Capital Radio

Capital Radio Pagina Ufficiale di
CAPITAL RADIO

L'UNICO SOSTEGNO AI CAREGIVER ERA IL REDDITO DI CITTADINANZA, MA IL GOVERNO SI E' AFFRETTATO A CANCELLARLOdi Massimilian...
12/11/2025

L'UNICO SOSTEGNO AI CAREGIVER ERA IL REDDITO DI CITTADINANZA, MA IL GOVERNO SI E' AFFRETTATO A CANCELLARLO
di Massimiliano Di Fede

7 milioni di caregiver italiani rimasto senza tutele

LA CORTINA FUMOGENA DI MARIJA ZACHAROVAdi Massimiliano Di Federedazione@capitalradio.infowww.capitalradio.infoIl crollo ...
04/11/2025

LA CORTINA FUMOGENA DI MARIJA ZACHAROVA
di Massimiliano Di Fede
[email protected]
www.capitalradio.info

Il crollo di una porzione della storica Torre dei Conti a Roma non è stato solo un dramma strutturale o un lutto per il patrimonio culturale: è stato, anzitutto, la tragedia di Octay Stroici, un operaio di 66 anni deceduto sul cantiere. Eppure, per gran parte del dibattito politico e mediatico, la notizia più rilevante non è stata la sua morte, né le possibili cause sistemiche, ma una squallida battuta da social media.
Mentre il corpo del signor Stroici giaceva ancora sotto le macerie, e i soccorritori lottavano contro il tempo e i detriti, il dibattito si è polarizzato sulle dichiarazioni di Maria Zakharova, portavoce del ministero degli Esteri russo, che ha cinicamente collegato il crollo ai fondi che l'Italia destinerebbe all'Ucraina.

La reazione è stata immediata e prevedibile: indignazione di facciata, convocazione dell'ambasciatore, dichiarazioni di "volgarità" e "sciacallaggio". Un coro unanime di sdegno, utile a monopolizzare i titoli e a confermare le proprie posizioni geopolitiche.

Il problema non è condannare la Zakharova, le cui parole sono palesemente strumentali. Il problema è l'incredibile proporzione data a questa polemica, che ha funzionato come una cortina fumogena, nascondendo la vera, inquietante, domanda.
La domanda fondamentale, la cartina di tornasole della nostra società e della vera efficacia politica, è rimasta in sordina, soffocata dal clamore diplomatico: Cosa ci faceva un uomo di 66 anni su un'impalcatura in un cantiere edile così delicato?

A 66 anni, in un Paese civile, si dovrebbe godere di una pensione dignitosa, specialmente dopo una vita spesa in un mestiere usurante come l'edilizia. La sua presenza in quel cantiere solleva interrogativi drammatici sulla flessibilità del lavoro imposta, sulla precarietà e sulle pensioni troppo basse o non ancora raggiunte che costringono anziani lavoratori a rischiare la vita per un salario.

Il dibattito che conta non è con Mosca, ma con la realtà dei morti sul lavoro, che in Italia continuano ad essere una piaga, spesso relegata nelle pagine di cronaca locale.
Il restauro della Torre dei Conti era finanziato con i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), un'opportunità storica che, tuttavia, ha una scadenza ferrea: 2026.

Questa scadenza genera una corsa frenetica all'appalto e al subappalto, una vera e propria cascata di contratti dove la sicurezza è il primo elemento a essere sacrificato sull'altare della velocità e del massimo ribasso. I risultati di cronaca – l'inchiesta parla già di omicidio colposo e del coinvolgimento di sei ditte – suggeriscono che i meccanismi di controllo e vigilanza, soprattutto in presenza di fondi europei che impongono ritmi serrati, siano tragicamente insufficienti.
Mentre i media e la politica si scagliavano contro una battuta russa, ignoravano il grido di allarme che arrivava dalle macerie:

Perché il sistema pensionistico e del lavoro costringe un 66enne a rischiare la vita in un cantiere?

Quali controlli sono stati effettuati, e con quale frequenza, su un appalto PNRR con una catena così lunga di subappalti?

Qual è l'impatto reale della fretta di spendere i fondi PNRR sulla sicurezza dei lavoratori?

La nostra classe dirigente e il nostro sistema informativo hanno scelto la polemica estera facile, un fuoco di paglia che garantisce titoli e interazioni, anziché affrontare le fragilità strutturali del Paese: l'insicurezza sul lavoro, la precarietà degli anziani lavoratori e i rischi connessi alla gestione accelerata dei fondi europei.

La morte di Octay Stroici merita un dibattito serio, non la distrazione di una puerile lite diplomatica. È ora che l'attenzione torni dalle parole di Mosca alle ombre sui nostri cantieri.

PIAZZA PULITA: IL CONFRONTO TRA CARLO CALENDA E JEFFREY SACHS E LA MISERIA DEL DIBATTITO POLITICO ITALIANO di Massimilia...
26/10/2025

PIAZZA PULITA: IL CONFRONTO TRA CARLO CALENDA E JEFFREY SACHS E LA MISERIA DEL DIBATTITO POLITICO ITALIANO
di Massimiliano Di Fede
[email protected]
www.capitalradio.info

Nella puntata del 23 Ottobre di Piazza Pulita su LA7, Corrado Formigli ha invitato Carlo Calenda, senatore e fondatore di Azione, e il prof. Jeffrey Sachs, noto economista statunitense di fama mondiale. Argomento della serata: la guerra russo-ucraina.

Adesso, l’argomento, per chi ha voglia di capirlo davvero , è complesso e andrebbe studiato con un approccio storico-geopolitico, partendo almeno dalla disgregazione dell’Unione Sovietica dopo la caduta del muro di Berlino. Certo, si potrebbe risalire ancora più indietro, ai tempi di Stalin, fino all’avvento del nazismo, periodo in cui gli ucraini ebbero un ruolo fondamentale nel sostenere le truppe di Hi**er durante la campagna di Russia.

Oppure, si può affrontare l’argomento alla maniera di Carlo Calenda, secondo la formula riduttiva e moralistica del “c’è un aggredito e c’è un aggressore”, utilizzata come mantra ogni volta che si parla di Ucraina nei talk show italiani.

Ma il confronto che ne è scaturito è stato tra i più impietosi: Calenda, nei panni del bullo del quartiere Parioli, ha approfittato delle difficoltà di Sachs nel seguire la traduzione simultanea per interromperlo di continuo, arrivando persino a dargli del bugiardo e del “putiniano”, senza fornire una sola argomentazione di merito. Sachs, visibilmente sorpreso, è rimasto basito davanti a un comportamento più degno di una rissa da bar che di un confronto televisivo su temi internazionali. Il momento più surreale è stato quando Calenda ha tirato in ballo, del tutto fuori contesto, perfino la questione dei vaccini.

Per comprendere la sproporzione del confronto, basta ricordare brevemente il curriculum di Jeffrey Sachs: dopo il dottorato, ha insegnato per oltre vent’anni ad Harvard, diventando uno dei più giovani professori di ruolo nella storia dell’università; è stato Direttore dell’Earth Institute dal 2002 al 2016 e attualmente è Professore e Direttore del Centro per lo Sviluppo Sostenibile alla Columbia University; è membro dell’Accademia Pontificia delle Scienze Sociali in Vaticano e di numerose altre istituzioni accademiche.

Se non bastasse, ha ricoperto il ruolo di Consigliere speciale di tre Segretari generali dell’ONU (Kofi Annan, Ban Ki-moon e António Guterres) e ha fornito consulenze economiche a numerosi governi, compreso quello ucraino nel 2014, occupandosi di transizioni economiche e lotta all’iperinflazione.
Autore di libri tradotti in tutto il mondo, tra cui "La fine della povertà", "Common Wealth" e "Il prezzo della civiltà", è stato nominato due volte tra le 100 persone più influenti al mondo dal Time e indicato dall’Economist come uno dei tre economisti viventi più influenti dell’ultimo decennio.

Il curriculum di Carlo Calenda, invece, è ben noto. Un percorso liceale un po’ travagliato, una laurea in giurisprudenza alla Sapienza, un’infanzia agiata tra i salotti dei Parioli, un debutto televisivo da bambino nello sceneggiato Cuore, diretto dal nonno Luigi Comencini. Grazie ai contatti familiari, approda prima in Ferrari e poi in Confindustria, fino alla carriera politica: viceministro, poi ministro nel governo Renzi. Di lui, a Taranto, si ricordano ancora le scelte discutibili nella gestione della crisi ILVA, a discapito della salute dei cittadini e dell’ambiente.

Non stupisce quindi che il Foglio di Claudio Cerasa (testata che ha percepito oltre 66 milioni di euro di contributi pubblici dal 1997 a oggi) abbia titolato entusiasta: “Come si affronta un propagandista. Principi saldi e parole di verità: Calenda mette in riga il putiniano Sachs.”

Ecco dunque la fotografia del nostro dibattito pubblico: un politico paracadutato dai privilegi familiari che accusa un accademico di fama mondiale di essere “putiniano” solo perché non si allinea alla narrativa dominante.

Si può essere in disaccordo con le tesi di Jeffrey Sachs, fondate comunque su documenti ufficiali e dati verificabili, ma ridurre tutto a un insulto è la dimostrazione della decadenza del confronto politico e mediatico in Italia. In fondo, non è la prima volta che nel nostro Paese chi porta complessità viene zittito da chi preferisce lo slogan. Ma la differenza, come ha dimostrato quella puntata di Piazza Pulita, è la stessa che passa tra chi costruisce ponti e chi, non sapendo come attraversarli, li brucia per farsi un po’ di luce.

La serpe in senoDi Marco TravaglioChissà se l’arresto del terrorista di Stato ucraino per l’attentato ai gasdotti Nord S...
22/08/2025

La serpe in seno
Di Marco Travaglio

Chissà se l’arresto del terrorista di Stato ucraino per l’attentato ai gasdotti Nord Stream sveglierà l’Europa sul suo peggiore pericolo. Che non viene da Mosca, ma da Kiev: è il nazionalismo ucraino, con punte di fascismo e nazismo, che la Nato alleva, foraggia e arma dal 2014. Una serpe in seno che rovesciò Yanukovich e ricattò Poroshenko e Zelensky per impedire che attuassero gli accordi di Minsk su tregua e autonomia in Donbass. E – ora che si parla di pace – ci espone a minacce mortali con i suoi colpi di coda. I gasdotti russo-tedeschi Nord Stream 1 e 2 li avviano Putin e Schröder per portare il gas in Europa: costati 21 miliardi di dollari alla russa Gazprom in società con due compagnie tedesche, una francese, una austriaca e l’anglo-olandese Shell, inaugurati nel 2011 da Merkel e Medvedev, sono da sempre osteggiati da Usa, Kiev e Stati baltici. Il 7.2.22 Biden minaccia: “Se la Russia invade l’Ucraina prometto che non ci sarà più un Nord Stream 2. Vi porremo fine”. Detto, fatto. Il 26.9.22 quattro esplosioni sottomarine al largo di Svezia e Danimarca fanno saltare tre condotte dei gasdotti su quatro. Il prezzo del gas va alle stelle. Usa e Ucraina accusano Putin di essersi sabotato da solo. Ma l’ex ministro degli Esteri polacco Sikorski twitta: “Thank you Usa”. Victoria Nuland, vicesegretaria di Stato Usa, esulta: “Sono molto soddisfatta, il gasdotto è un rottame in fondo al mare”. Il Pulitzer Seymour Hersh accusa Cia e Casa Bianca. La Procura tedesca individua sette sommozzatori delle forze speciali ucraine agli ordini del generale Zaluzhny, che usarono uno yacht noleggiato da un’azienda polacca per piazzare sul fondale un quintale di tritolo. Il 14.8.24 i giudici tedeschi spiccano un mandato di cattura per Volodymyr Zhuravlov: l’ucraino si era rifugiato in Polonia ed è appena fuggito in Ucraina sull’auto diplomatica della sua ambasciata. Varsavia è accusata di sabotare le indagini per coprire la sua complicità. Ma Berlino precisa che “nulla cambia nel sostegno a Kiev”: continuerà ad armare e a finanziare i mandanti del più grave attentato da decenni a un’infrastruttura europea.

Un giorno forse sapremo se Zelensky sapesse o se i suoi militari e 007 l’avessero tenuto all’oscuro. Il che sarebbe pure peggio: confermerebbe che sono fuori controllo. Se finirà la guerra, l’Ucraina avrà un governo ancor più nazionalista (senza più gli elettori del Donbass filorusso) e l’esercito più grande e armato d’Europa. Se qualche testa calda ostile alla pace provocasse la Russia con un altro attentato per scatenarne la reazione, una Ue legata a Kiev da patti tipo articolo 5 Nato (o peggio) dovrebbe intervenire. E ci ritroveremmo da un giorno all’altro nella terza guerra mondiale. Pensiamoci, finché siamo in tempo.

Indirizzo

Sampieri
97018

Notifiche

Lasciando la tua email puoi essere il primo a sapere quando Capital Radio pubblica notizie e promozioni. Il tuo indirizzo email non verrà utilizzato per nessun altro scopo e potrai annullare l'iscrizione in qualsiasi momento.

Condividi

Digitare