14/10/2025
ECONOMIA
Il Portogallo fuori prezzo: quando il lavoro paga il triplo e la casa vale il quadruplo
Il Portogallo, una destinazione attraente in cui vivere, ma difficile in cui lavorare, eccellente per investire in beni immobili, ma ingrata per produrre valore.
Negli ultimi anni il Portogallo è diventato un caso paradigmatico nell'OCSE: un paese con una notevole crescita turistica e immobiliare, ma dove il reddito reale da lavoro non tiene il passo con la rivalutazione degli asset. Sul social network X mi sono imbattuto in un grafico che confronta il numero di mesi di stipendio netto necessari per acquistare un'abitazione di 100 m² e i numeri sono rivelatori: un portoghese ha bisogno di 331 mesi, quasi 28 anni, per lo stesso bene che un americano acquista in 75 mesi, un danese in 146 e un britannico in 189. Il Portogallo è il quarto paese più caro della classifica, superato solo dalla Russia (il comunismo non ha mai funzionato) e da due microstati: Singapore e Hong Kong.
Questa differenza non è solo il risultato di un aumento senza precedenti dei prezzi delle abitazioni nuove, usate e persino dei terreni, ma anche di una struttura fiscale e produttiva che, in Portogallo, penalizza in modo davvero scandaloso il reddito da lavoro e scoraggia gli investimenti produttivi.
La tassazione sul reddito da lavoro in Portogallo rimane tra le più elevate dell'OCSE. Nel 2024, il cosiddetto tax wedge (la differenza tra il costo totale del lavoro per il datore di lavoro e lo stipendio netto percepito dal lavoratore) ha raggiunto il 41,4%, contro una media OCSE del 34,8% e del 31%, ad esempio, in Irlanda. Parallelamente, l'aliquota media dell'IRS sui salari superiori alla media nazionale supera il 37%, mentre gli oneri sociali pagati dalle imprese si aggirano intorno al 23,75%, uno dei valori più alti in Europa. Nel campo del capitale produttivo, l'imposizione effettiva sugli utili delle imprese si attesta intorno al 27,5% (somma dell'IRC e delle imposte aggiuntive), superiore alla media OCSE (23,5%) e molto al di sopra di paesi fortemente attraenti per gli investimenti produttivi, come i Paesi Bassi (19%), l'Irlanda (12,5%) o la Polonia (19%).
Questo squilibrio riflette una scelta di modello economico: il Portogallo penalizza il lavoro e gli investimenti delle imprese, mentre premia la logica del reddito. Di conseguenza, il Paese canalizza il risparmio verso attività poco produttive, come gli immobili o il debito pubblico, invece che verso l'innovazione, la reindustrializzazione o l'esportazione di valore aggiunto.
Le economie che valorizzano il lavoro e gli investimenti, come la Danimarca, la Svezia o la Germania, operano secondo una logica inversa: tassano meno il reddito medio da lavoro, ma applicano imposte più progressive sui redditi e sui guadagni da capitale, convogliando il risparmio privato verso fondi pensione, fondi di capitale di rischio e reinvestimenti aziendali. Il Portogallo, al contrario, ha costruito un modello basato sul reddito, molto dipendente dai settori protetti e dalla valorizzazione patrimoniale, in cui il merito e il rischio sono tassati e il possesso è ricompensato.
Negli ultimi sette anni, il mercato immobiliare portoghese ha subito una rivalutazione di circa l'80%, il doppio della media OCSE. Tuttavia, il salario medio netto è aumentato solo del 23% in questo periodo. Il risultato è una drastica erosione dell'accessibilità: il tasso medio di sforzo per l'acquisto di una casa supera già il 60% del reddito disponibile, un record europeo.
La spiegazione strutturale risiede anche nell'offerta di nuovi alloggi. Mentre nell'OCSE sono stati costruiti in media 5,5 nuovi alloggi per mille abitanti all'anno tra il 2017 e il 2023, il Portogallo si è fermato a 2,1. Questo deficit edilizio è aggravato da fattori istituzionali: lentezza nel rilascio delle licenze comunali, rigidità urbanistica, scarsità di terreni infrastrutturati e carico fiscale sul settore (IVA nell'edilizia, imposta di registro, IMT e IMI). Al contrario, paesi come l'Irlanda, la Danimarca o i Paesi Bassi hanno combinato politiche fiscali selettive e una pianificazione urbana agile, consentendo di adeguare l'offerta e contenendo così la pressione sui prezzi.
A tutto ciò si aggiunge l'effetto dei flussi migratori. Dal 2016, il numero di stranieri residenti nel paese è aumentato del 180%, contro una media del 40% nell'OCSE. Paradossalmente, mentre la politica nazionale in materia di alloggi non riusciva a garantire l'accessibilità ai residenti, lo Stato incoraggiava una domanda esterna che gonfiava il mercato locale attraverso una politica migratoria non regolamentata e programmi di incentivazione all'acquisto di immobili da parte di non residenti.
Come sappiamo, la tendenza al rialzo dei prezzi sarebbe stata sostenibile se il Paese avesse aumentato contemporaneamente la produttività e l'offerta abitativa. Ma non è stato così: il Portogallo continua ad avere una produttività del lavoro inferiore del 40% alla media OCSE e gli investimenti privati non residenziali sono rimasti deboli, intorno al 17% del PIL, ben al di sotto della media europea del 22%. Così, invece di convogliare il risparmio e gli investimenti verso attività produttive, l'economia portoghese li ha convertiti in rivalutazione patrimoniale e creazione di stock immobiliare per il consumo turistico. Il risultato è un ciclo di crescita apparente, ma strutturalmente fragile.
Il Portogallo ha bisogno di una profonda riconfigurazione del suo modello economico. Ciò comporta una coraggiosa riduzione della pressione fiscale sul lavoro, avvicinandola alla media dell'OCSE, la semplificazione della tassazione sugli investimenti produttivi (eliminando i benefici fiscali che favoriscono i settori protetti) e, infine, è fondamentale distinguere fiscalmente gli investimenti in nuove costruzioni dagli investimenti speculativi.
Oggi il sistema tratta allo stesso modo chi costruisce e chi semplicemente detiene terreni urbani o immobili degradati in attesa di futuri guadagni. Questa neutralità fiscale è economicamente perversa: il capitale improduttivo è premiato dalla scarsità che esso stesso genera, mentre il capitale che crea alloggi, occupazione e reddito è soggetto allo stesso carico fiscale in termini di IMT, IMI, imposta di bollo e tassazione sui guadagni. Una riforma intelligente dovrebbe differenziare il trattamento fiscale tra investimento produttivo (costruzione effettiva, ristrutturazione integrale o promozione di affitti accessibili) e mera valorizzazione patrimoniale, introducendo maggiorazioni dei costi deducibili, riduzioni dell'IMT/IVA e regimi di reinvestimento per chi costruisce, e penalizzazioni progressive sulla detenzione di terreni urbani inutilizzati. Tale cambiamento allineerebbe la fiscalità portoghese alle migliori pratiche dell'OCSE, dove si tassa l'inattività e si incentiva la produzione di nuovo stock abitativo, sostituendo l'attuale modello rentieristico ed estrattivo con un modello produttivo e rigenerativo. Ci sarà il coraggio politico?
Finché ciò non accadrà, il Paese rimarrà intrappolato nella sua contraddizione: una destinazione attraente in cui vivere, ma difficile in cui lavorare, eccellente per investire in beni immobili, ma ingrata per produrre valore. A lungo termine, nessuna economia può sostenersi in questa asimmetria.
Portugal, um destino atrativo para viver, mas difícil para trabalhar, excelente para investir em ativos, mas ingrato para produzir valor.