Incursioni di Pace-Rete Progetto Pace Vicenza

Incursioni di Pace-Rete Progetto Pace Vicenza Scuole: Ceccato; Rossi; Fogazzaro; Fusinieri; Masotto e Marzotto-Luzzatti

L’associazione ha come scopo promuovere la diffusione di una cultura di pace attraverso iniziative di educazione alla mondialità, alla cittadinanza attiva, responsabile e partecipativa, alla democrazia, alla legalità, all’interculturalità, allo sviluppo sostenibile, alla reciprocità e all’unità fra i popoli, alla bellezza in ambito artistico, di promozione dei diritti umani, delle pari opportunità e della solidarietà.

07/09/2025
Martino Mazzonis
07/09/2025

Martino Mazzonis

07/09/2025

David Puente e Marianna Satta hanno fatto un lavoro OSINT eccezionale nel reperire le prove dell'esistenza del Nutella Cafè a Gaza. Le critiche, tuttavia, nascono da un problema: mai nell'articolo si premette che l'effettiva presenza di un'attività di ristorazione non invalida la tragica realtà della fame. Questa precisazione è stata fatta solo a posteriori. Anzi, nel pezzo la discussione fra chi afferma che il cafè esiste - cioè, i negazionisti della carestia, in primis l'account propagandistico di X Gazawood, che scandaglia i social alla ricerca di immagini fuori contesto per descrivere i palestinesi come attori in una messinscena - e chi, invece, non crede che, nel contesto della guerra e della fame, possa davvero aprire un bar - un moto di sorpresa che accomunerebbe chiunque, non solo i pro-Pal - viene presentata con un senso di imparzialità che, nemmeno nelle conclusioni, viene abbandonato.

Non basta un fact-checking, per quanto condotto professionalmente, per spiegare i fatti. Ci vuole il contesto, altrimenti - lo dico con tutta l'empatia per chi svolge questo lavoro secondi principi morali - è inevitabile prestare il fianco alla malafede altrui, soprattutto se le prove del fact-checking finiscono per corroborare una narrazione non solo falsa - quella dei negazionisti della fame - ma anche odiosa e disumana.

Allora David e Marianna non avrebbero dovuto verificare la notizia? Certo che no: la propaganda complottista di Gazawood - come tutte le teorie del complotto - prospera grazie alla mancanza di informazioni. Sapere che, persino in uno scenario di carestia, possano esistere attività che vendono crepes alla nutella può aiutarci a combattere la disinformazione. Però serve un passo in più. Serve comunicare che questa situazione non è affatto inusuale nella storia globale delle carestie e che la fame non colpisce tutte le classi sociali allo stesso modo.

Partiamo da un dato: fra i commenti alla pagina Instagram del Nutella Sweet & Cafè c'è un palestinese che sostiene di esserci andato e si lamenta dei prezzi eccessivi. Un caffè costa 15 shekel, circa 3,80 euro, un prezzo fuori scala pure la classe media in Italia. A Gaza, infatti, le carenze alimentari hanno spinto i prezzi alle stelle. Un chilo di patate costa 30 euro, un barattolo di Nutella 150 euro. Come nell'Italia affamata della Seconda guerra mondiale, non è difficile immaginare speculazione, contrabbando e borsa nera.

Su Instagram e TikTok ci si imbatte spesso in influencer palestinesi che, in mezzo alle macerie e agli sfollati, ostentano senza pudore uno stile di vita irrealmente normale: shopping, merende, centrifugati da asporto. Si tratta del 40% della popolazione che non è ancora impattato dalla fame, mentre il 60% trascorre la giornata alla ricerca di cibo con gli ultimi risparmi o arrangiandosi come può, ad esempio vendendo stoffe usate come combustibili.

Una banalità che tendiamo a dimenticare, spiega l'esperto di carestie Alex de Waal, è che la fame colpisce prima i poveri. Negli anni '80 in Sudan - racconta ancora de Waal - "anche se conoscevo la letteratura scientifica, ero tuttavia scioccato dal fatto di poter mangiare un buon pasto in un ristorante, mentre fuori la gente moriva di fame sul marciapiede".

Consideriamo, ad esempio, due esempi storici di carestie: la grande fame in Irlanda (1845-1852) e il ghetto ebraico di Varsavia sotto l'occupazione nazista.

La storica Cecil Woodham-Smith, tra le maggiori autrici sulla grande fame irlandese, scrisse:
"Nella lunga e travagliata storia dell'Inghilterra e dell'Irlanda, nessuna questione ha provocato tanta rabbia o relazioni così aspre tra i due paesi come il fatto indiscutibile che enormi quantità di cibo sono state esportate dall'Irlanda all'Inghilterra durante il periodo in cui il popolo irlandese stava morendo di fame. 'Durante tutti gli anni della carestia', scrisse John Mitchel, il rivoluzionario irlandese, 'l'Irlanda produceva cibo a sufficienza, lana e lino, per nutrire e vestire non nove ma diciotto milioni di persone"; eppure, affermò, una nave che navigava in un porto irlandese durante gli anni della carestia con un carico di grano era "sicura di incontrare sei navi che salpavano con un carico simile'.

Nelle testimonianze raccolto dal Museo del Ghetto di Varsavia scopriamo come il lusso alimentare più osceno coabitasse con la malnutrizione generale.

Dal diario di Janina Bauman: "Quest'inverno sono apparsi alcuni negozi nel ghetto con merci abbastanza lussuose per le condizioni locali, così come caffè e ristoranti. Un giorno [...] la mamma portò me e Zosia in un ristorante in via Leszno. Non ero mai stata in un ristorante prima, quindi è stata un'esperienza interessante per me. Nonostante la giornata luminosa, le finestre della grande sala erano completamente oscurate. Una luce discreta brillava da lampade al carburo posizionate qua e là. I tavoli erano coperti da tovaglie bianche. I camerieri indossavano uniformi scure. Il pianista e il violinista, profondamente commossi, suonavano note melodie ebraiche e romanze gitane. Quasi tutti i posti ai tavoli erano occupati. […] Il menu offriva vari piatti lussuosi, vini francesi e altre eccellenti bevande alcoliche. I prezzi erano da far rizzare i capelli. Se non fosse stato per me e Zosia, la mamma si sarebbe sicuramente alzata da tavola e avrebbe lasciato il ristorante, ma non voleva deluderci, così siamo rimaste e abbiamo ordinato i piatti più economici possibili: zuppa di pollo con noodles, cholent e un po' di biancomangiare con succo di amarena. Era una vera festa, il nostro miglior pasto da anni. Anche se non avevamo ancora sofferto la fame nel ghetto, le nostre cene a casa erano molto più modeste. Sospirando pesantemente, la mamma pagò il conto e uscimmo dal ristorante pieni di beata pienezza".

Dal diario di Stanisław Różycki: "Mendicanti si aggirano a sciami intorno alle porte di questi Eldorado, leccandosi le labbra con il viso premuto sulla vetrina, aspettando che i nuovi signori (gli arricchiti del ghetto, ndt) escano dopo aver pranzato: bestemmiano e maledicono, implorano e si impongono. E gli altri, satolli, soddisfatti e divertiti, godono appieno della vita, cioè carne d’oca, bistecche, omelette, pesce, vino, insalate, cognac, torte e frutta."

Tornando a Gaza, per quanto la nutella sia ormai un bene di lusso, è fra gli articoli che le associazioni umanitarie tentano di inviare nella Striscia, come dice alla radio pubblica americana NPR Arwa Damon della ong Inar. Il perché venga spedita è anche qui ovvio: i convogli spesso stazionano per giorni in attesa di poter raggiungere la destinazione finale, sarebbe inutile inviare prodotti freschi. Le rotte poi sono note alle bande armate, che saccheggiano i carichi.

Le testimonianze da Gaza confermano l'assenza di cibo fresco e proteico e la difficoltà nel reperire dei semplici pomodori, mentre al contrario si vedono pick-up pieni di barattoli di nutella, chiaramente insufficienti a sfamare e nutrire la popolazione.

Insomma, è impossibile sapere chi sia il proprietario del negozio di Nutella a Gaza. La storia delle carestie insegna, però, che c'è sempre chi macina una fortuna speculando sulle disgrazie.

Francesco Mazzuccotelli
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DALL’UCRAINA Il nostro amico Oleksandr Solonets, con cui abbiamo vissuto in casa per più di un anno a Kherson, dopo sette mesi di attesa in un campo intermedio nel centro dell'Ucraina, è stato preso e mandato a combattere, anche se si è dichiarato obiettore di coscienza, anche se non ha fatto nessuna formazione militare perché rifiuta di usare le armi.
Sembra che vinca la guerra, che vinca la violenza, che questa lotta per la libertà diventi molto simile alla violenza che invade, se non troviamo un'alternativa, se non troviamo una strada diversa, se non troviamo delle forme per proteggere i civili che vivono qui in mezzo alla violenza, in mezzo ai droni, in mezzo ai bombardamenti nella città di Kherson.
Ascolta la testimonianza dei volontari nel podcast dall'Ucraina
https://open.spotify.com/episode/2NhwgoMPVzBMeM6lqBG058?si=ywuH_LrESoeIqS_miRTxUQ

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Francesco Mazzuccotelli

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