
15/06/2024
I DELITTI DEL PERGAMON MUSEUM
Piano piano stiamo arrivando alla fine. Di seguito uno dei pezzi più belli (secondo me) di Bonifacio. Nel disegno ( di Silvano Carli), il ns. protagonista, Gert, in una sera di delirio alcolico.
"...“Ciao Hans, ci vediamo lunedì”.
Gert Mayer lasciò che il suo giovane collega uscisse dalla centrale e si allontanasse, poi anche lui abbandonò il palazzo ormai deserto. Era confuso. Si infilò nella U-Bahn e andò, quasi senza pensarci, come trasportato da un istinto che nemmeno lui sapeva spiegarsi, alla fermata di Friedrichstrasse. Salì alla piattaforma dei treni della S-Bahn, allungò lo sguardo oltre la recinzione e si mise a fissare la sagoma del “palazzo delle lacrime”, il padiglione di vetro e acciaio che ai tempi della DDR funzionava da posto di frontiera per il passaggio a Ovest nell’unica stazione cittadina in cui coabitavano le linee del trasporto ferroviario urbano di Berlino Est e Berlino Ovest. Le lacrime accompagnavano i congedi, rigavano i volti di chi sapeva che ogni arrivederci ai parenti o agli amici poteva essere un addio. Gert immaginò quante volte Streich doveva aver oltrepassato quel confine. Magari gli era sfilato davanti, quando aveva prestato servizio per qualche tempo nella Grenzpolizei. Ricordava molto bene l’angoscia che regnava in quel luogo, riempiendolo di umanità a dispetto del gelo disumano imposto dalle procedure: i controlli ossessivi e ripetuti, le valigie svuotate per le ispezioni, le domande infinite, le code, il silenzio di paura. E alla fine quella cabina stretta e claustrofobica dove a lui toccava accogliere persone ormai sfinite dalla tensione, consapevoli che nello spazio di due metri il loro destino non era più il risultato matematico della serie di esami passati nelle ore precedenti, ma spesso veniva ricalcolato ed era in balia del cambio d’umore di un ispettore, di una parola fraintesa, dell’arbitrio di un funzionario. Quante volte Gert era stato costretto a riporre il timbro con il permesso di espatrio, in un caos di ordini polizieschi e urla di disperazione…
Ma questo valeva per i semplici cittadini cui era concessa l’opportunità di varcare temporaneamente il confine. Per la nomenklatura era un’altra cosa. Agli uomini dell’elite della DDR non servivano lacrime ne ansie, potevano attraversare il palazzo come tranquilli uomini d’affari che facevano la spola fra Est e Ovest. Karl Streich, pensò Gert, era uno di quei privilegiati che attraversavano con indifferenza quell’umanità sospesa fra speranza e rassegnazione. Ma ora non stava pensando a lui. Si accorse che era andato lì per ricordare il giorno in cui, oltre il vetro della cabina dei visti per l’Ovest, era comparsa una giovane donna bionda, che a lui sembrò bellissima. Non aveva perso la luce dei suoi occhi azzurri nemmeno nelle due ore di controlli asfissianti nell’androne del palazzo, e adesso era pronta a ricongiungersi per poche ore alla sorella che viveva a Schoeneberg. Gert le aveva sorriso, contravvenendo alle regole di comportamento della polizia di frontiera. Era pronto a timbrare il permesso quando alla sua postazione era suonato il telefono, la linea diretta collegata con la centrale della Volkspolizei. L’ordine era perentorio: sospendere immediatamente il visto e rimandare indietro la donna a Berlino Est. Nient’altro. Nessuna spiegazione. Gert le comunicò le disposizioni, sforzandosi di mantenere un contegno marziale, e lei rimase impietrita. Si morse il labbro, non voleva piangere, le rimaneva solo di mostrarsi più forte di quelle vessazioni. In quegli istanti a Gert venne spontaneo guardare sul documento che teneva ancora in mano come si chiamava e dove viveva. Poi glielo restituì e lei uscì dalla cabina, ma dalla stessa parte dov’era entrata.
Gert aveva memorizzato i dati. La donna si chiamava Frieda."