06/10/2025
Selvaggio edizioni (Mind&heart). Di prossima uscita editoriale Il racconto "Alle falde del Monte Erbano" di Maria Orefice. Un affresco vibrante e commovente della vita contadina nel Sannio, tra la fine dell’Ottocento e la metà del Novecento, che si dipana attraverso la storia di Francesco Orefice e della sua famiglia. Con una narrazione densa di dettagli e intrisa di un profondo senso di autenticità, l’autrice tesse un’ode alla resilienza, alla dignità e ai sogni ostinati di chi, come recita la citazione iniziale di Silvio Negro, trova nella terra e nelle stagioni i veri padroni della propria esistenza. La storia, radicata nel borgo di Fontanavecchia, si snoda a Faicchio (bn), tra le fatiche quotidiane, le sfide personali e le conquiste collettive, offrendo un ritratto intimo e universale di una comunità che vive in simbiosi con la natura e con le sue tradizioni. L’autrice utilizza un linguaggio che riflette la semplicità e la schiettezza dei suoi personaggi, ma non rinuncia a inserti colti, come le citazioni di Verga, Leopardi, Manzoni e persino passi biblici, che arricchiscono la narrazione senza appesantirla. Questi riferimenti letterari, insieme alle descrizioni di opere ingegneristiche come il sismografo di Luigi Palmieri o la funicolare del Vesuvio, conferiscono al racconto una dimensione culturale che trascende il microcosmo contadino, collegandolo a un contesto storico più ampio. Il cuore del racconto è l’esaltazione della dignità umana e della perseveranza. Francesco Orefice incarna l’archetipo dell’uomo semplice che, con tenacia e ingegno, supera le barriere imposte dalla sua condizione sociale. La sua lotta per imparare a scrivere, il coraggio dimostrato durante il servizio militare, l’invenzione della valvola di sicurezza per le bombole di gas e il progetto idraulico per il convento delle Suore degli Angeli sono esempi di come la volontà possa trasformare la realtà, anche in un contesto di povertà e diffidenza.Un altro tema centrale è il rapporto con la terra, che emerge non solo come fonte di sostentamento ma come metafora della vita stessa. La terra, con i suoi ritmi e le sue esigenze, è una presenza costante che plasma i personaggi, ma non li imprigiona: Francesco, pur legato alla zappa, dimostra che la penna e l’ingegno possono convivere con il lavoro manuale, aprendo nuove prospettive per sé e per la comunità. La citazione di Silvio Negro, che apre il racconto, sottolinea proprio questa libertà intrinseca dei contadini, che rispondono solo alle leggi della natura e non a quelle imposte dagli uomini.L’amore, in particolare quello tra Francesco e Diamante, è un altro pilastro della narrazione. La loro storia, ostacolata dalle differenze di ceto, si sviluppa come un dialogo tra due anime che trovano nella cultura e nel rispetto reciproco un terreno comune. Le lettere che si scambiano durante il servizio militare di Francesco, impregnate di poesia e quotidianità, sono tra i momenti più toccanti del racconto, dimostrando come l’amore possa essere un ponte tra mondi diversi.Infine, il tema del dolore e della perdita, incarnato dalla tragica morte del figlio Giuseppe, aggiunge una nota di profonda umanità. La sofferenza di Francesco e Diamante non è mai esibita, ma vissuta con una dignità silenziosa che rende i personaggi ancora più autentici e vicini al lettore. E siamo sempre al lavoro... dal Sannio verso l'Oltre.