
29/06/2025
Alcuni nostri amici ci sono cascati, hanno convinto mamma e papà a versare 20k di retta. Garantendosi così il lusso di procrastinare per un altro paio d'anni le proprie velleità letterarie, mentre ai loro genitori quei 20k hanno assicurato una bella mano di bianco sulla coscienza, quella di chi è in grado di appaltare il problema "mio figlio vuole fare lo scrittore" a una scuola di non si sa bene cosa. Alle feste di fine Salone ci siamo imbucati anche noi, in tutti questi anni, per vedere cosa succedeva nel "tempio della scrittura e dello stroytelling". Ebbene c'erano tutti, ma proprio tutti. La Scuola Holden è infatti ormai un'istituzione, ammirata pubblicamente da chi ambisce a entrarci o a lavorarci, ma sbertucciata sempre in privato, in primo luogo dagli ex-alunni. In questi giorni è finita in una tempesta di m***a per una "confessione" di una sua ex alunna, che lamentava un clima insopportabile di competizione, piaggeria e arrivismo sfrontato, il tutto per una retta annuale considerevole che promette, dopo due anni di frequentazione, uno scontrino firmato da Baricco in persona e, a qualche fortunat*, la possibilità di pubblicare con la casa editrice di Cattelan junior (quello che ha deciso di fare l'editore perché "leggere è anche divertente").
A noi la Scuola Holden ha sempre insospettito, non tanto per le ambigue questioni amministrative, o per il prestigioso palmares di botulinati che si alternano dietro le cattedre; non ci convince soprattutto l'idea che la scrittura si possa insegnare, o meglio che si possa imparare. La narrativa è un'arte, e in quanto tale può essere decostruita e ricomposta a piacere, e una scuola può insegnare come maneggiarne gli elementi costituenti. Ma ci avvisa Alfio Squillaci, autore del pamphlet "Chiudiamo le scuole di scrittura creativa", che bisogna sempre tenere "in onesta avvertenza che un conto è sapere tutte le mosse del tango, un conto è ballarlo".