05/10/2025
Se il Figlio prega il Padre - Quando e come Gesù pregava, e quando e come lo fa in noi… ***
Nei Vangeli sono frequenti i rimandi a Gesù evocato nell’atto della preghiera, pur tuttavia è la ragione teologica, ossia lo spirito intrinseco a quei racconti, piuttosto che non la semplice lettura di essi, a poterci – e ancora in modo parziale – dare un’idea dei momenti particolari in cui Gesù si raccoglieva in preghiera e soprattutto della natura stessa di questa preghiera. La pura lettura dei Vangeli, secondo la lettera del testo, non è in tal senso sufficiente a farci comprendere il valore della preghiera intrinseco all’esperienza umana di Gesù. È necessario immedesimarsi con lo spirito nell’evento stesso del “Gesù orante”, seguendo in questo la luce ermeneutica dello Spirito Santo, che trascende la lettera evangelica e ci immerge – fin dove ce lo consente – nell’in sé dell’esperienza umana di Gesù. Pensare a Gesù come a colui che “pregava sempre”, è in tal senso un’affermazione sin troppo generica, che rischia di banalizzare la qualità, il metodo e la singolarità della preghiera di Gesù. Nella nostra esistenza spirituale, ad esempio, esistono preghiere rituali, conformi all’esigenza comunitaria, come quelle che si recitano nelle celebrazioni eucaristiche. Ivi più o meno tutti parliamo lo stesso linguaggio dinanzi a Dio e nel medesimo, prestabilito, momento. Vi sono tuttavia altre preghiere che costituiscono la nostra esperienza di cristiani e che, pur avendo una natura extra-eucaristica, hanno tuttavia ancora un linguaggio comune a quello degli altri nel rivolgersi a Dio: così è, ad esempio, del Santo Rosario e degli stessi Salmi, come di molte altre preghiere che tutti conosciamo. Ciò nonostante, la nostra preghiera non si esaurisce – o almeno non dovrebbe esaurirsi – in quelle orazioni comuni per linguaggio e metodo che, sebbene ognuno di noi sia diverso nel recitarle, ci accomunano tutti davanti a Dio. Esistono, infatti, anche le preghiere del cuore, il cui linguaggio è intimissimo a noi stessi e che solo Dio intende e che per questo ama in modo speciale. Fatte queste premesse, tratte dalla nostra esperienza comune, possiamo risalire – con prudenza e come “a tentoni” – all’esperienza oratoria di Gesù. Anche Gesù, infatti, nonostante la distanza di tempo e di cultura rispetto a noi, ha conosciuto dei momenti di preghiera di natura anzitutto “assembleare”, come quelli condivisi nelle sinagoghe in cui predicava o al Tempio stesso di Gerusalemme. E come noi oggi, anch’egli allora, ha conosciuto altre realtà di preghiera che, pur non recitate in ambienti comunitari, presentavano ciò nonostante un linguaggio comune e identico a quello degli altri fratelli, come nel caso delle grandi preghiere dell’Israele antico. Ciò nonostante, esattamente come accade a noi oggi, Gesù non si è fermato unicamente a questi due ordini di preghiera sopraccitati, quando pregava. I Vangeli, tutte le volte che ci evocano Gesù in preghiera, quasi mai intendono quei tipi suddetti di preghiera: piuttosto, essi ci pongono alla coscienza l’intimità di preghiera di Gesù con il Padre, secondo un linguaggio non comunitario né, forse, comunicabile, intimo e proprio di Gesù e non condizionato da mediazioni linguistiche o letterarie di sorta. Questa preghiera di cui parlano i Vangeli, è la comunione del Figlio con il Padre, è la Parola che traduce il Pensiero eterno, è la Verità che contempla se stessa e si ama in questa contemplazione. Chi prega, nell’uomo Gesù, è comunque sempre il Figlio di Dio, sebbene in una forma umana: il trasporto che Gesù sperimenta, nel suo “umano” pregare, è quindi sempre un trasporto da Dio a Dio, nell’unità perfetta dello Spirito Santo. Su queste basi teologiche – che sono solo misere asserzioni rispetto a un ineffabile mistero – si può intuire l’elevatezza, la qualità e la stessa altissima tensione spirituale che Gesù sperimentava nella sua preghiera terrena; egli - disceso dal Cielo per la nostra salvezza - è come se ogni volta che pregasse “ascendesse” nuovamente al Cielo, nella perfetta integrità trinitaria. Ciò può spiegare quanta forza mistica e spirituale possiedano quei passi evangeli in cui – con estrema sintesi letteraria e teologica – viene detto che “Gesù pregava”, come ad esempio prima dell’elezione apostolica. Pregando, Gesù entra nell’intimo paterno come Figlio da lui generato eternamente e ne sviscera il più intimo Pensiero comunicandolo, nell’Amore, con la sua Parola. Non esiste sublimità spirituale maggiore di questa e, nella nostra esperienza umana di preghiera, il vertice massimale si raggiunge proprio quando si riesce a stabilire – con un profondo distaccamento dalle cose terrene – una partecipazione a quest’intimità di Gesù con il Padre, per mezzo della quale ogni umano linguaggio viene assorbito dallo stesso linguaggio di Dio. Nessuno di noi, da se stesso – nemmeno la più estatica delle persone – può raggiungere queste vette spirituali se non è Gesù stesso che, “discendendo” nell’anima, la fa con lui “ascendere” al Padre: è uscendo da se stessi – “per Cristo nostro Signore” – che ci si ritrova uniti al Padre, che si “entra” davvero in comunione con lui e quindi si vive l’esperienza di grazia. Questo processo diviene tanto più semplice quanto più ci si distanzia dal mondo e ci si unisce, nella preghiera, a Gesù. Con questo fine raggiunto, è Gesù stesso che opera in noi i prodigi della sua mediazione presso il Padre, compiendo in noi la parola evangelica del “Noi verremo a lui”. Si sale con la preghiera a Dio, infatti, quanto più Dio stesso si china nel suo Figlio per venirci a prendere e condurci a sé, nella sua intimità d’Amore, da cui nessuno mai può separarci, se non la nostra stessa volontà. Amen.
*** © Francesco G. Silletta