29/09/2025
𝐌𝐚𝐝𝐝𝐚𝐥𝐞𝐧𝐚, 𝐢𝐥 𝐜𝐮𝐨𝐫𝐞 𝐝𝐢 𝐃𝐨𝐫𝐠𝐚𝐥𝐢 𝐜𝐡𝐞 𝐡𝐚 𝐝𝐨𝐧𝐚𝐭𝐨 𝐚𝐦𝐨𝐫𝐞 𝐟𝐢𝐧𝐨 𝐚𝐥𝐥’𝐮𝐥𝐭𝐢𝐦𝐨 𝐫𝐞𝐬𝐩𝐢𝐫𝐨
Lunedì sera tardi la dottoressa Maddalena Carta ha chiamato il fratello Gianmaria dal suo studio di medico di famiglia a Dorgali, nel Nuorese, chiedendogli di andarla a prendere perché non si sentiva bene.
Lei e il fratello condividevano la stanza, nella casa dei genitori: la mamma Lina ha un negozio di abbigliamento e merceria, il padre è in pensione. Quando Gianmaria la va a prendere, Maddalena si è già fatta un’iniezione di Plasil e sta un po’ meglio. Il mattino dopo dorme fino a tardi, va in studio per fare le prescrizioni ai pazienti. Torna tardi a casa per pranzo e dopo aver mangiato qualcosa si mette a letto. Gianmaria le suggerisce di non andare in ambulatorio di pomeriggio, ma lei dice che non può abbandonare i pazienti: altri due medici sono in malattia.
Intorno alle 21 chiama perché è peggiorata. Arriva la sua ex dottoressa e le fa un’endovena di Plasil e una flebo per idratarla. Peggiora. La portano al Pronto soccorso di Nuoro, dove avrà il primo arresto cardiaco. Mercoledì mattina con l’elisoccorso la trasferiscono al Brotzu di Cagliari, dove c’è un macchinario al quale possono collegare cuore e polmoni, ma già di sera i medici dicono a Gianmaria che non si può fare più nulla, anche il cervello è compromesso.
Giovedì mattina arrivano i genitori e insieme decidono di staccare la spina: gli organi, purtroppo, non si possono donare. Maddalena viene dichiarata morta alle 16.30.
La mamma Lina ha detto:
«Quando l’ho vista mi è sembrato di trovarmi davanti a un libro già scritto, non mi spaventava più nulla. Ho capito che mia figlia voleva andarsene. Del resto, lei nei suoi 38 anni di vita ha donato amore come altri non riusciranno nemmeno in 150 anni. Lei lo ha concentrato, come i bonsai».
«Non voleva fare altro da quando era una bambina e fingeva di auscultare il torace delle sue bambole. A volte la trovavo che scriveva su dei foglietti di carta, le chiedevo cosa stesse facendo e rispondeva che stava preparando le ricette per le medicine dei suoi pazienti».
«Prima era attratta dall’oculistica, poi invece per la specializzazione ha capito che c’era un’emergenza con i medici di base. Ci ha detto che serviva più lì il suo aiuto. E così sarebbe anche riuscita a tornare a casa, perché in provincia di Nuoro c’è una carenza molto forte».
«Seguiva 1800 pazienti, ma si occupava anche di quelli che non avevano medico oppure dei bambini, perché aveva lavorato anche da un pediatra. Con lei non piangevano mai, quando gli informatori medici le lasciavano piccoli omaggi come le penne o altre cose, lei li raccoglieva in una scatola e li distribuiva ai più piccoli».
«E' stato tutto talmente veloce che nemmeno i bravissimi medici del Brotzu, pieni di umanità, hanno capito cosa l’abbia uccisa. Ovviamente il sovraccarico di lavoro era troppo anche per lei, che lo faceva sempre volentieri. Tornava a casa a mezzanotte, all’una, alle due, l’aspettavamo tutti svegli. Forse questo peso lei non lo sentiva perché lo faceva con piacere, ma il sovraccarico di ore e ore di lavoro corrode anche una persona forte».
«Al funerale c'erano tutti: i compaesani, i volontari della Croce Verde e della Croce Azzurra con i quali aveva lavorato, C’era il coro, tanti preti, la sindaca, La sua bara era avvolta da una nuvola di affetto. Era come se fosse mancata una loro sorella. Ho pensato: figlia mia, tu di amore ne hai dato tanto, ma ne hai anche ricevuto tanto».
( La Luce che Non Vedi)