31/08/2025
1. Tra principato vescovile e contea tirolese (e diocesi di Feltre)
Lo scenario in cui si muove Giacomo Castelrotto, autore della fonte che presentiamo, è quello che si apre a est di Trento o, cambiando angolo visuale, a nord e a nord ovest di Feltre, in sostanza la Valsugana, con la conca del Tesino e la Valle di Primiero: un’area politicamente composita, nelle cui numerose fessurazioni si affastellano giurisdizioni spesso difficili da descrivere sincronicamente o da inseguire nella diacronia, dove lo scontro secolare tra varie potenze territoriali, alpine e padane, crea spazi per signorie dalla diversa caratura giurisdizionale; area infine che solo nel corso del Trecento inoltrato lascia intravedere le linee evolutive di un processo che si consoliderà nel secolo successivo, vale a dire il passaggio di molte di quelle giurisdizioni nelle mani di famiglie tirolesi o comunque gravitanti nell’area imperiale. Il passaggio avverrà comunque in forme tali da impedire la creazione di confini o steccati, anche ‘solo’ immateriali, insuperabili. La frontiera (tra principato vescovile e contea tirolese, tra questa e le signorie venete e viscontea prima e la repubblica di Venezia poi) resta in queste contrade estremamente porosa.
L’osservatore che a metà ‘500 avesse guardato dal centro del principato vescovile di Trento verso est, oltre Pergine e, ancora, oltre Levico, per spingersi nella Valsugana propriamente detta, si sarebbe trovato di fronte a una situazione politica e istituzionale ormai consolidata da qualche decennio, almeno da quando gli ultimi echi delle guerre veneto-imperiali si erano definitivamente spenti. Vicine e lontane nello stesso tempo, da Trento e dai quadri politici di riferimento del principato vescovile, le giurisdizioni valsuganotte apparivano unite (e ancor oggi la vallata mantiene questa sua caratteristica) dal loro costituire un’area di passaggio e di collegamento non secondaria tra il Nord tirolese e germanico e la pianura veneta, “area di strada” fin dall’alto medioevo spesso alternativa a quella della valle dell’Adige.
Cerchiamo di vedere la vallata a volo d’uccello. Pergine, soggetta a capitani tirolesi fin dal 1280, era passata nuovamente sotto il dominio vescovile trentino nel 1531 grazie allo scambio con Bolzano propiziato dal cardinale Bernardo Cles (che non era però riuscito a impedire che le prestazioni fiscali e militari restassero riservate al conte del Tirolo), mentre la giurisdizione vescovile su Levico si era consolidata già negli anni ’80 del Quattrocento, dopo il lungo periodo di incertezza che datava dai primi due decenni del secolo, vale a dire dallo scontro tra Sigismondo e Federico IV.
Più oltre si aprivano le giurisdizioni tirolesi, facenti parte di quei “Confini italiani” che fino alle guerre napoleoniche segneranno anche fisicamente, “se ce ne fosse stato bisogno”, i limiti della libertà d’azione dei principi vescovi di Trento.
È impossibile ripercorrere qui le fasi della progressiva conquista da parte dei conti del Tirolo e duchi d’Austria della Valsugana. Basti ricordare che essa ebbe luogo durante gli ultimi decenni del Trecento a scapito del piccolo stato creato dalla potente e intraprendente schiatta dei Caldonazzo Castelnuovo. Conteso a lungo tra i ben più robusti potentati tirolesi e padani (Della Scala, prima, da Carrara, Visconti e Veneziani poi) il dominio dei signori Caldonazzo-Castelnuovo dovette cedere al pressing dei duchi d’Austria, che aveva trovato il suo acme tra il 1412 e il 1414 con l’occupazione da parte di Federico IV dei castelli di Ivano, San Pietro e Telvana e il successivo riconoscimento – poco più che formale, peraltro – garantito dall’investitura degli stessi da parte del vescovo di Feltre Enrico Scarampi. Negli stessi anni Venezia si assicura il controllo del Canale del Brenta e nel 1420, dopo un primo tentativo nel 1406, delle due parve urbes in montibus, Feltre e Belluno.
Nei castelli anzidetti sono insediati ben presto, tramite lo strumento dell’infeudazione, altri nobili lignaggi tirolesi, così come avviene nei castelli della bassa Valle dell’Adige e della Vallagarina, spazzati via per sempre i Castelbarco dalle lotte tra Venezia e i duchi
d’Austria: ecco quindi ancora i Welsperg a Castel Telvana nel 1462, una sessantina d’anni dopo aver ottenuto il feudo di Primiero, i Trautsmandorff a Castellalto, i Wolkenstein a Ivano, un ramo dei Trapp a Caldonazzo, un altro a Beseno e Pietra, i Liechtenstein a Castelcorno. Il tutto mentre nel cuore del principato vescovile trentino o nelle sue vallate occidentali le più importanti famiglie trentine ottenevano “di sottrarsi alle ingerenze dei principi trentini chiudendo nuovi giuramenti di vassallaggio con i duchi d’Austria” dando inizio a una frequentazione delle corti di Innsbruck e Vienna che porterà ben presto i loro rampolli a ricoprire uffici di tutto rispetto nella burocrazia o nell’esercito imperiali, a occupare prestigiose reggenze, a stringere legami parentali con le maggiori famiglie tirolesi e austriache, a intraprendere brillanti carriere ecclesiastiche, vescovili o canonicali, nelle diocesi austriache. È la storia degli Arco, dei Lodron, dei Thun, degli Spaur: virile e austero pendant dei percorsi di questi lignaggi, le famiglie che abbiamo poc’anzi ricordato, s’accasano nel Trentino orientale e meridionale assecondando i ritmi di un “acclimatamento dolce, vissuto e attuato senza profondi travagli”. Un lento processo osmotico sembra amalgamare in una sorta di comunità sovranazionale i ceti aristocratici trentini e tirolesi, contribuendo, se non a smorzare, almeno ad attutire quella “rivalità armata spossante e inesausta [che] contrapponeva da sempre il principato vescovile di Trento e la contea del Tirolo”.
Fine prima parte
Giacomo Castelrotto
e la signoria dei Welsperg
in Valle di Primiero
Lidia Bertagnolli
Parco Naturale Paneveggio
Pale di San Martino