Le Bellezze e i Misteri di Napoli e della Campania

Le Bellezze e i Misteri di Napoli e della  Campania Bellezze e Misteri di Napoli e Campania

07/11/2025

"Dunque, una giornalista francese un po' saccente e sciovinista mi intervista e mi chiede: ambienterebbe un suo romanzo a ? Non credo, rispondo; è una città meravigliosa ma non la conosco bene, e credo che uno scrittore debba parlare di luoghi che conosce. Be', fa lei: potrebbe essere interessante, per una volta, raccontare di una città così internazionale, e priva della criminalità organizzata. E io dico: se ho la fortuna di poter ambientare le mie storie nel posto che per me è il più bello del mondo, perché dovrei cambiare? Lei si fa una risata e dice: mi scusi, ma in che cosa sarebbe più bella di Parigi? Vede, signora, è semplice. Parigi, che è splendida, l'hanno fatta gli uomini; Napoli l'ha fatta Dio".

Maurizio de Giovanni 💙🔥

07/11/2025
HEIC ARTEMISIA (Qui giace Artemisia)www.gentileschiartemisia.itChiesa di San Giovanni Battista dei Fiorentini (Napoli)Fo...
06/11/2025

HEIC ARTEMISIA (Qui giace Artemisia)

www.gentileschiartemisia.it

Chiesa di San Giovanni Battista dei Fiorentini (Napoli)

Forse Artemisia Gentileschi morì durante l’epidemia di peste che colpì Napoli nel 1656.

L’artista fu tumulata presso la Chiesa di San Giovanni Battista dei Fiorentini a Napoli, sotto una lapide con inciso Heic Artemisia (Qui giace Artemisia).

HEIC ARTEMISIA.

La sua sepoltura e la lapide sono andate perdute.

Chiesa di San Giovanni Battista dei Fiorentini
Stato: Italia
Regione: Campania
Località: Napoli
Religione: cattolica di rito romano
Titolare: Giovanni Battista
Arcidiocesi Napoli
Fondatore: Isabella di Chiaromonte
Inizio costruzione: 1461
(ricostruita nella seconda metà del XX secolo)
Demolizione 1953

La chiesa di San Giovanni Battista dei Fiorentini è una chiesa monumentale di Napoli: originariamente ubicata nell'antico rione Ca**tà, fu demolita negli anni cinquanta e ricostruita al Vomero.

Si ergeva presso l'antica via dei Fiorentini (il cui tracciato oggi è assai ridotto rispetto all'originario) nell'area oggi occupata da palazzo Fernandez.

La chiesa di riferimento della numerosa comunità dei fiorentini ebbe un primo stanziamento nel XIII secolo, nella zona del porto vicino alla porta del Caputo (o dei Caputi).

Nel 1557 i Fiorentini si trasferirono nella chiesa di San Vincenzo.

Questa chiesa fu fondata nel 1461 (anche se alcuni storici propongono date diverse, come il D'Aloe che riporta il 1418, e il canonico Galante, che riporta il 1448) da Isabella di Chiaromonte, regina di Napoli e moglie di Ferrante d'Aragona, e affidata ai frati domenicani.

La regina commissionò anche un quadro di San Vincenzo Ferrer, uno dei più gloriosi monaci dell'ordine domenicano.

I fiorentini stanziatisi in questo edificio lo intitolarono a San Giovanni Battista.

La chiesa possedeva un piccolo porticato rinascimentale e una cupola priva di decorazioni e l'interno era abbellito da otto statue di apostoli collocate nei pilastri tra le cappelle laterali, sette della quali sono attribuite a Michelangelo Naccherino e alla sua bottega (una di queste è opera di Francesco Cassano), mentre l'ottava è stata scolpita da Pietro Bernini nel 1601; inoltre vi erano molti quadri dei toscani (come del resto erano sia il Naccherino che il Bernini) Giovanni Balducci e Marco Pino.

Fu ristrutturata nel 1580, nel 1624, dopo il terremoto del 1732 e infine nel 1845.

Quest'ultimo restauro, realizzato dall'architetto Gaetano Fazzini, apportò alla chiesa lo stile neoclassico, di moda in quel periodo, ma rimosse il porticato, impostando la facciata a bugne lisce.

La chiesa dei Fiorentini non fu inclusa nei lavori di ricostruzione fascista della zona della Corsea che si spinsero fin sotto l'edificio, che fu affiancato, alla fine degli anni trenta, dal nuovo palazzo Fernandez, storica sede della Standa, progettato da Ferdinando Chiaromonte.

Nel 1937 era stato presentato il progetto della seconda fase di ricostruzione dell'antico rione San Giuseppe che interessava la zona dei Guantai Nuovi.

Stavolta la chiesa fu annoverata tra gli edifici da demolire e il cardinale Alessio Ascalesi, nello stesso anno, ne decretò la chiusura, ma la guerra interruppe l'inizio dei lavori.

Durante il prosieguo della lavori di costruzione del nuovo rione Ca**tà, promosso dalla giunta di Achille Lauro, il tempio tra il 1952 e il 1953 fu demolito con la giustificazione dei danni subiti per i bombardamenti su Napoli della seconda guerra mondiale:

questa decisione causò la scomparsa dei resti:

della pittrice Artemisia Gentileschi, che era sepolta sotto una semplice lapide con l'epitaffio Heic Arthemisia,

ed anche dei resti di Bernardo Tanucci, il celebre statista toscano e ministro di Carlo III, che riposavano nell'ipogeo al centro della crociera.

Poco prima della demolizione la chiesa subì un crollo parziale.

Nel 1950 la società CERC aveva ottenuto l'autorizzazione per prelevare gli elementi architettonici degni di essere salvati.
In seguito a particolari ricerche storiche è stato appurato che la chiesa non era stata minimamente toccata dalle bombe, ma che la persistenza del tempio comprometteva l'opera edilizia allora in svolgimento.

Il palazzo Fernandez fu ampliato sul lato meridionale, occupando l'area della chiesa e in particolare il primo tratto della via dei Fiorentini, che fu inglobato nel cortile interno.

La chiesa fu ricostruita nel quartiere Arenella in via Pacio Bertini, vicino a piazza degli Artisti, e consacrata nel 1959 dal cardinale Alfonso Castaldo.

A essa fu assegnata parte del patrimonio artistico del vecchio luogo di culto, in particolare nove quadri del XVI secolo del Pino e del Balducci.

Le statue degli apostoli, invece, che erano state rimosse dalla chiesa dei Fiorentini nel 1942, per preservarle dai bombardamenti, furono portate alla basilica dell'Incoronata Madre del Buon Consiglio, a Capodimonte, e collocate sull'altare maggiore.

L'altare è adornato dal dipinto raffigurante il Battesimo di Cristo, dipinto dallo stesso Marco Pino.

Dal 21 novembre 1997 la chiesa ospita le spoglie della Serva di Dio Angela Iacobellis, traslate dalla ca****la cimiteriale di Napoli.

Nel 2000, all'apice della facciata è stata collocata una nuova statua, raffigurante il Battista, opera di Alfredo Scotti, mentre nel 2008 l'intera facciata ha subìto un rimaneggiamento.

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STORIA DELLA CHIESA

La Chiesa di San Giovanni Battista dei Fiorentini a Napoli è una chiesa monumentale situata nel quartiere Arenella, precisamente in Via Pacio Bertini, vicino a Piazza degli Artisti. La chiesa attuale è stata ricostruita dopo che la precedente struttura fu demolita negli anni '50 per far spazio al Palazzo Fernandez.

*Storia della Chiesa*

La chiesa originale fu costruita nel XVI secolo per la comunità fiorentina di Napoli e subì diverse ristrutturazioni nel corso dei secoli. Tuttavia, a causa dei progetti di ricostruzione del Rione Ca**tà, la chiesa fu demolita negli anni '50 nonostante fosse ancora in buone condizioni. La demolizione fu contestata da molti, tra cui intellettuali e la comunità fiorentina, che tentarono di salvarla.

*La Chiesa Oggi*

La nuova chiesa fu consacrata nel 1959 e ha mantenuto alcune opere d'arte della precedente struttura, tra cui nove quadri del XVI secolo di Marco Pino e Giovanni Balducci. La chiesa è sede della parrocchia di San Giovanni Battista dei Fiorentini e offre messe e servizi religiosi.

*Orari delle Messe*

- Lunedì-Venerdì: 9:00, 18:00
- Sabato: 9:00, 18:00
- Domenica: 9:00, 10:30, 12:00, 18:00

*Contatti*

- Parrocchia San Giovanni Battista dei Fiorentini: 081/5787180
- [email protected]
- Piazza degli Artisti, 1, 80128 Napoli

https://storienapoli.it/2021/04/19/san-giovanni-battista-dei-fiorentini-chiesa/

https://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_di_San_Giovanni_Battista_dei_Fiorentini_(Napoli)

https://www.parrocchiasangiovannideifiorentini.it/

https://www.chiesadinapoli.it/wd-annuario-enti/decanati-1571666374/decanato-05-21-parrocchie-vomero-arenella-camaldoli-colli-aminei-1306/s-giovanni-battista-dei-fiorentini-341/

Tutto Totò, principe di Napoli«Ogni volta che devo parlare di questa meravigliosa città divento napolantico. Vuol dire c...
31/10/2025

Tutto Totò, principe di Napoli

«Ogni volta che devo parlare di questa meravigliosa città divento napolantico. Vuol dire che mi immalinconisco, divento sentimentale».

Oppure: «Il povero Dante aveva bisogno di scegliere un dialetto per farlo diventare lingua (italiana), e non potendo scegliere il napoletano che era già lingua, si arrangiò con il fiorentino».

Totò dixit.

A conferma di un amore reciproco: del Principe verso la città e viceversa.

A questo indissolubile sentimento è dedicata la mostra «Totò e la sua Napoli», da cui sono tratte le citazioni riportate sopra, aperta al pubblico da oggi al 25 gennaio nella sala Belvedere del palazzo reale.

Ed è davvero un bel vedere: grazie alla chiarezza del percorso espositivo; agli inediti e alle rarità in evidenza; ai video, ospitati in due salottini nerofumo; e al dettaglio delle targhe esplicative, in italiano e in inglese.

L'esposizione fa parte delle celebrazioni promosse dal Comitato nazionale istituito per festeggiare i 2500 anni di Partenope.

A organizzarla è stato Alessandro Nicosia, con 40 anni di esperienza nel settore.

Al suo fianco, Marino Niola: l'illustre antropologo ha messo la propria sapienza al servizio di un uomo-artista-maschera che «appartiene al mondo.

Al pari di Chaplin, è universale.

Questa grandezza gli ha permesso di oltrepassare gli angusti confini del caratterista. Tra l'altro, Totò incarnò lo spirito degli italiani nel dopoguerra, figlio di una città che per prima si liberò dai nazisti.

La risposta data all'ufficiale tedesco nel film "I due colonnelli" ne è esempio iconico: "Si ricordi che io ho carta bianca"... "E si pulisca il culo!"».

Origini, teatro, donne, ossessione per le radici aristocratiche, canzoni, cinema, poesie, «Un maestro insostituibile» (sui legami con amici e colleghi conterranei), «Il saluto della sua Napoli» (sui tre funerali con cui il mondo dello spettacolo e la terra madre gli resero omaggio): lungo queste sezioni si dipana l'itinerario nella galassia Totò, tra manoscritti e dattiloscritti, giornali illustrati, immagini, locandine, spartiti, abiti di scena (innanzitutto l'identitario tight con bombetta annessa, in una umbratile bacheca).

«Ovviamente», precisa Nicosia, «abbiamo scelto soltanto il materiale che esalta la relazione tra lui e la città.

Per esempio, in una sala campeggia il video, tratto da "Tutto Totò", registrato dalla Rai, in cui il principe si improvvisa guida ed esemplare cicerone, accompagnando i turisti in giro tra le bellezze natie, su un bus scoperto».

Le origini significano il rione Sanità: ed ecco il video di Totò pazzariello in «L'oro di Napoli»; la casa in cui nacque, le foto d'epoca del quartiere; il suo ritorno per partecipare alla Festa del Monacone, organizzata dall'amico Gino Campolongo, lo stesso che gli dedicò il terzo commiato, in occasione del trigesimo; ma ci sono anche le donne amate, a cominciare da Liliana Castagnola, il cui suicidio indelebilmente lo segnò; e un delizioso ritratto da giovanissimo in divisa militare, in groppa a un cavalluccio di legno; sul registro di leva, il suo nome materno, Antonio Clemente, nella preistoria del futuro de Curtis.

Poi, il teatro e gli spettacoli napoletani: con la spalla Eduardo Passarelli; con Guglielmo Inglese nell'avanspettacolo; al fianco di Michele Galdieri, autore di riviste anni 40; e lo spartito del «Vicolo», che Totò ascoltò da Nino Taranto al teatro Orfeo.

A fine serata gli chiese di poterla cantare. Con lui la canzone divenne «Vipera», pietra miliare della loro profonda amicizia.

Ed eccole, le canzoni: spartiti e testi originali: «Margellina blu» (sì, con la «a»), «'E rampicante», «Piccerella, picceré'», «Scettico napulitano», da spulciare cullati, in sottofondo, dalla «Malafemmena» di Roberto Murolo.

Quindi, il cinema, con documenti dei 16 lungometraggi ambientati a Napoli, un appunto manoscritto di Cesare Zavattini su «San Giovanni decollato»; la sceneggiatura inedita di «Totò Pellegrino» (1950), mai girato; un disegno di scena di «Totò a colori», il suo piano di lavorazione e il costume originale di Pinocchio, in buona compagnia assieme agli abiti di «Miseria e nobiltà» e di «Un turco napoletano».

Le sue poesie: anche qui documenti originali e un inedito, altro carnale atto d'amore: «Quanno me trovo all'estero,/ e chesto spisso capita,/ parlanno m'addimannano/ se je songhe italiano./ "No, no - risponghe subito -/ Je songhe nato a Napule.../ Je so' napulitano!"/ Allora e cose cagneno,/ e femmene sorridono/ m'acchiappano, m'afferrano/ pe' me senti' e parlà'».

Non manca un focus sull'araldica, passione nutrita dalla brama di riscatto e legittimazione: i fascicoli che attestano la rigorosa ricerca delle origini e il titolo; attestazioni dell'Archivio storico; bozzetti dello stemma gentilizio e pensare che lo stesso principe, sdoppiatosi nel proprio alter-ego - Totò - riuscì a disprezzare il blasone, sommergendolo con i versi di «'A livella».

di Luciano Giannini

Le anime pezzentelle di Santa LuciellaNell'ipogeo del teschio con le orecchie scoperto sotto l'intonaco durante il resta...
29/10/2025

Le anime pezzentelle di Santa Luciella

Nell'ipogeo del teschio con le orecchie scoperto sotto l'intonaco durante il restauro un dipinto murale.

Ci sono un anziano, un monaco e due anime del purgatorio a rafforzare la centralità del culto dei morti

Si fa sentire la storia a Santa Luciella, nel cimitero sotterraneo:

lì dove è custodito il teschio con le orecchie, per questo considerato in grado di ascoltare e riferire meglio le preghiere dei napoletani.

Non lontano dal venerato messaggero tra il mondo dei vivi e dei morti, è stata trovata su un muro la raffigurazione di due anime del purgatorio, anche chiamate anime pezzentelle, destinatarie degli Sos.

Il dipinto risale al XVIII secolo: scoperto sotto l'intonaco, per caso, in queste settimane è al centro del restauro grazie al sostegno della Fondazione Banco di Napoli, dopo i primi interventi che già da un anno hanno reso visibile la corona di spine e parte di una lancia.

« In basso, sotto la croce, sono venute alla luce le due figure raramente viste accanto ai simboli della passione di Cristo»

dice Massimo Faella, presidente di Respiriamo Arte, l'associazione che, nel 2019, ha riaperto la chiesa dopo 40 anni di abbandono, contando, in quel caso, su un altro finanziamento da parte di istituzioni culturali, il Pio Monte della Misericordia.

«Con Angela Rogliani e Simona Trudi, storiche socie, decisi di tentare l'impresa, colpito da un libro-reportage di Paolo Barbuto che si era occupato su "Il Mattino" di questo luogo straordinario, eppure negato»:

Faella mostra le foto di «prima» e del «dopo». E indica le ultime scoperte che stanno prendendo forma sotto gli occhi dei turisti (60.000 l'anno scorso), visto che il restauro continua durante le visite guidate.

« A sinistra si distingue un anziano con le mani in petto, in segno di devozione e rispetto», spiega.

«A destra c'è un monaco che si riconosce dalla calvizie e ha le mani alzate: posa tipica delle anime pezzentelle».

« Dopo una serie di indagini», aggiunge Teresa Peluso, direttore tecnico Artes Restauro e servizi per l'Arte,

« abbiamo rimosso le incrostazioni per arrivare allo strato pittorico originario e far emergere il dipinto murale».

Chiaramente, sotto la sorveglianza della sovrintendenza.

« L'opera sta piano piano riemergendo».

Resta da completare la pulitura e il consolidamento.

« Poi gli interventi di stuccatura e la reintegrazione pittorica», in modo da rendere leggibile l'intera scena.

« La splendida opera così viene restituita a tutti e rafforza il racconto della storia del culto delle anime pezzentelle a Santa Luciella»,

dice soddisfatta Bianca Stranieri, storica dell'arte che ha messo in contatto l'associazione con la fondazione Banco di Napoli, promuovendo di fatto l'atteso recupero, e spera che la collaborazione possa proseguire nella vicina chiesa dell'Arte della Seta dei Santi Filippo e Giacomo, un ulteriore pezzo del patrimonio della città gestito dai ragazzi dell'associazione.

Non solo. «Dai saggi appena effettuati nell'ipogeo, è chiaro che anche le altre pareti erano state dipinte nei secoli scorsi», sospira Faella.

« Sarebbe bello poter scoprire il resto, ovvero l'intero ciclo pittorico».

di Maria Pirro

27/10/2025
27/10/2025
19/10/2025

Indirizzo

San Giuseppe Vesuviano
80047

Telefono

+393394414422

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