08/04/2025
San Φιλάρετος 8 Aprile
Premettiamo che quando si fa memoria di un santo la cui santità si è manifestata nell'ortodossia sarebbe opportuno, non pubblicare immagini di un monaco certamente latino e, senza nessun pregiudizio per alcuno, pure un po' in carne. Ricordiamo che San Philaretos si nutriva di erba quel tanto che bastava per sopravvivere, come qualunque ortodosso sa, il santo era di costituzione magrissima.
Ma d'altronde, oggi, non c'è nulla di cui stupirsi. Ti chiediamo perdono San Philaretos, ma questo tributo ti è dovuto per amore della verità.
8 Aprile, la Chiesa fa memoria di San Filarete. (Philaretos)
Di lui sappiamo che "la sua patria terrestre è stata la Sicilia e fu tra l’innumerevole moltitudine di santi, che l’Occidente ha generato quali astri spirituali, imitando in questo l’Oriente.
In questa terra benedetta, attorno al 1020, da genitori che si distinguevano per l’ortodossia, nacque un bambino che fu battezzato Filippo: si può credere in onore del santo ancor oggi tra i più venerati in Sicilia e nel resto della Grande Grecia, il misterioso Filippo il Cacciaspiriti di Agira – EN.
Egli era ormai passato dalla fanciullezza alla giovinezza, aveva diciotto anni quando reggeva il trono di Costantinopoli Michele [IV il Paflagone 1034\41]. In quel tempo la Sicilia era occupata da barbari africani, ma con la grande battaglia di Draghina (oggi: Troina, EN) del 1040, l’esercito romano inviato da Costantinopoli liberò Sicilia e Grande Grecia da un incubo che durava ormai dall’831, l’anno in cui i Saraceni avevano iniziato a terrorizzare l’Isola e la lunga terra dei Romani, com’essi chiamavano la Pen*sola.
Nella Regione di Demenna (la Sicilia occidentale oggi conosciuta come Valdèmone), va posta la patria di Filippo \ Filarete e d’altri santi.
Questa è la zona che più a lungo ebbe a resistere ai Saraceni, ma è anche la zona in cui i Romani – i cristiani ortodossi – dell’Italia Meridionale più a lungo contrastarono, alleandosi proprio ai Saraceni, la penetrazione dei Franchi.
Dalla Regione di Demenna la famiglia di Filippo – tutti agricoltori – si spostò allora nella Regione delle Saline, il versante tirrenico della provincia di Reggio Calabria, venendo a stabilirsi a Sinopoli, un piccolo centro agricolo della fertile Piana di Gioia Tauro.
La Regione di Demenna, in cui Filippo era cresciuto, era ricca di centri monastici (primeggiava tra tutti il Monastero di San Filippo il Cacciaspiriti, in Agira – EN), molti dei quali pienamente attivi anche negli anni difficili delle scorrerie saracene, specialmente nella zona di Fragalà – Brolo (ME). A confronto, tuttavia, la Regione delle Saline era una sconfinata Tebaide: nonostante le barbare e secolari distruzioni – anche documentarie – operate dai franco-cattolici, si hanno prove certe dell’esistenza di almeno cento monasteri in un raggio di pochi chilometri. Il più famoso tra tutti era il Monastero Imperiale fondato nell’884 circa da sant’Elia di Enna (o il Nuovo): a questo s’indirizzò Filippo, che qui lasciava scorrere dagli occhi fiumi di lacrime: era ispirato, infatti, dalla grazia divina che viene dall’alto e la sua mente era illuminata da una luce spirituale; la sua anima era infiammata, i suoi precordi erano accesi come fuoco; e teneva questi grandi sentimenti nascosti nel cuore. Infatti, non poteva svelare ai genitori i suoi propositi perché temeva che questi volessero impedirgli di ritirarsi dal mondo. Si dedicò a frequenti digiuni e a veglie… s’immaginava gli eremi, guardava alle caverne, aveva davanti agli occhi le cime dei monti, pensava alle spelonche, voleva raggiungere i rifugi dei monaci, desiderava praticare l’esicasmo, pensava al ritiro dal mondo, ardeva dal desiderio della vita solitaria.
Aveva 25 anni, il contadino siciliano, quando l’igumeno del Monastero Imperiale di Sant’Elia il Nuovo, “il famoso Oreste”, mutandogli nome, lo chiamò Filarete e lo rivestì del santo e angelico abito.
Filarete fu dapprima impegnato nell’allevamento dei buoi e dei cavalli del monastero, ma ben presto fu costretto ad abbandonare la solitudine dell’Aspromonte: i Normanni avevano invaso la Calabria, ponendo il loro Quartiere Generale proprio nella Regione delle Saline.
I patti firmati a Melfi il 23 agosto 1059 da Roberto il Guiscardo e papa Nicola II erano chiari. Il Papato avrebbe riconosciuto l’invasione dei Normanni, dando loro una patente di legalità, ma essi avrebbero dovuto strappare al Patriarcato Ecumenico, a Costantinopoli, la popolazione – ortodossa – dell’Italia Meridionale e sottometterla alla Chiesa (franco) cattolica. Oltre a massacri di massa e deportazioni da una parte all’altra del neonato Regno normanno, gli invasori applicarono – a guerra ancora in corso – un piano ben congegnato. Tutti i monasteri, ortodossi, dell’Italia Meridionale – tutti, nessuno escluso – furono assegnati in dono o a vescovi latini insediati dai Normanni oppure a conventi realizzati facendo affluire, in tutta fretta, religiosi Benedettini dal Nord Europa. Nel 1062, vivente san Filarete, il Monastero di Sant’Elia il Nuovo venne assegnato in proprietà a un’abbazia benedettina di fresco aperta a Sant’Eufemia (Lamezia –VV) e poi, nel 1133, ceduto al vescovo cattolico di Messina. Nel giro di pochi anni, migliaia di monaci ortodossi diventarono – direttamente o indirettamente – coloni, servi, delle nuove istituzioni latine (vale a dire: cattoliche) create in Italia Meridionale dagli invasori.
Filarete lasciò la pace dei boschi e ritornò al Monastero, dedicandosi alle cure dell’orto e vivendo in una capanna.
Quest’uomo meraviglioso … parlava poco, e le poche parole che diceva erano frutto di una ponderata riflessione in merito al disprezzo e all’abbandono di tutto ciò che v’è nel mondo. Degli esicasti diceva che non dovevano affannarsi per le cose del mondo, affinché – diceva – con il daffare non perdessero il loro stesso appellativo...
Il Grande riteneva opportuno ammonire con le sue soavi esortazioni e con i suoi divini insegnamenti anche coloro che vivevano nel mondo: li esortava ad essere prudenti, a non essere invidiosi e a praticare la madre di tutte le virtù, l’elemosina… Ma soprattutto, ammoniva tutti perché venerassero un solo Dio in tre ipostasi, ognuna con caratteristiche proprie; invitava altresì ad attenersi alle definizioni dei Padri divini e a non fare alcuna innovazione in materia di fede.
Giunto all’età di 56 anni – attorno al 1076 – Filarete, dopo una breve malattia, s’addormentò nel Signore. Fu seppellito con ogni onore, ma presto dimenticato: era solo un umile ortolano. Trascorsi circa due anni, a una donna del circondario – cieca per encefalite – apparve... il divino e taumaturgo Elia che le dice: “Perché stai qui, inutilmente, a vegliare invano, e correndo grave pericolo? Alzati, e recati subito al sepolcro di san Filarete, dove avrai la guarigione degli occhi che tanto desideri”. Ella rimase sbigottita per la prodigiosa visione; ma non poteva sapere se fosse vero quello che il santo le aveva detto, poiché non le risultava che in quel luogo vi fosse alcun santo di nome Filarete. E siccome la visione non le apparve una sola volta, ma ben tre volte, e il comando che il santo le dava era sempre più perentorio e più chiaro, la donna … chiedeva a quelli che incontrava: “Si venera in questo luogo un santo di nome Filarete, a me sconosciuto, a voi forse notissimo?”. E quelli, colpiti dalla novità del nome, assicuravano di non conoscerlo affatto. E lei, disperata, si trovava in grandissima difficoltà a causa del mistero dell’apparizione, e non sapeva assolutamente che cosa potesse fare in proposito. Sul far dell’alba … la donna si rivolse ai monaci che erano riuniti in chiesa per innalzare, come al solito, gli inni mattutini e, stando in mezzo a loro, piangendo e lamentandosi, interrogava ciascuno di loro circa la sua vicenda e con grande pietà raccontava a tutti la visione che aveva avuto. E anche quelli, colpiti dalla novità del nome dicevano alla donna di non sapere di quale santo potesse trattarsi. Ma uno di loro, quello che aveva visto la luce divina sulla tomba, agitando le mani e il capo, esclamò: “Credete, padri! Il fratello Filarete, il giardiniere, è santo!”… E quella, guidata da quelli che conoscevano il posto, giunse al sepolcro del santo, prese un po’ della polvere che era sulla tomba e se la mise sugli occhi. Come sono grandi e meravigliose le tue opere, o Signore! Subito quel velo letale che li chiudeva come una pelle, fu del tutto strappato e lasciò le pupille della donna perfettamente sane, senza la più piccola traccia della malattia, e splendenti come prima del morbo.
Il clamore del fatto fu tale che accorsero altri malati, e si moltiplicarono i miracoli: nel volgere di pochi anni, il Monastero Imperiale delle Saline fu conosciuto come dei santi Elia e Filarete. L’umile e sconosciuto contadino era stato associato, nella devozione del popolo credente, al grande asceta ch’era stato intimo di patriarchi, ammiragli, vescovi, e dell’imperatore Leone VI.
Per chi volesse leggere integralmente:
https://oodegr.com/tradizione/tradizione_index/vitesanti/filarete.htm?fbclid=IwY2xjawJg6npleHRuA2FlbQIxMQABHqcQtqRLheca2XLEwMPZzm3r09RbZPFXFSJr8Pjzp3idVmdWEXcmT75GQgsY_aem_WWySQYDwomwkP7BOjDZVXw