20/08/2025
DON TOMMASO LATRONICO: IL SACERDOTE CHE EDUCAVA LA LIBERTÀ.
Ogni anno l’emittente televisiva RTN è invitata dalla comunità lucana di Nova Siri, vicina al movimento di Comunione e Liberazione, a partecipare a momenti di incontro e di riflessione che rappresentano una preziosa occasione di arricchimento spirituale e culturale. È proprio in questo contesto che emerge con forza la figura di don Tommaso Latronico, sacerdote che, con la sua testimonianza di fede autentica e la sua profonda spiritualità, continua a illuminare la vita della comunità e di quanti si accostano al suo insegnamento.
C’è una santità che non fa rumore ma cambia il destino delle persone: quella di don Tommaso Latronico (1948–1993), lucano di Nova Siri, sacerdote, educatore, amico di tanti giovani nel Mezzogiorno e a Roma. Della sua figura oggi la Chiesa sta formalmente vagliando la fama di santità con l’apertura dell’inchiesta diocesana per la causa di beatificazione: un segno che la memoria ecclesiale riconosce in lui una vita spesa “in grado eroico” dentro l’ordinario. Nato a Nova Siri, formatosi tra Potenza, Salerno e l’Almo Collegio Capranica, don Tommaso fu ordinato a Roma il 28 giugno 1973; all’ordinazione era presente Aldo Moro, con cui mantenne un rapporto personale discreto. Negli stessi anni incontrò don Luigi Giussani e il carisma di Comunione e Liberazione, con cui collaborò a lungo nel Centro-Sud e negli atenei romani. Morì a Roma il 20 luglio 1993. Questi tratti, oggi solidamente documentati, delineano un prete di rara intensità umana, capace di far compagnia alla fede dei giovani e degli adulti. Negli ultimi mesi sono emersi anche materiali d’archivio (come una lettera del 1974 indirizzata ad Aldo Moro) che rivelano la sua attenzione alla vita pubblica come luogo di testimonianza e dialogo. Non politicismo, ma ca**tà intellettuale: accompagnare le coscienze perché il Vangelo illumini il giudizio e la responsabilità. Chi lo ha conosciuto ricorda un prete che non “occupava” le coscienze, ma le destava. In termini teologico-pastorali, questa è una cifra eminentemente cristologica: non sostituirsi all’incontro con Cristo, ma introdurre ad esso. È la logica dell’“avvenimento” – tanto cara a Giussani – per cui la fede non è un’etica senza volto, bensì un incontro che genera un nuovo soggetto morale. Per questo don Tommaso fu inviato, spesso, dove c’era bisogno di ricominciare: scuole, università, oratori, persino i luoghi feriti dal terremoto del 1980. La missione educativa non “aggiungeva” un’attività, era il modo con cui viveva la ca**tà pastorale. La sua predicazione e i suoi appunti mostrano la coscienza non come recinto del soggettivismo, ma come santuario in cui lo Spirito ricorda all’uomo la verità amata. Non è la coscienza a “creare” il bene; lo riconosce nella relazione con Cristo presente nella Chiesa. Di qui l’insistenza sull’ascolto della Parola, sui sacramenti e sulla compagnia cristiana come criteri oggettivi che educano il giudizio. È un’impostazione in profonda sintonia con il magistero che – proprio nel 1993, anno della sua morte – consegnerà alla Chiesa Veritatis splendor, dove Giovanni Paolo II indica la verità morale come bene liberante e la coscienza come “testimone” di questa verità, non come sua fonte. Nella sua cura dei giovani, la libertà è proposta come capacità di adesione al vero e al bene. Non “faccio ciò che voglio”, ma “posso volere il Bene conosciuto e amato”. Perciò l’educazione è decisiva: senza un contesto di testimonianza, la libertà si smarrisce nel capriccio o nella paura. Don Tommaso ripeteva, con i gesti più che con le parole, che la libertà matura quando fa esperienza di un amore preveniente: Cristo in una compagnia viva. Niente moralismi, nessuna scorciatoia efficientista: la pazienza, l’amicizia, la fedeltà agli impegni, l’uso sobrio dei beni, la disponibilità al sacrificio – specie nel dolore della malattia – erano in lui pratica quotidiana, cioè “habitus”. È un’impostazione chiaramente tomista: non precetti disincarnati, ma una forma di vita buona che si impara per imitazione e grazia. La sua stessa morte, consumata nella malattia, appare così come atto morale compiuto: un “sì” perseverante al Signore che conduce, nella debolezza, alla perfezione della ca**tà. Il suo rapporto con il mondo della cultura e della politica – mai ideologico – nasceva dall’idea che la ca**tà include la ragione: aiutare a giudicare la realtà secondo la fede. Educare a una “unità di vita” fu la sua cifra: non due etiche (una privata e una pubblica), ma un’unica sequela che genera opere e responsabilità. I racconti di amici e vescovi concordano: don Tommaso vinceva resistendo alla tentazione del protagonismo. Preferiva l’incontro personale, la confessione ben curata, la predicazione che parte da ciò che accade. Spesso lo si vede in mezzo ai ragazzi, all’aperto, con la Scrittura in mano: immagine sobria e potentissima di un ministero che non si rifugia in sacrestia, ma porta il Vangelo dove la vita pulsa. Questa prossimità spiega la “fama di santità” che ha attraversato i decenni fino alle tappe recenti della causa. In un tempo che scambia la libertà per indifferenza, don Tommaso ci ricorda che educare è introdurre alla realtà tutta intera, offrendo criteri e compagnia. È il grande compito della Chiesa: generare persone capaci di scelta buona e stabile. La moralità cristiana non nasce da regole astratte, ma dall’essere generati: la paternità spirituale rende “possibile” il bene perché testimonia che il bene è desiderabile. Per molti, lui è stato questo. Il sacerdote non fa politica, ma genera soggetti liberi e responsabili. Anche la lettera a Moro – segno di una coscienza vigile – dice che la ca**tà cristiana ama il destino del Paese e dialoga senza paura. L’ultima malattia, vissuta senza clamore, consegna la chiave della sua teologia morale: la perfezione cristiana è la ca**tà che permane nella prova. È lì che la virtù diventa santità. La vita di don Tommaso Latronico è un piccolo trattato di teologia morale “in atto”: coscienza illuminata, libertà che corrisponde, virtù coltivate nella compagnia cristiana, ca**tà che pensa e costruisce. Se oggi la Chiesa ne indaga le virtù eroiche, è perché tanti possono testimoniare di essere stati introdotti – grazie a lui – alla gioia rude e bellissima di una vita buona. In tempi di smarrimento, è una luce gentile che non acceca, ma orienta.