce quando il pensiero smuove i corpi, allora ogni regime, democratico o meno, interviene.
Se il mio pensiero si traducesse in una forza collettiva che azionasse masse contro le roccaforti del servilismo nazionale, per esempio con sabotaggi contro le basi militari americane in Italia, la mia sorte sarebbe la prigione o la sparizione. Se cercassi di rovesciare il governo con metodi che l’Occidente ha usato in Venezuela o in Ucraina, appellandomi a servizi stranieri, subirei lo stesso trattamento dei traditori, solo che, nelle democrazie, i traditori sono già dentro lo Stato.
Smettiamola dunque di alimentare questo mito democratico, questa leggenda di un passato incorrotto che non è mai esistito. La democrazia è una forma di condizionamento straniero, culturale, militare e politico, forgiata dall’impero americano per tenerci in catene. O la critica si fa radicale e sensata, oppure resta solo romanticismo inutile. Non inventiamoci formule letterarie, usiamo il metodo galileiano, guardiamo alla "natura" sociale, è già davanti a noi. Dietro alla democrazia ci sono gruppi dominanti decadenti che per il nostro Paese sono devastanti, questo per quello che ci riguarda come italiani. Ma la tendenza dissolutiva sembra colpire tutto l'Occidente a gradi diversi.

Elena Basile

“Le democrazie liberali del secondo dopoguerra si sono trasformate in oligarchie che tendono all’autoritarismo. Come nel lager descritto da Primo Levi, in una struttura piramidale, di assoluto conformismo e allineamento al potere, ciascun gruppo sociale cerca di sopraffare quello appena inferiore e si identica con l’altro appena superiore. La dimensione collettiva è stata cancellata. Prevalgono la giungla e la competizione in un individualismo sfrenato. Le nostre invisibili SS sono i potentati economici, che includono la lobby delle armi e di Israele. La nostra realtà è più complessa e meno nitida del lager. L’essenza spirituale tuttavia è già presente.”

Donatella Di Cesare

“L’erosione della democrazia non fa anche solo dissimulare, il processo in corso da tempo. C’è chi allude a un ultimo atto, quasi fosse inevitabile prenderne congedo, e chi avanza invece l’esigenza di rafforzare l’impalcatura, il fondamento interno (regole e procedure) e la corazza esterna (attrezzature militari). Ma la democrazia non è un regime, non è basata su un pilastro stabile. Proprio la sua flessibilità e la sua apertura sono invece baluardi contro ogni violenza che, dentro come fuori, potrebbe svuotarla ed esautorarla. (…) Per indicare questa sospensione tecnica della democrazia, che si coniuga con un rilancio della sovranità in chiave etnica, si potrebbe parlare di tecnofascismo.”

14/10/2025

La Storia alterna tragedia e farsa, ma quando quest’ultima diventa frequente vuol dire che siamo alla fine di un’epoca.
La più grande democrazia del Medio Oriente, qualsiasi cosa significhi (forse che ammazza grandemente, con maggiore impunità delle altre), stermina quasi 70 mila palestinesi per ritorsione alla (re)azione di Hamas, che aveva fatto circa 1.200 morti. Hamas non mi sta per niente simpatica, vorrei ricordare che appoggiò il rovesciamento di Gheddafi facendo il gioco degli occidentali.
Tuttavia, il rapporto tra le uccisioni farebbe invidia ai nazisti, incapaci di tanta crudeltà.
Dopo questa ecatombe si giunge a una specie di pace, che non potrà essere duratura per le evidenti scie di sangue che si allungano da decenni, garantita dagli USA che riforniscono Israele di armi. Trump, che ha almeno il merito di aver per ora messo fine al genocidio, dichiara in un discorso alla Knesset che gli USA hanno il più potente esercito al mondo, con armi che nessuno ha mai sognato, salvo essere incapaci di produrre e replicare al momento i missili russi inintercettabili.
Poi afferma: “Abbiamo molte armi e le abbiamo date a Israele”. E aggiunge: “Bibi (Netanyahu) mi ha chiamato spesso: puoi darmi quest’arma, quell’altra e un’altra ancora?”. Partono applausi e risate del parlamento della più grande democrazia del Medio Oriente.
Quello che fa Israele con queste armi è usarle contro i civili palestinesi. E loro ridono e battono le mani. Ma se chi viene umiliato, sterminato e deriso reagisce, si ricordano solo di quello che in minima parte hanno subito, e mai di ciò che sproporzionatamente hanno fatto con “le armi migliori del mondo”.
E poi si ritrovano tutti insieme, i leader della democrazia, per celebrarsi facendosi battute e vicendevoli convenevoli: "Meloni è bellissima" ma inutile come tutti i capi europei. Non sono divertenti, sono tutti buffoni criminali e quando giunge al potere uno molto più pagliaccio della media ma un po' meno delinquente di chi lo ha preceduto siamo quasi costretti a tirare un sospiro di sollievo. Noi, mentre chi non sta nella nostra parte di mondo continua ad esalare l'ultimo respiro, contando i suoi cadaveri che saranno meno numerosi della volta precedente ma sempre cadaveri.

Poveri i popoli presi di mira dai NobelOrmai nessuno rifiuta più nulla, soprattutto un premio Nobel. Eppure, in passato,...
12/10/2025

Poveri i popoli presi di mira dai Nobel

Ormai nessuno rifiuta più nulla, soprattutto un premio Nobel. Eppure, in passato, quando le spine dorsali di intellettuali e uomini politici erano ancora dritte, accadeva, basti pensare a Sartre, Shaw o Lê Đức Thọ. A maggior ragione oggi, anche un riconoscimento immeritato, o meritato per demeriti, viene accolto senza esitazione. Quello conferito a María Corina Machado per la Pace è l’ennesima provocazione occidentale, proveniente da chi cerca la pace quanto il demonio l’acqua santa. Si tratta, ancora una volta, di tracciare strade per destabilizzare il Venezuela, portando in auge i soliti burattini filoamericani pronti a tornare utili al momento opportuno.
Parliamo di una delle solite figure dell’opposizione venezuelana, create dal nulla, perché nulla è la loro reale consistenza e influenza politica, donne e uomini la cui sopravvivenza dipende dal favore delle cosiddette democrazie. Gli Stati Uniti tirano sempre fuori questi conigli e conigliette dal cilindro per tentare di capovolgere l’ordine costituito di Paesi che non si allineano alla loro tracotanza. Dopo il fallimento del fantoccio Guaidó, questa è la nuova maschera di cui l’Occidente intende servirsi per liberarsi di Maduro.
Il Nobel viene così assegnato a una signora che, in passato, invocava un intervento militare esterno per rovesciare il legittimo governo venezuelano. In sostanza, si premiano agenti provocatori che, con i loro movimenti politici, alimentano, come ha osservato qualcuno, “un clima di caos attraverso azioni di sabotaggio e terrorismo”. Dopo aver incassato la notizia della sua “nobelizzazione”, la Machado ha lanciato un forte appello affinché la transizione verso la democrazia in Venezuela si realizzi immediatamente. Ma con “immediatamente” intende anche con la violenza? A giudicare dai suoi trascorsi, tutto lascia pensare di sì. Il Nobel per la Pace ad una così fa ridere, era meglio darlo a Trump che almeno è il vero capo dei farabutti.
Non vi tedierò con i soliti schemi e le strategie che questi presunti democratici mettono in campo per scatenare le loro “rivoluzioni di sistema”, che abbiamo visto all’opera più volte nel mondo su istigazione statunitense, intelligenti pauca. Poveri i popoli che vengono presi di mira dai Nobel, faranno rovine e le chiameranno civiltà.

08/10/2025

Anche le elezioni calabresi ci consegnano un dato inequivocabile, gli italiani hanno smesso di votare perché non riconoscono più alla politica autorevolezza, capacità di rispondere ai problemi, spinta al cambiamento. Nessuno ha più voglia di affidare il proprio futuro al custode del cimitero. I cittadini non sono disaffezionati, semplicemente ritengono inutili queste cerimonie quinquennali, o anticipate, che non risolvono nulla.
Hanno imparato a stare lontani non solo dalle urne, ma dai rituali stessi della democrazia formale in tutte le sue declinazioni, perché le forze politiche, appaiono come debolezze speculari. Ciò vale anche per altri organismi un tempo definiti cinghie di trasmissione di dette organizzazioni e ora soltanto apparati burocratici autoreferenziali. Tutti questi fingono di scontrarsi su questioni marginali, ma in realtà sono sempre d’accordo sul non mettere mai in discussione il quadro generale di sopraffazione e soperchieria cui la nazione è costretta.
Chi vince o chi perde, chi ha torto o ragione, dunque, conta poco, perché a perdere e a soccombere è sempre il Paese. Il fatto che gli italiani non votino non è soltanto segno di apatia, lo è in qualche caso, ma è sintomo di una coscienza collettiva in negativo che può divenire consapevolezza positiva, sono le chance di uno spazio aperto e inesplorato, di un vuoto in cui si muovono particelle pronte a dar vita a qualcosa di nuovo, un brodo di energia ancora informe ma potenzialmente creativo. Il “partito del non voto” può ancora essere eroso dai meccanismi elettorali, oppure trasformarsi nella sorpresa di un’inedita e dirompente scoperta.
Da decenni i partiti hanno abdicato alla politica, piegandosi a forze soverchianti e accettando ogni compromesso pur di sopravvivere, scaricandone le conseguenze sul popolo. Non è più un problema di bipolarismo, anche i movimenti che si presentano come “terze vie” rispetto a centrodestra e centrosinistra non raccolgono consenso, perché in un sistema fondato sulla neutralizzazione dei reali interessi generali non c’è alveo per far discendere alcuna alternativa credibile.
Dalle elezioni, oggi, non può venire nulla di buono. Lo sappiamo e lo sanno. Nulla può nascere da chi si candida solo per farsi vedere a scadenze prestabilite. È l’intero sistema a essere contestato, attraverso il distacco e l’allontanamento dai riti stanchi e inutili di una democrazia che ripete sempre lo stesso ritornello, chiunque sia al governo e dietro l'ingranaggio di stato che funziona (ma non funziona) senza elezione.
E in una democrazia occupata dalle basi di un Paese straniero, nessuno può cambiare davvero nulla finché non avrà cacciato gli usurpatori dal proprio suolo. Quelle postazioni e infiltrazioni ad ogni livello esistevano anche prima, certo, ma la geopolitica del Novecento era segnata dalla presenza dell’URSS che, pur senza consentire di uscire dall’orbita americana, permetteva almeno di ricavarsi margini di autonomia nelle pieghe dei blocchi contrapposti. Oggi non esiste più niente di tutto questo, e proprio per questo abbattere determinate barriere dovrebbe essere il primo punto di qualsiasi programma politico autentico.
Una vera forza di cambiamento, dunque, non può che nascere fuori da ogni schema, con parole d’ordine chiare e idee non negoziabili, con una strategia che non esclude nessun mezzo per arrivare all'obiettivo. Una forza che non segua nessuno, che non tema di dire l’indicibile, perché non deve nulla ai cliché del proprio tempo, né alle subordinazioni di chi accetta l’ordine imposto dalle relazioni di potere consolidate. Un drappello di uomini capace di guidare la nazione e trascinare le masse senza chiedere permesso a nessuno, che impugni il timone dello Stato e dei suoi corpi con uno slancio nuovo, perché non ha nulla da perdere, essendo tutto già perduto, e tutto da riconquistare.
Si tratta, certo, di condizioni di possibilità che maturano lentamente e che non è affatto detto si realizzino nella direzione sperata, ma il solo fatto che possano esistere e concretizzarsi spinge a tentare. Stiamo correndo troppo, vero, ma è l’epoca stessa ad andare tragicamente veloce.

Indirizzo

Rome

Notifiche

Lasciando la tua email puoi essere il primo a sapere quando Conflitti E Strategie pubblica notizie e promozioni. Il tuo indirizzo email non verrà utilizzato per nessun altro scopo e potrai annullare l'iscrizione in qualsiasi momento.

Contatta L'azienda

Invia un messaggio a Conflitti E Strategie:

Condividi