17/09/2025
Tra l’8 e il 10 settembre 2025, il Nepal ha vissuto una delle crisi politiche più gravi della sua storia recente. Tutto è iniziato quando il governo ha imposto un divieto nazionale su oltre venti piattaforme social, tra cui Facebook, Instagram, WhatsApp e YouTube. Per la Generazione Z nepalese, cresciuta con questi strumenti come spazi di comunicazione, informazione e attivismo, la misura è stata percepita come un attacco diretto alla libertà di espressione.
In poche ore, le piazze di Kathmandu e delle principali città si sono riempite di studenti e giovani professionisti. Secondo Reuters, già l’8 settembre i primi scontri con la polizia hanno provocato almeno 19 morti e oltre 300 feriti. Nei giorni successivi, le proteste si sono estese, portando all’incendio di edifici governativi, alla chiusura temporanea dell’aeroporto internazionale e perfino a evasioni di massa dalle carceri, come riportato da The Economic Times (9 settembre 2025).
Il 9 settembre, sotto la pressione delle piazze e con il Paese in stato di assedio, il primo ministro KP Sharma Oli si è dimesso (The New York Times, 10 settembre 2025). Nonostante ciò, la mobilitazione non si è fermata: la richiesta non era più soltanto il ripristino dei social, ma un cambiamento sistemico. È in questo contesto che ha preso forza la campagna virale contro i cosiddetti “Nepo Kids”, figli dei politici accusati di vivere di privilegi in un Paese dove la disoccupazione giovanile resta altissima (CNN, 10 settembre 2025).
Il 10 settembre, l’esercito ha imposto il coprifuoco nazionale con i carri armati a presidiare le strade. Secondo le stime raccolte da The New York Times e BBC, il bilancio finale parla di oltre 25 vittime, più di 600 feriti e decine di arresti. Il governo ha infine revocato il divieto dei social, ma le richieste di riforma politica sono rimaste inevase, lasciando il Nepal in una fase di transizione fragile e incerta.
Questa vicenda ci mostra due verità: i social media sono ormai una vera infrastruttura democratica per le nuove generazioni, capaci di abbattere barriere e amplificare voci altrimenti invisibili. Ma ci ricorda anche quanto l’attivismo digitale sia vulnerabile, quando incontra repressione statale, violenza e difficoltà nel tradurre la protesta di piazza in riforme concrete.
Come sottolinea il working paper di Jyoti Koirala, Gen Z Protests and Role of Social Media in Nepal (September 8–10, 2025) (University of Cambridge, 2025), questo caso non si chiude con la caduta di un premier o con il ritorno dei social. Al contrario, apre la strada a nuove domande di ricerca: come confrontare il movimento nepalese con altre mobilitazioni giovanili nel mondo? Quali sono le esperienze vissute dai giovani manifestanti sotto repressione digitale? E quali implicazioni politiche avrà questa ondata di attivismo per la democrazia in Nepal nei prossimi anni?